Che cosa è più "rivoluzionario"? La morte inattesa,
prematura - e cioè non convincente - di un papa o, in alternativa inquietante, le sue
altrettanto inattese dimissioni (un rimettere gli effetti alle cause) dalla carica? E anche: si tratta di gesti di
forza, o di debolezza?
Certo il ministerium
Petri è assai impegnativo; ma - mi domando - non lo è troppo, a rigor
di logica, e il peso non si fa insostenibile (e nemmeno quel Dio che ti
costringe amorevolmente ad accettare ti può dare la forza), allorquando ci si
debba inchinare ai compromessi, non volendolo più fare? Oppure quando il bene e
il sentimento religioso si senta che sono altrove, rispetto alla loro sede
istituzionale, o che sono fuggiti via? O quando ci si senta vanificati in ogni
volontà di miglioramento?
In generale, il carattere rivoluzionario di un gesto è
direttamente proporzionale alla importanza della carica che si ricopre. Ma è
veramente quello del papa tedesco, amico di Habermas, un gesto rivoluzionario?
O non piuttosto la pubblica opinione dice “rivoluzione” per dire
“sensazionalità”? Ché si tratta di un atto che suscita clamore e toglie qualche
ragnatela dai muri, distraendo se non altro da uno stato d’ipnosi e da tanta
pigrizia mentale, nella interpretazione della cattolicità?