venerdì 6 settembre 2013

Lo Stato del conflitto perpetuo tra i poteri dello Stato (cenni sull'anticostituzionalismo politico)




Il conflitto di attribuzioni fra i poteri dello Stato - ad esempio fra esecutivo e giudiziario, fra legislativo e giudiziario, fra lo Stato e certe sue riconosciute, volute articolazioni territoriali che però ambiscano a una certa quale autonomia legislativa - forse è un modo elegante, colto, per esprimere qualcosa che appartiene alla natura dell’uomo: è una realtà ineludibile, che fa parte non solo dell’ordine giuridico - e per meglio dire giuridico-costituzionale - evoluto ma anche dell’ordine sociale naturale delle cose. Che in qualche modo le tiene legate, in un modo anche - bisogna riconoscerlo - non tranquillizzante.
È la storia che lo dice, e più precisamente la storia costituzionale, la quale lo è realiter dei rapporti di forza fra poteri, o stati, o territori, o classi: il re unitamente al suo Consiglio contro il Senato, i parlamenti o le assemblee legislative rivoluzionarie contro i re, per dire però anche, in un modo più oggettivo e guardando alla economia e al sociale, i borghesi contro i nobili, o contro il clero; il clero povero contro quello ricco; il proletariato contro la borghesia. Ed è in generale nel contesto di tali conflitti, per quanto provato da quel compendio storico che è la storia della Rivoluzione francese e dell’età napoleonica ma non solo, che le costituzioni s’impongono, quali patti (e comunque condizioni scritte, dettate) intervenuti tra quelle forze o poteri (se vi sono stati patti, allora sempre potranno esservi conflitti). O quali strumenti adoperati da alcuni contro gli altri.

Diritto … “esistenziale”?




Che in questi ultimi anni ci si sia discostati vieppiù, in tema di responsabilità civile, dallo schema strettamente patrimonialistico (il danno inteso solo come danno “patrimoniale”; il guadagno come “parametro del danno alla persona”: Gentile, 1962) e parimenti dal nesso fra danno non patrimoniale e lesione penale - ex art. 2059 c.c. -, è provato dal fatto che s’incontrano oggi, nello spazio argomentativo e linguistico del giurista, espressioni quali “abitudini di vita”, “vita di relazione” (distinta addirittura da taluno dalla dimensione strettamente esistenziale), “libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana”, “progetto di vita”, “colloquialità con le persone e con le cose”; laddove ricorrono le parole vita e persona.
Negli ultimi tempi il diritto - e segnatamente i contenuti della giurisprudenza - si è accostato alla psicologia e alle scienze medica e chimica (si pensi al mobbing, alle fattispecie di inquinamento, alla salubrità ma non solo dell’ambiente di lavoro e, appunto, in generale a problematiche del danno sempre più inerenti alla persona); ma fra gli aspetti innovativi della cosa è e non è questo ciò che qui voglio qui evidenziare. Nelle nuove tipologie di danno non patrimoniale, che mettono a dura prova la tenuta del sistema aquiliano classico, vanno ricompresi valori inerenti alle disposizioni costituzionali - nel nostro caso l’art. 2 (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità […]”) e anche l’art. 32 comma 1 (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività […]”, attenti al principio personalistico) - alla norma civilistica, alla regola morale che sottintende, in parte la occupa e/o corregge quella giuridica, al comune modo di sentire, ed è in questo contesto che si è considerato in positivo il contributo giuridico delle suddette scienze. Ma a mio giudizio in questi aspetti, pur sempre necessariamente compresenti in sede di giudizio, ora non può più dirsi risolta l’essenza della questione.