Un cœur oublié, ovvero quale occasione migliore di un film, sulla vita del signor de Fontenelle - romanzata, certo, per ruotare
attorno al fatto che costui alla età di oltre ottant’anni si fosse invaghito di
una bella fanciulla, di maniere dolcissime e d’ingegno non comune - per
comprendere almeno due cose della storia: che la libertà è quello zefiro che
soffia su qualcosa come una Enciclopedia - dictionnaire
raisonné des sciences, des arts et des métiers ovvero il bisogno di riunire il
sapere promuovendolo come in un exploit -, confortandola e proteggendola e che la libertà nel pensiero
così data, che solo trova modo di svilupparsi nei salotti, laddove lo spirito e
la parola non abbiano il tempo di occuparsi dei bisogni materiali, apre il
varco alla libertà politica; che è però altra cosa da quella, ha altra natura. Voglio dire: il nesso merita di essere ritenuto piuttosto sorprendente che ovvio.
Intendo ripensare un po' in
questo anche il legame fra illuminismo e rivoluzione francese e di come la libertà
di un Voltaire, di un Diderot o di un d’Alembert, pur non coincidendo con
quella ma a quanto risulta ad essa avendo dato l’avvio (non basta la Riforma per spiegare le rivoluzioni borghesi), siano stati il pretesto per altra
libertà, pragmatica, che sarebbero state piuttosto istanze di giustizia ed
eguaglianza economico-sociale e umana, tolta alle confessioni religiose,
unitamente al potere sulle scienze, la forza della promessa.