sabato 9 febbraio 2013

Costituzionalità secondo natura?





Che cosa è in fondo una carta “ottriata”, con la quale si scrivano le regole dell’organizzazione politica di uno Stato e si formalizzino concessioni in termini di diritti fatte dal re al “suo” popolo, se non un riconoscimento istituzionale del patto sociale, se vogliamo di rousseauiana memoria? 
Sapevamo bene che lo statuto albertino del 1848 era modificabile con legge ordinaria del parlamento; ma già forse non sapevamo apprezzare a sufficienza il dato che nella Francia della restaurazione e successiva erano i royalistes a caldeggiare e difendere una siffatta condizione, poiché così una charte altro non era che una ordinanza regia fra le tante e poteva in ogni momento essere revocata dal suo artefice. Il re insomma, in regime di costituzione “flessibile”, avrebbe sempre potuto richiamare a sé i comandi, o rimangiarsi la parola data. Sennonché l’idea era entrata e le idee, si sa, hanno "mani e piedi". Già in questo i termini della questione erano chiari e nella Francia postnapoleonica lo scontro politico risultò evidente (F. Rosa, Napoli, 2012), a causa del modo di procedere di quei giudici comuni che non rinunciando a vagliare la costituzionalità delle norme e se del caso disapplicandole si ponevano in contrasto con l’indirizzo voluto dalla Cour de Cassation. Si sa poi che con la cosiddetta “monarchia di luglio”, del 1830, fu introdotto il riconoscimento del principio gerarchico delle fonti; ma nemmeno questo a quanto sembra valse a risolvere il problema; per la qual cosa si sarebbe dovuto attendere il Conseil constitutionnel  della Quinta Repubblica, del 1958.