venerdì 23 agosto 2013

Louis e Guillotin: aspetti della giustizia penale




Agli inizi - non so quanto ... simpaticamente - il popolo l’aveva battezzata Louisette, o Petite-Louise, dal nome di Antoine Louis, segretario perpetuo dell’Accademia francese di Medicina; il quale - come chiunque fosse valso ad immortalare uno strumento di morte - mostrò subito di “non gradire”. Essa sarebbe anche stata battezzata glaive de la liberté, hasche populaire; ma il suo nome definitivo, per volere della stampa dell’epoca, sarebbe stato Guillotine, un po’ per vendetta nei confronti di Joseph-Ignace Guillotin, deputato dell’Assemblea nazionale e uomo - si dice - dal brutto carattere; un po’ a causa della rima con machine, che avrebbe consentito la composizione di epigrammi e canti popolari. 
Ma - mi domando - era solo questione di rima? Qualora si possa in qualche modo supporre, o addirittura dimostrare, che la storia politica e giuridica si è potuta mescolare - non senza una qualche singolarità nonché retorica - con la storia delle macchine?; la cui ideazione possa sempre aiutare a comprendere lo spirito di un’epoca?

giovedì 22 agosto 2013

Il diritto e il male (corruzione, economia e altro)




Razionalizzare il male? Sapendo che sino predicare la concordia e l'amore può valere a nasconderlo? 
E anche: razionalizzare la letteratura sul male, o del male? Per ciò: che le immagini possono essere di comodo e che cinema e letteratura usano trasfigurare la sostanza? Certo, anche questo proposito ha la sua arduità. 
Il tema, per il fatto stesso di scriverne o di parlarne, torna sempre ad essere per me quello dell'eterno rapporto fra diritto e morale, potendosi ritenere il diritto oggettivo, o positivo - quando esso non sia discutibilmente lo strumento ideale per ottenere l'obbedienza al precetto religioso -, una traduzione di contenuti morali in altra forma, che consiste in regole oggettive, delle quali è chiesta ex auctoritate la generale osservanza. 
Vi era tempo fa e vi è tuttora un confronto, che m’incuriosiva - e m'incuriosisce - tra gli asserti di due filosofi importanti quali san Tommaso e sant’Agostino. L’uno sosteneva - nel de veritate - che qualunque atto avvenga, esso avviene nella «presunzione […] che ciò che compiamo sia sempre quacumque ratione un bene» e cioè: «Il male, in quanto male non può essere lo scopo di un’azione umana, qualunque essa sia. Nel momento che la deliberiamo, la consideriamo, in quella particolare circostanza, un bene». L’altro scriveva grosso modo - nel de civitate Dei - che solo ogni opera di Dio è buona, che solo Dio è la vera fonte del bene. 

sabato 17 agosto 2013

Il teorema del giudice che può sbagliare ... sempre (S.B. - ma non solo lui - e il potere giudiziario)




Che un giudice in quanto giudice sia sempre reprensibile, al cospetto di una ipotetica giustizia divina, o che egli come uomo abbia le sue debolezze, sono elementi del senso comune che dicono della plausibilità così in modo estremo delle ordalie, come in genere del sentimento religioso, o della morale personale. E se dicono anche della ineludibilità del male, non per questo è vero che qualsiasi soluzione è migliore della ingiustizia. 
Per quanto attiene al munus giudiziale, siamo nel campo della norma, che va applicata; per il resto siamo nel campo della psicologia; che è fragile, è coltivazione della insicurezza e della cecità e si presta a usi strumentali, sia nella vita quotidiana, sia nei delitti, sia nella politica intesa come arte della conquista e conservazione del potere. E certo effetto sembra moltiplicarsi in epoca mediatica, ché i media si prestano alle facili influenze sull’opinione e alle falsificazioni. 
Che peraltro la psicologia sia oggetto della osservazione scientifica, ciò significa che lo è qualsiasi motivazione interiore, di qualsiasi condotta soggettiva, sino quella criminale; e se le azioni più singolari sono psicologia, allora la ragione, la conoscenza e l’onesto volere - ciò che serve per sconfiggere il male - stanno da un’altra parte. 
Per nostra esperienza da qualche tempo sembra emergere da certa psicologia popolare e non, nelle sue valenze politiche e propagandistiche, una sorta di teorema: che se un giudice può anche sbagliare, allora egli può sbagliare sempre; che ciò che potrebbe anche avvenire è come se potesse (ma dovesse quasi) avvenire sempre. Laddove l’inganno retorico e la confusione risultano subito evidenti. 

lunedì 12 agosto 2013

Eutanasia politica, eutanasia “negoziale”




Il nazional-socialismo, come ostentava il suo paganesimo, così ammetteva, facendone un principio - ma questo non era parte delle ostentazioni -, che i vecchi, gl’invalidi, i malati in fase terminale e i criminali, che fossero ritenuti “di peso” alla società, potessero essere caricati su furgoni, trasportati in luoghi ignoti e lì uccisi e cremati - salvo poi darne notizia, ma come di una improvvisa inattesa morte, ai congiunti, mettendo a loro disposizione le ceneri del defunto.
Così, prima dei campi di sterminio, e spiegandone in parte il senso, fra il 1940 ed il 1941 furono eliminate in Germania più di settantamila persone e si dice che Hitler, di fronte alle crescenti proteste dei cittadini tedeschi, presso i quali le notizie erano trapelate, avrebbe ordinato di sospendere quella pratica atroce; ma avrebbe ordinato di farlo - appunto - solo apparentemente.

domenica 4 agosto 2013

Il suicidio e la ... prigione (da alcuni miei colloqui con Armando Rigobello)




Gli dèi sono immortali, nel senso - anche - che essi tutto possono fuorché volere la propria morte. 
Ciò è quanto si trae, a illustrazione della cultura pagana, dalla naturalis historia di Plinio il Vecchio - opera sua o quanto meno da lui iniziata. E qui si profila subito il corollario, paradossale forse: dunque se gli dèi sono immortali, allora essi non sono 'liberi', non lo sono pienamente. Ovvero, per parodiare Sartre, gli dèi non sarebbero condannati a essere liberi. Ed è un contributo ulteriore, questo, a un’antica questione filosofica (si pensi al Cicerone del de natura deorum; ma già prima alla tesi degli intermundia, di Epicuro): come e dove vivono gli dèi, quale il loro pensiero o animo, per dire: quale la loro natura od origine? E perché mai - qui la domanda risulta opportuna - essi 'invidierebbero' i mortali?... 
Sartre diceva esattamente: «l'uomo è condannato ad essere libero. Condannato perché non si è creato da se stesso, e pur tuttavia libero, perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto ciò che fa». Due passi appena nella logica dunque e si resta sorpresi dal fatto che creazione e libertà possano divergere nettamente, o quasi, contrapponendosi… Il che fa calare però più di qualche ombra di dubbio sul significato definitivo della seconda parola... Che cosa significa infatti essere «condannato a essere libero»? 
La volontà in generale comunque, sino nella sua celebrata onnipotenza o se si preferisce nella sua verità indiscutibile, appare così un che di successivo, che sta quasi a identificare nella divinità un limite naturale, o costitutivo: quello di essere quello che è. 
Inoltre: non potendo gli dèi rinunciare ad essere, essi non dovrebbero parimenti, potendolo fare (?), "sciogliere" la vita umana. Resta però il fatto che essi non hanno quella potenza o che cosa del volere o decidere che sembra invece insita nella natura dell’uomo, se questi si suicida, come fece esemplarmente Anneo Seneca, nel segno della cultura del suo tempo e di una "libertà" estrema. 
Lucio Anneo Seneca
In che senso allora, a voler muovere il passo successivo, si può ritenere che gli dèi possano solo non volere la morte dell’uomo, segnatamente se procurata? Essi infatti - e ciò è nella evidenza - se non possono volerla non possono impedirla. Così è per le culture pagane, così sembra non potere non essere per qualsiasi ordinamento giuridico ancor prima che per ogni ordine morale. Mentre su questo punto la cultura cristiana si mostra intransigente e chiara e considera il suicidio sempre negativamente o, per dirla con Blumenberg, come un’onta