giovedì 14 febbraio 2013

La manipolazione della povertà e le guerre di Spartacus, ovvero il volto non sublimato della economia




Credo che la lotta di classe quale si ha nella rivolta cruenta sia inscritta nella economia, come regola - lascio ad altri dire se necessaria o eventuale -, prima di essere un che di riprovevole, ovvero una pura forma di violenza. E che lo sia, inscritta nella economia, tanto quanto lo è l’ordinamento giuridico; ché essi necessariamente s’incontrano con il sociale. E ancora: ritengo la povertà un prodotto economico, una realtà oggettiva spendibile; ciò che rende possibile che il povero sia (come) merce. 
Lo spunto, per parlare sia pure brevemente di queste cose mi viene dato dalla lettura di alcune pagine scritte (come presumibilmente potrebbero esserlo state da altri) dal prof. Fontanarosa, riguardanti la storia della servitus, a datare dall’antica economia romana, attraverso l’epoca postclassica a quella medioevale. 
La riduzione in schiavitù, che caratterizza l’epoca espansionistica della respublica (dal 327 ca. a.C. in poi), ché con riferimento a quella arcaica non se ne può parlare, è legata a cause rigorosamente economiche. Innanzi tutto le guerre, che richiesero manodopera per così dire extra muros, non già limitata cioè ai filii o ai plebei ma estesa massicciamente ai prigionieri di guerra; poi l’indebitamento, in senso generale; poi le condanne penali (per omicidio, renitenza alla leva, evasione fiscale, lenocinio, adulterio; laddove accade spesso che i poveri divengano schiavi per non poter pagare le pene pecuniarie). 
Della economia però sono parte tanto la servitus - ovverosia il costituirsi di un certo tipo di rapporto di lavoro o di produzione - quanto  le sue cause generatrici, quanto le azioni necessarie per liberarsene;