martedì 21 maggio 2013

Stato di angeli, ... ...



La morale è interiorità, il diritto esteriorità. Attorno a questa chiara distinzione - ma guai a farne una questione di gerarchia (!) - ruota, più di quanto forse non risulti subito evidente, l’intero costrutto della filosofia politica kantiana - e non solo kantiana. 
Forse che Kant si sia limitato a enunciare principi insiti nelle opere dei pensatori che lo avevano preceduto, pur distanti da lui nella opinione corrente in quanto a sensibilità intellettuale (ad esempio Machiavelli)? O forse che in ciò egli abbia anticipato motivi di fondo presenti poi, in modo più manifesto, nei filosofi che sarebbero venuti dopo di lui (ad esempio subito Hegel, più forse con l'idea dello Stato bene organizzato che con il concetto di “eticità”: Sittlikheit, esposto nei Grundlinien)? Certo è che le sue posizioni risultano perfettamente allineabili con l'illuminismo. 
Comunque sia, ciò è quanto si può ritenere qualora si ammetta che “morale” è tanto sinonimo di “perfezione” (l'assoluto individuale) quanto oggetto di attenzioni scientifiche, anche in relazione ai suoi possibili risvolti negativi. Ed è qui che si ha il senso di una crescita civile, legata al governo delle leggi. 
Prendiamo in considerazione, per spiegarci, l’immagine dello Stato di angeli, alla quale si fa cenno nello scritto del nostro Autore sulla Pace perpetua
La forma repubblicana (“la sola che si adatti perfettamente al diritto degli uomini, ma anche la più difficile a costituirsi e anche più a conservarsi”), secondo il filosofo tedesco, è la migliore organizzazione per lo Stato