sabato 19 gennaio 2013

Televisione e interpretazione



Forse è solo una mia sensazione; ma la televisione, in questi giorni, quantomeno nei suoi canali più illustri, sta dando ragione a quelle correnti di pensiero - segnatamente ermeneutica e fenomenologia - che abbiamo lasciate, quasi ultimi lidi, a rappresentare la filosofia occidentale
In altre parole: se ciò che è mediatico è reale, allora si può sospettare che la realtà non sia eguale a sé stessa. Dunque tutto è dicibile, mediaticamente, tutto è manipolabile: un vero crepuscolo di valori si comporta così, certezze ed evidenze ma nelle deboli presupposizioni! 
La mia personale sensazione si riferisce alla immagine che la tv sta fornendo in questi giorni della competizione elettorale, a ciò che essa volens nolens ci sta inculcando: una immagine sostanziale, una rappresentazione, una interpretazione. Che i più forse condividono (beh, i dibattiti e i talk-show certo non mancano!) poiché essa è dotata di una sua ragionevolezza e di un suo comfort: già, una qualsiasi spiegazione è preferibile a nessuna spiegazione. E ciò tanto più è vero quanto maggiore è attualmente per il cittadino telespettatore la difficoltà interpretativa. 
Tre sarebbero dunque gli schieramenti politici che si vanno profilando: uno di "destra", uno di "centro" e uno di "sinistra". Quest'ultima potrebbe ottenere la maggioranza dei voti; la destra è in recupero, rispetto a una sensibile flessione nei consensi dovuta alla certa caduta istituzionale del suo leader carismatico; il centro, dopo essersi guadagnata la candidatura di un leader ritenuto ancor più prestigioso, si propone quale modello di moderatismo democratico in un modo nuovo e cioè volendo rompere le catene del bipartitismo. E v’è poi il diritto di voto riconosciuto alla cosiddetta “antipolitica”, che è un fenomeno non so quanto singolare e non so quanto imprevedibile. 

I partititi politici e la crisi: corruzione e inettitudine




Può sembrare paradossale (e nulla esclude che lo sia, anzi); ma mai come in questo periodo l’adesione a un partito politico si presenta come un fatto morale; sia a causa di quel demonietto che può far dire all’avv. Longo, in un modo impeccabilmente freudiano, che anche i delinquenti hanno diritto ai loro rappresentanti parlamentari - ed egli avrebbe forse fatto bene o a dichiarare: “solo a Dio è dato giudicare”, ma è proprio questo che alla fine mi è dato capire; o a negare (pur appartenendo magari alla trista “parrocchia” lombrosiana) che esista il vero delinquente, per esservi sempre, laddove ritualmente incrocino prescrizione e giudicato penale, la prova impossibile (eppoi: chi è senza peccati scagli la prima pietra, secondo la spigliata lezione craxiana) -. Sia perché è colpevole chi confessa le proprie colpe; sia nel senso che i delinquenti prima o poi saranno giudicati dal tribunale della storia; sia nel senso che le persone per bene,  ogniqualvolta i politici corrotti siano smascherati e processati, si sentono in qualche modo rinvigorite. 
Se non ricordo male, un clima analogo a quello odierno lo si era respirato al tempo di “mani pulite”, con i leghisti a farla da moralisti e castigatori - e non solo i leghisti -; ma poi vi sarebbero stati gli sviluppi contraddittori che tutti conosciamo.
E anche: le prime denunce della partitocrazia presumibilmente avrebbero dovuto indurre al sospetto: esse piovevano - ora lo possiamo pensare - su un paesaggio già inquinato. Non era insomma, quella del Partito radicale, semplice politologia di stile.