Nella interpretazione resa da certa scuola di pensiero, il diritto
positivo non sarebbe più il diritto positivo che sapevamo, poiché nel suo corpo sono
penetrati elementi della morale e del diritto "giusto" cosiddetto; ma non solo nel suo
corpo - debbo presumere - e invece anche nello spirito, che vi si traspone.
Codeste penetrazioni, che hanno messo in second’ordine il modo tradizionale d'intendere la distinzione fra diritto e morale, si sarebbero avute a
causa delle moderne costituzioni e convenzioni e dichiarazioni nazionali e internazionali
dei diritti. I quali fenomeni dunque non si possono leggere come un “di più” per dire cibo per moralisti o sognatori o idealisti; ma come evoluzione necessaria del
diritto, in senso oggettivo e come cultura.
E si tratta in certo modo di un paradosso, se si considera come a
un bisogno crescente di fissare regole generalmente valide e principi - a loro
volta universalmente oltre che generalmente validi - e cioè a un bisogno di
sempre nuovo diritto positivo (tempo addietro mi era capitato di parlare di “diritto
positivo alla ribalta”, a voler illustrare detto bisogno), abbia fatto
riscontro una crisi della concezione giuspositivistica del diritto.
H. van Groot (1583-1645) |