Come i parlamenti dell’Europa medievale già prima dei
secoli XII e XIII erano chiamati nei fatti all’ufficio del rappresentare,
così tale ufficio appare, oggi più che allora, irrinunciabile, soprattutto
sotto un profilo formale.
Difficile immaginare, antropologicamente ancor prima
che giuridicamente, l’organizzazione politica di una società senza
parlamento e cioè senza luogo e/o modo nel quale convenire (e contarsi, e usare
il linguaggio, appunto non "parlare" ma "parlamentare") per prendere decisioni che impegnino una intera comunità, o un
intero popolo.
Ciò lo si può attribuire a tre ordini di cause: che il
consenso popolare in qualsiasi forma è ineludibile, per chiunque abbia il
potere, che la rappresentanza politica ha radici tanto sociali quanto
istituzionali (il pensiero va alla repubblica ginevrina, per la valorizzazione
fattane da Rousseau) e che la funzione legislativa - che si dà spesso come
prevalenza del parlamento - non combacia con quella rappresentativa in quanto
tale.
Ovvero sarebbe difficile immaginare l’organizzazione
politica di una società senza un qualche parlamento se, per
assurdo, non vi fosse differenza tra mera partecipazione alla formazione di decisioni
o leggi e potestà di decidere o di legiferare. E qui prende vigore per noi la
ricostruzione storica.
Del parlamento in senso moderno - avvertiva Antonio
Marongiu - non è agevole individuare la vera esatta origine