La democrazia, e con essa il
costituzionalismo democratico, si basa sul relativismo
filosofico.
È questa, a mio parere, l’indicazione di fondo, ritengo non paradossale, fornita da J.J. Moreso ne La
giustificazione kelseniana del “Judicial Review” (Napoli, 2012); un
contributo stimolante, nel quale si rende del costituzionalismo del famoso
giurista una immagine tale per cui i pro
rischiano di essere messi in ombra - ma per chi non ha troppa finesse - dai contra.
Che, per ammissione del suo autore, la dottrina pura di Kelsen abbia, nei suoi due principi: della clausola alternativa e della definitività, come riferimento il relativismo filosofico, significa in breve che essa è mossa da un principio di effettività. Ciò che la “purezza” è chiamata a tutelare non è sic et simpliciter la validità della norma giuridica ma la sua validità sino al giudizio in senso contrario (per bocca di una corte suprema) come conferma - in quanto all'effetto - della sua validità. Quasi insomma una idea di validità trascendentale ma per certi motivi. Ciò per cui nell’ordinamento giuridico non si darebbero norme nulle ma solo norme annullabili. Dove però l’annullabilità non supera la validità e la validità presunta non deve far sparire la annullabilità.
Che, per ammissione del suo autore, la dottrina pura di Kelsen abbia, nei suoi due principi: della clausola alternativa e della definitività, come riferimento il relativismo filosofico, significa in breve che essa è mossa da un principio di effettività. Ciò che la “purezza” è chiamata a tutelare non è sic et simpliciter la validità della norma giuridica ma la sua validità sino al giudizio in senso contrario (per bocca di una corte suprema) come conferma - in quanto all'effetto - della sua validità. Quasi insomma una idea di validità trascendentale ma per certi motivi. Ciò per cui nell’ordinamento giuridico non si darebbero norme nulle ma solo norme annullabili. Dove però l’annullabilità non supera la validità e la validità presunta non deve far sparire la annullabilità.
Hans Kelsen |
La validità così trascolora (o che cosa?) in effettività, il che significa anche che
bisogna vigilare su sempre possibili identificazioni. E a questo punto il problema
non è tanto che il relativismo filosofico nei suoi interpreti non si occupi di
democrazia ma che comunque al fondo della Reine
Recthslehre sembra scorrere un fiume scettico, forse anche oscuro, che bisognerebbe come
quantificare.
Ora in tutto questo io insisterei su un
punto: dove non vi è assolutismo, lì vi è relativismo; insisterei cioè, al di là delle ragionevoli adesioni, sulla difficoltà
di questo passaggio; nei termini per cui tale è il formalismo kelseniano per
cui il diritto naturale in certo senso viene tenuto fuori, troppo e quasi
chirurgicamente, dal diritto positivo. E accosterei tutto ciò alla questione
stessa della democrazia, per quanto essa si presenti come costituzionalismo
democratico.
Che cosa significa relativismo filosofico, almeno nella esposizione che ne fa il prof. Moreso? Secondo una prima spiegazione, incline
allo scetticismo, esso per il suo contrapporsi
all’assolutismo filosofico “si basa su una netta separazione fra la realtà e i
valori e distingue fra proposizioni sulla realtà e genuini giudizi di valore i quali,
in ultima analisi, non sono basati su una cognizione razionale della realtà bensì
su fattori emozionali della coscienza umana, sui desideri dell’uomo e sulle sue
paure. Poiché essi non si riferiscono a valori immanenti in una realtà
assoluta, non possono fondare valori assoluti ma soltanto relativi” (ivi, testo cit., alla pag. 16).