Credo che la lotta di classe quale si ha nella rivolta cruenta sia
inscritta nella economia, come regola - lascio ad altri dire se necessaria o
eventuale -, prima di essere un che di riprovevole, ovvero una pura forma di
violenza. E che lo sia, inscritta nella economia, tanto quanto lo è l’ordinamento
giuridico; ché essi necessariamente s’incontrano con il sociale. E ancora: ritengo la povertà un prodotto economico, una realtà oggettiva spendibile; ciò che rende possibile che il povero sia (come) merce.
Lo spunto, per parlare sia pure brevemente di queste cose mi viene dato dalla
lettura di alcune pagine scritte (come presumibilmente potrebbero esserlo state da altri) dal
prof. Fontanarosa, riguardanti la storia della servitus, a datare dall’antica economia romana,
attraverso l’epoca postclassica a quella medioevale.
La riduzione in schiavitù, che caratterizza l’epoca
espansionistica della respublica (dal 327 ca. a.C. in poi), ché con
riferimento a quella arcaica non se ne può parlare, è legata a cause
rigorosamente economiche. Innanzi tutto le guerre, che richiesero manodopera
per così dire extra muros,
non già limitata cioè ai filii o ai plebei ma estesa massicciamente
ai prigionieri di guerra; poi l’indebitamento, in senso generale; poi le
condanne penali (per omicidio, renitenza alla leva, evasione fiscale,
lenocinio, adulterio; laddove accade spesso che i poveri divengano schiavi per
non poter pagare le pene pecuniarie).
Della economia però sono parte tanto la servitus - ovverosia il costituirsi di un certo
tipo di rapporto di lavoro o di produzione - quanto le sue cause
generatrici, quanto le azioni necessarie per liberarsene;