domenica 3 marzo 2013

Il mito dei giudici e del “popolo votante”




Non certo poiché i conflitti tra poteri dello Stato (memorabili quelli fra il re e il parlamento, nella storia del Regno Unito) sono disciplinati costituzionalmente, essi hanno origine nello Stato. Si tratta invece di radici piantate nella economia vivente, nella forza degli interessi materiali, nella energia psicologica di classi emergenti, nelle difficoltà finanziarie in cui versino vecchie forme di Stato e amministrative, nella testa degli interpreti e cioè degli uomini che vogliono il potere, sia pure per riflesso.
E il dato va analizzato ed evidenziato, posto instancabilmente al centro dell’attenzione generale, mai tralasciato; soprattutto in quei periodi nei quali certa politica (traduzione d’istanze economiche materiali in istanze politiche) mostri di poter decidere delle cose svuotando di valore la famosa tripartizione (legislativo, esecutivo e giudiziario) attribuita per paternità a Montesquieu e rimasta nelle democrazie liberali come punto di riferimento. 
Oggi ma non da oggi vi è una crisi mondiale (crisi del capitalismo, dicono taluni, a iniziare dal primo novecento; ritorno al medioevo, new medievalism, a giudizio di altri; fine della modernità, secondo una filosofia non troppo recente e pur dotata di attualità; "fine del lavoro" e via dicendo) o forse vi è trasformazione ancor prima che crisi; ma ciascuno la vive nella sua provincia e al di là di diagnosi magniloquenti e colte si avverte un gran bisogno di esami più nel concreto, più anche territoriali, magari guardando alle causae secundae