domenica 30 giugno 2013

La Dottrina dello "Spirito" (una scheda - e volti - di altri tempi?)




La Dottrina dello Spirito (dello Spirito oggettivo, dello Spirito assoluto; ma si muove necessariamente da quello soggettivo), rappresentata da Hegel, è una particolare dottrina dello Stato laica che crede in un forte elemento cultural-formativo o in una virtù insita nella classe politica o in quella dirigente, quasi fossero quello che sono per diritto di natura. Ma comunque considerando la politica fatta dagli uomini; in un senso conservativo e nel senso che se lo Spirito era un che di realistico, lo era perché fonte di una fede in (o di certa consuetudine con) un certo tipo di uomini al comando.
G.F.W. Hegel
Sono queste, ancora, con la loro carica antropologica, risultanze schmittiane che posso trarre dal volumetto Democrazia e liberalismo (pp. 119-120). Le quali forse possono sorprendere, se si guarda alla loro concreta semplice lucidità. E il senso di sorpresa è che questo è detto in relazione al fatto che anche Schmitt prende atto di Marx, e cioè: egli non è un perfetto idiota illetterato come qualsiasi persona o popolo che rifiuti Marx, per principio, senza conoscerlo, o magari per meri pruriti sessuali. 
Schmitt invece s’impegna nel ragionamento: quella di Marx non è la critica dello Stato hegeliano (che esso come è stato anche sostenuto, non sia riducibile a Stato prussiano ma a Stato moderno, che sa come fare sue anche le dottrine kantiane, illuministiche, rousseauiane) ma la controdiagnosi, più attuale, che analizza il nuovo Stato-società (e/o dei partiti) che a quello prussiano viene a succedere, sta succedendo, storicamente.

Berkeley e le macchine (già, quale la libertà?)




Il valore del motto esse est percipi, del vescovo irlandese George Berkeley - per cui nulla esiste al di fuori della nostra percezione -, distolto da certa interpretazione ontologista e ancora libresca, lo si nota oggi innanzi tutto nell’ambito della cultura delle macchine e dei sistemi, e cioè nell'èra elettronica o digitale; se si pensa che tale cultura per essere necessariamente collegata alla cultura biologica e a quella psicologica, è anche «cultura della percezione», interfacing, ovvero alla cultura del costituirsi fondante della percezione; se si pensa alla cosiddetta «unità percettiva», nella quale il tema è il rapporto fra un «materiale» ed un «immateriale» ed in ciò fra «reale» e «virtuale», negli sviluppi della tecnica e scienza dell’informazione. Il tutto, ovviamente, ritenendo non proprio paradossalmente l'uomo per buona parte almeno come l'ente più somigliante alle macchine e alla loro natura artificiale. 
File:George Berkeley by John Smibert.jpg
George Berkeley
Perché - mi domando - si è indotti oggi a pensare a Berkeley, ci si volge ancora al suo pensiero, parlando di «cultura della percezione»?