La nostra Costituzione formale assicura la
tutela dei diritti e libertà fondamentali dell’uomo ma poi non dice esattamente
quali siano quei diritti, e meglio: non li elenca; ma poiché non può non
renderli riconoscibili è rimesso alla giurisprudenza e alla dottrina, in
accordo con la evoluzione delle cose, parlare per conto del testo
costituzionale, stabilire cioè valori con riferimento ad esso.
Checché ne dicano certi paladini della
costituzione materiale, la
costituzione formale ha già in sé necessariamente un principio di materialità,
altrimenti non sarebbe tale - perché essa non è un sistema chiuso ed è in fieri, non soltanto quale
dover-essere giuridico, non solo quale valore d’interpretazione, non solo
perché a giurisprudenza e dottrina è dato svilupparne il senso e i contenuti;
ma perché essa non tradirà mai interagendo con essa quella società e/o civiltà
rispetto alla quale essa sarà come una struttura logica e letteraria aperta
(diritti e doveri).
La nostra costituzione formale dedica ai
principi (che in essa - si fa spesso notare - non sono preambolo, dunque non sono testo a sé) i 12 articoli
iniziali.
La dottrina insegna poi che quattro o poco
più sono i principi fondamentali e cioè informatori dell’intero testo: l'egualitario, il personalista,
il lavorista, il pluralista, l’internazionalista, ecc… I quali tutti possono
essere se non assorbiti certo ricondotti a quello personalista: rispetto e dignità della persona, in primis, ora dedicandole un reddito e
un lavoro, poi la salute, poi un processo equo, poi libertà di manifestazione
del pensiero e religiosa, ecc. E qui entriamo appunto nella zona di competenza della
interpretazione; qui ci s’interroga sui diritti fondamentali.