martedì 3 giugno 2014

Il «partito giudiziario»




Il “partito giudiziario”, donde poi l’altra locuzione: “democrazia giudiziaria”, in Italia, nel cosiddetto “ventennio berlusconiano” e non solo, sembra avere preso il posto, in quanto a funzione - anche se è qualcosa di più o di diverso -, di un auspicabile quanto mancante partito di opposizione e ciò a causa del formarsi della cd. "casta": la classe dei rappresentanti nemica di quella dei rappresentati... 
Nei fatti, esso si è sostituito - mai dimenticare peraltro che esso origina dal tempo cosiddetto di "mani pulite" - a una ipotetica 'sinistra' (epperò direi: non necessariamente "sinistra") democratica e riformista; meglio ancora: si tratta in fondo del partito della legalità, la quale è stata messa a dura prova dalle classi politiche e di governo, maggioranze e opposizioni - e ancor più: 'partito' o che altro, custode della moralità inscritta nella legislazione e oggettivata, e/o della legalità costituzionalmente orientata... 
Pure, il 'vuoto politico' è rimasto e non sarebbe potuto accadere diversamente: come avrebbe potuto quel singolare “partito”, nonostante l'effetto democratizzante e di giustizia risanatrice, espletare davvero la funzione propriamente riformistica e/o di opposizione 'politica', dal momento che esso era chiamato essenzialmente all'applicazione della legge e in questo ad attribuzioni determinate, nonché all'appagamento del sentimento punitivo popolare, rispondente a un principio generalizzato d’imputazione? Ovvero a quel desiderio oltremillenario di vedere i politici, pur essendo magari sempre disposti a baciarne il lembo della veste, in prigione? Effetto antico dunque e non direttamente politico, e... 'ambivalenza emotiva'? 
Era nel trascorso ventennio che la repubblica stessa secundum legem si opponeva a una praeter legem, tutelata la prima nel suo lavoro dal principio di legalità e da quello della separazione dei poteri, meglio della 'divisione del potere'. E in questo nei fatti qualcuno ha voluto vedere che un organo costituzionale dello Stato era divenuto come un partito, garante dell’ordine giuridico, costituzionale e democratico. Ma perché - mi domando - una siffatta anomalia? Perché - cosa non frequente - la corruzione e la elusione della costituzione si erano materializzati in un partito, che governava; ma certo non si può escludere in un altro, che si sarebbe dovuto opporre e la cui funzione appariva invece sempre più integrativa di un sistema. E perché in questo singolare teatrale 'bipolarismo', si stava costituendo - a voler semplificare - una sorta di anti-Stato nel cuore stesso dello Stato... 
Allarme attentato al tribunale di Palermo (foto: ANSA)
La procura di Palermo
Ma vi è dell’altro, che merita di essere sottolineato, per ottenere una spiegazione; qualcosa di meno specifico della realtà italiana, ed è che secondo le teorie del realismo giuridico, segnatamente scandinavo, il giudice è (prima ancora di esserlo divenuto) legislatore. Il che non dovrebbe sorprendere più di tanto, ché si riallaccia in fondo agli insegnamenti del diritto di Common Law