lunedì 16 giugno 2014

L’anima e la macchina (Su Cartesio e la "sua" epoca), versione riveduta, primi paragrafi



  
§ 1.- Cartesio per me è significativo, nel mondo e storia della filosofia, per avere dato alle macchine, avendone constatata la effettiva possibile autonomia nel funzionamento e certa complessità e variabilità nella organizzazione, la dignità di oggetto del pensiero.
Ovvero io ritengo che attraverso Cartesio la filosofia abbia contribuito efficacemente a riconoscere alle macchine, certo non meno che storicamente, quella dignità che a esse era mancata per lunghis­sima umana tradizione. Che mancava ad esempio nella opinione di un Archimede, per il quale la tecnica non era una nobile occupazione (il che comunque non vale a escludere che la filosofia se ne occupasse e se ne occupi); o in generale di quanti, nelle varie epoche, avessero ritenuto la natura non imitabile (mediante l’artificio), o considerato le macchine - e gli strumenti della tecnica in generale -, atte semplicemente ad opere servili, o ai divertimenti.
Cultura questa, della distinzione e gerarchia fra arti liberali (nobili) e arti meccaniche (servili), che è stata consacrata scolasticamente - come si sa - dal medioevo; ma che non può ritenersi, sic et simpliciter, cultura medievale, ché si è trascinata anche successivamente, nei preconcetti. 
Ritengo inoltre, in questo mio modo di riflettere, che quella virtù che voglio ravvisare nella filosofia di Cartesio possa essere ricollegata tanto a un’epoca specifica - che egli è chiamato a rappresentare nella nostra memoria soprattutto simbolica - la quale va dalla seconda metà del cinquecento al primo settecento, quanto alla natura stessa del suo pensiero.
Nel quale, in fondo, che cosa avvenne? Avvenne, in un modo singolare e storicamente importante, che il mondo “esterno”, il mondo delle cose, crebbe parallelamente alla crescita del mondo interiore, venendosi a costituire entrambi, nel loro sviluppo, come mondi osservabili, e come res. E ciò fu possibile (anche) perché l’interiorità messa in luce, positivizzata, esposta al mondo, iniziò un suo cammino di esteriorità.
 
Il che significa: il cosiddetto “dualismo” (cartesiano) fra anima e corpo può essere interpretato costruttivamente prima ancora che gerarchicamente (schema, in fondo abbastanza agevole, della superiorità dell’anima sul corpo) o in termini di negazione, dell’una nei confronti dell’altro.
Cartesio, si sa, non ideò quel dualismo, che risaliva invece alla filosofia degli Antichi laddove aveva raggiunto livelli notevoli di elaborazione; egli piuttosto ebbe a porlo, e a svilupparlo, mettendolo nella condizione di dare frutti scientifici positivi - che si possa dire o non, come è stato detto, che quel dualismo ha mostrato assai presto il suo fallimento.

In altre parole: il dualismo fra anima e corpo, con Cartesio, si pone in un modo filosofico tale per cui esso viene contestualmente a incidere sull’ordine scientifico delle cose. Ciò per cui insomma, raccogliendo le impressioni, la filosofia stessa entra nel circuito scientifico positivo. Presentandosi invece, le soluzioni date da altri filosofi al problema, ad esempio da Malebranche o da Spinoza, come non inerenti in modo diretto agli sviluppi della scienza fisica.

Questo significa, ancora, che proprio a quel processo di disincarnazione del pensiero, che Cartesio condusse nelle sue riflessioni e sul quale c’intratterremo, va ricollegata la possibile sensibilizzazione del pensiero occidentale al valore delle scienze positive ed alla realtà fisica (o) esterna in generale. Che proprio nel contesto di quel processo, legato profondamente a una mentalità matematica e anatomica, può essere riconosciuta una prima liberazione di spazi culturali in favore delle macchine, segnatamente quelle dotate di organizzazione, e in ciò liberazione della tecnica. 


martedì 3 giugno 2014

Il «partito giudiziario»




Il “partito giudiziario”, donde poi l’altra locuzione: “democrazia giudiziaria”, in Italia, nel cosiddetto “ventennio berlusconiano” e non solo, sembra avere preso il posto, in quanto a funzione - anche se è qualcosa di più o di diverso -, di un auspicabile quanto mancante partito di opposizione e ciò a causa del formarsi della cd. "casta": la classe dei rappresentanti nemica di quella dei rappresentati... 
Nei fatti, esso si è sostituito - mai dimenticare peraltro che esso origina dal tempo cosiddetto di "mani pulite" - a una ipotetica 'sinistra' (epperò direi: non necessariamente "sinistra") democratica e riformista; meglio ancora: si tratta in fondo del partito della legalità, la quale è stata messa a dura prova dalle classi politiche e di governo, maggioranze e opposizioni - e ancor più: 'partito' o che altro, custode della moralità inscritta nella legislazione e oggettivata, e/o della legalità costituzionalmente orientata... 
Pure, il 'vuoto politico' è rimasto e non sarebbe potuto accadere diversamente: come avrebbe potuto quel singolare “partito”, nonostante l'effetto democratizzante e di giustizia risanatrice, espletare davvero la funzione propriamente riformistica e/o di opposizione 'politica', dal momento che esso era chiamato essenzialmente all'applicazione della legge e in questo ad attribuzioni determinate, nonché all'appagamento del sentimento punitivo popolare, rispondente a un principio generalizzato d’imputazione? Ovvero a quel desiderio oltremillenario di vedere i politici, pur essendo magari sempre disposti a baciarne il lembo della veste, in prigione? Effetto antico dunque e non direttamente politico, e... 'ambivalenza emotiva'? 
Era nel trascorso ventennio che la repubblica stessa secundum legem si opponeva a una praeter legem, tutelata la prima nel suo lavoro dal principio di legalità e da quello della separazione dei poteri, meglio della 'divisione del potere'. E in questo nei fatti qualcuno ha voluto vedere che un organo costituzionale dello Stato era divenuto come un partito, garante dell’ordine giuridico, costituzionale e democratico. Ma perché - mi domando - una siffatta anomalia? Perché - cosa non frequente - la corruzione e la elusione della costituzione si erano materializzati in un partito, che governava; ma certo non si può escludere in un altro, che si sarebbe dovuto opporre e la cui funzione appariva invece sempre più integrativa di un sistema. E perché in questo singolare teatrale 'bipolarismo', si stava costituendo - a voler semplificare - una sorta di anti-Stato nel cuore stesso dello Stato... 
Allarme attentato al tribunale di Palermo (foto: ANSA)
La procura di Palermo
Ma vi è dell’altro, che merita di essere sottolineato, per ottenere una spiegazione; qualcosa di meno specifico della realtà italiana, ed è che secondo le teorie del realismo giuridico, segnatamente scandinavo, il giudice è (prima ancora di esserlo divenuto) legislatore. Il che non dovrebbe sorprendere più di tanto, ché si riallaccia in fondo agli insegnamenti del diritto di Common Law