giovedì 21 marzo 2013

Del “giallo Ipazia”: semplicemente cattivo cristianesimo?



Fu il vescovo Cirillo (san Cirillo, detto il “custode dell’esattezza” e cioè della vera fede e “sigillo dei Padri”, i cui scritti papa Benedetto XVI ha definiti di “primaria importanza per la storia del cristianesimo”; ma anche il “fondamentalista” Cirillo) il responsabile di un efferato omicidio, con scorticamento, sbranamento e bruciamento delle carni, quale fu nel 415 d.C. quello della filosofa Ipazia? Un delitto rimasto impunito dalla debole giustizia imperiale?
Figlia del matematico Teone, rettore della locale Accademia alessandrina, il famoso museo-biblioteca-accademia, che sarebbe stato messo a fuoco dal popolo dei cristiani; ella stessa matematica (la prima della storia e l’unica, per oltre un millennio), forse più matematica, astronoma e inventrice che non propriamente filosofa (ma il dubbio, di Damascio, non è condiviso da altri: secondo lo storico Socrate Scolastico Ipazia fu terza caposcuola del platonismo - dopo lo stesso Platone e Plotino) e donna comunque di eccellenza, per intelletto e moralità, capace di sorprendere - avrebbe sottolineato Diderot  (M. Donvito) - non solo il popolo ma di più i filosofi. Si tramanda che girasse - coraggiosamente, poiché il clima del tempo era di violenta intolleranza -, con indosso il mantello dei filosofi e che s’intrattenesse con discepoli, sapienti e popolo (: condividere la conoscenza con il popolo).
Fu dunque Cirillo a dare l’ordine («sia lapidata a morte!»), come alcuni sono pronti a giurare? Fu egli mandante o complice, essendo comunque che fu un manipolo di popolo o di fanatici monaci combattenti, i “parabolani”, una sorta di milizia privata adusa presumibilmente a certe operazioni, a sporcarsi le mani di quel sangue; ma non si sa se per sua iniziativa?