Tanto più è attuale il personalismo, nella generale decadenza della filosofia, tanto più esso si riforma, pur dichiarato morto o superato, quanto più lo sono, attuali, la massificazione, l’insicurezza, la vita come esperienza di rischio, la paura.
Ovvero il suo messaggio si è dimostrato in grado di evolvere e/o trasformarsi, in presenza così di una malattia incurabile come di una guerra, come di un terremoto, o di un regime politico-economico che abbia in progetto - democrazia o non - di perseguitare i liberi e gli umili, o di massificare. A prescindere dal tempo; ma in presenza dei nemici dell’uomo, che sono così l'imprevedibile, come l'altro uomo, nascosto nell'ombra dell'altro; come la folla che sbanda o quella che assiste a un concerto rock, o che comunque plaude contenta e complice, quanto ogni forma di omologazione finanche “libera”, dettata dalla tecnologia incessante, ossessiva della novità, quanto il vecchio esercito, di cui parlava Freud, ecc. E laddove si possa dire che la sua forza non stia nella contrapposizione a una teoria precisa ma nella persona vivente e nel suo coraggio.
Abbastanza chiaro può risultarne quindi il noto enunciato di Paul Ricoeur, secondo cui «Muore il personalismo, ritorna la persona» (Esprit, I, 1983, p. 113); quasi a lasciare intendere che se si annienta l'uno non si annienta l'altra - e beninteso anche viceversa. E più radicalmente avrebbe potuto dire Mounier: la persona non si definisce ma si vive. Mettendo sempre dinanzi alla filosofia uno stato d'animo in più, nel coinvolgimento nei fatti.
Abbastanza chiaro può risultarne quindi il noto enunciato di Paul Ricoeur, secondo cui «Muore il personalismo, ritorna la persona» (Esprit, I, 1983, p. 113); quasi a lasciare intendere che se si annienta l'uno non si annienta l'altra - e beninteso anche viceversa. E più radicalmente avrebbe potuto dire Mounier: la persona non si definisce ma si vive. Mettendo sempre dinanzi alla filosofia uno stato d'animo in più, nel coinvolgimento nei fatti.