martedì 3 settembre 2013

Della personalità "criminale"




Leggevo, tempo fa, un breve contributo - a cura dei Quaderni della rassegna dell’ordine degli avvocati di Napoli - sulla personalità criminale.
Il mio approccio alla lettura e alla questione era determinato da una forte curiosità e meglio da una curiosità “di sempre”: capire una volta per tutte se detta “personalità” è l’eccezione che conferma la regola o non piuttosto un che di naturale; se essa fa parte dell’errore o se essa è umana come lo sono il parlare, l’avere due orecchie e un naso, il nutrirsi, ecc. Perché la personalità in tal senso non è certo compiuta, rotonda, evidente; essa vieppiù è qualcosa che sorprende, ché si annida nell’essere umano determinandolo in certi momenti o condizioni, che poi, non senza rendere onore al positivismo, si possano dire specifici. E questo per non chiedermi, ma essendo comunque la cosa per così dire velata, che cosa pensa il criminale di sé stesso, prima ancora che della sua condotta. Egli sente di agire per il bene o per il male?
La mia curiosità peraltro è andata in parte delusa, in assenza di risposte esatte o definitive alla questione; ma ne è venuta comunque una esperienza di lettura stimolante, per certi spunti di riflessione che ne sono emersi.