sabato 1 giugno 2013

Diritti universali, catechismo nazionale

 

La Dichiarazione dei diritti del 1789 era troppo astratta rispetto al diritto continentale e meglio europeo - detto ciò lato sensu, a volervi ricomprendere anche la cultura giuridica inglese - per potersi ritenere che ne costituisse la normale evoluzione. 
E questo non per quanto essa potesse derivare - mettiamo - dal contratto sociale di Rousseau (il controverso philosophe del quale Robespierre al cospetto della neonata Assemblea costituente della Rivoluzione francese ebbe subito a dire che con il suo genio aveva “illuminato l’umanità” e “preparato i vostri lavori”) ma perché parlava di diritti “universali”, il che significa: il diritto posto su di un livello diverso, approdato a un grado più elevato di elaborazione, rispetto ai diritti “della terra” e alle antiche “libertà” o ai patti costitutivi di questa o quella nazione, di cui questo o quel popolo potesse chiedere nei momenti “rivoluzionari” il ripristino. La giuridicità, posta in certo modo al di sopra delle teste degli uomini, e cioè il diritto, quasi come un che di trascendentale.