Cercare
di capire il cristianesimo delle origini attraverso i testi
dell’anticristianesimo di allora (siamo nei secoli che vanno dal I al V) è un utile esercizio del pensiero.
Negli scritti di autori quali Celso
e Porfirio, Epitteto e Marc’Aurelio, Galeno di Pergamo e Luciano di Samosata
(merita ricordare al riguardo la silloge curata nel 1992 da Fabio Ruggiero) ciò
che emerge è la follia dei
cristiani: la loro insensatezza (aponòia), la loro amentia (il termine origina da Cicerone: Cat.
II, 25), la alogìa (Epitteto), l'essere fra il disgraziato e l'imbecille (Luciano usa il termine greco kakodaìmon), l’antifilosoficità, la
pratica della magia (Svetonio), il fanatismo, una ridicola credulità puerile,
l’assenza totale della paura di morire, l’imbattibile vocazione - e
provocazione - al martirio; in poche parole tanto la dabbenaggine quanto il
fanatismo, quanto la irrazionalità, quanto la rozzezza.
il filosofo Celso |
Quegli scrittori, di cui spesso s’ignorano persino i nomi, si
posero a baluardo della cultura antica. Era il loro un buon polemismo, nel
quale si possono ravvisare umanismo e voltairismo ante litteram; ma quella era solo la cultura raffinata dei Gentili e ad
essi non restò che rappresentare un mondo sul quale già era calata la
nostalgia: se scrivevano, era perché la storia aveva già deciso.