mercoledì 22 maggio 2013

Il pudore della pena






L'epoca dei Lumières, nel maturare dei suoi effetti, segna il tramonto delle pene afflittive e meglio: lo spiega. 
Il corpo cessa di essere l'oggetto principale dell'esecuzione penale la quale è sottratta alla condizione di pubblico spettacolo: la pena - scrive Foucault - "lascia il campo della [di una - per noi oggi; ma allora? - orribile, terrificante] percezione quotidiana, per entrare in quello [più mite, più ... umano] della coscienza astratta". Ora, se questo è vero, allora bisognerà spiegarsi il senso di un'"astrazione". 
Il mutamento racchiude in sé motivazioni "politiche": già nel cinquecento, come lamentato dal noto criminalista de Damhoudère (il quale in questo veniva ad anticipare il Beccaria), i pubblici supplizi non fornivano una buona immagine della giustizia penale, la quale in nome della sovranità commetteva nei rituali dell'esecuzione crimini più atroci di quelli che puniva. 
Culturalmente, v'erano allora le premesse per l'abbattimento di qualcosa di primigenio della giustizia penale (: “non di rado la punizione dà agli esecutori l'opportunità di commettere a loro volta, sotto il manto giustificativo dell'espiazione, la stessa azione sacrilega": Freud, Totem e tabù); ma è proprio qui il punto... 
La distruttività punitiva insomma - ancora troppo vicina all'antichità, anch’essa per noi “inumana” ma allora “giuridica”, mettiamo, della crucifixio o della ossis fractio, o del culleus (il sacco, o analogo contenitore, nel quale era cucito il corpo del reo ancora in vita) dei parricidi - non valeva a "educare".  
File:Cesare Beccaria 1738-1794.jpg
Cesare Beccaria

Se le antiche pene negavano annientandolo il corpo, con l'ingresso dell'illuminismo nella storia delle istituzioni la filosofia penale diviene "moderna" e ruota attorno a una diversa economia del corpo, il quale in certo senso ne esce valorizzato. Ora la pena non lo dilania più ma lo custodisce in cambio della privazione della libertà, laddove custodire equivale a educare e redimere; ora essa invece di ostentare distruggendo nasconde conservando (idea di detenzione punitiva). 
Al centro dell'attenzione vi è sempre un progetto di mortificazione della carne; ma se l'esecuzione penale nel suo modo afflittivo sbranava, squartava e bruciava corpi, ora essa, per l'idea detentiva, interna celando (con il corpo l'identità; ma la stessa esecuzione) e conserva nella costrizione; essa così libera l'anima e la coltiva, politicamente, limitando(ne) la libertà (Marat). 
Nel sette-ottocento l'idea punitiva trasformandosi lascia trasparire un ordine "spirituale" ed è in questa chiave che va apprezzato l'illuminismo per ciò: che esso si è reso filosofia dello ésprit
Ma può la filosofia dei lumières spiegare tutto, se si può in qualche modo dimostrare che i meriti che ad essa si attribuiscono non iniziano propriamente nel settecento e se il suo compito, o le sue profonde indicazioni, non hanno trovato vera applicazione nel mondo attuale? 
Vi sono, a questo proposito, taluni elementi di fatto che c'inducono a riflettere. Ad esempio: tra le primissime opere edilizie legate alla detenzione punitiva (l'edificazione è qualcosa che spiega, in cui cioè una cultura specifica si dispiega) figurano il "carcere nuovo", fatto erigere da papa Alessandro VI nel 1655 e l'istituto per malfattori minorenni inaugurato da papa Clemente XI nel 1703. 
Questo può significare che vi furono all'epoca papi illuminati; ma significa anche che non basta nominare la raison per spiegare la razionalizzazione (del diritto, di una istituzione, di una procedura, di un rapporto) e ci vuole una idea più "religiosa" (in modo laico) di purificazione e redenzione che si contrapponga, potendolo sostituire, al modello del supplizio e della morte atroce. E qui assume rilievo l'identificazione dell'origine della detenzione punitiva nella "prigione monastica" medievale: l'episodio significativo è la condanna di suor Virginia Maria di Leyva, conosciuta come la monaca di Monza. 

Certa quale psicologia cristiana medievale è dunque importante per comprendere la trasformazione del sistema delle pene in età "classica". Permane la costante della pena come punizione; cambia il tipo di mortificazione della carne, nel senso che non di sbranamento o messa al rogo e cioè di brutale esteriorità si tratta ma di privazione di un bene spirituale quale la "libertà". 
I meriti dunque potrebbero dirsi piuttosto cristiani che illuministici, se non fosse che tanto la raison - pure utopica - fu informata a ideali di trasformazione concreta della società politica quanto s'impose in questo un'attitudine psicologica che essa condivideva con altra cultura: una forma di pudore della mente. Se non fosse, per converso, che, conoscendo la storia, lascia perplessi il far parola di una psicologia "cristiana". Resta il fatto che nulla, per principio d'inerzia, avrebbe sottratto la esecuzione penale a riti raccapriccianti, se alcuni papi non si fossero resi protagonisti di una nuova politica. 
Se comunque si possono avere così oscillazioni fra cristianesimo e illuminismo, per cui addirittura nel secondo sarebbe ravvisabile una certa quale evoluzione del primo, non se ne hanno con riguardo ad un ipotizzabile sentimento del pudore, che accomunerebbe due culture apparentemente distanti, per non dirle ostili l'una all'altra. 
Ovvero, con la parola "pudore" si possono spiegare molte cose; qui, nel nostro caso, a voler significare il crollo del sistema afflittivo, il celamento del reo, la sottrazione dell'esecuzione e dunque del corpo al pubblico spettacolo, si può parlare (con Foucault) di pudore della pena - nel quale noi postmoderni siamo ancora presumibilmente immersi. E ci si potrebbe spingere sino al punto di unificare, sotto un'unica parola, più cose diverse fra loro: così il principio di pubblicità del processo penale come quello di eguaglianza della pena, e questi al pari della detenzione o della solitudine monastica. Pudore dunque dell'internamento, in senso generale e istituzionale. 
Ma pudore, si potrebbe aggiungere a questo punto, come forma o clausola di un nuovo "patto sociale". Le descrizioni della società del sei-settecento forse suggeriscono questa conclusione, quando parlano dei principi in base ai quali nacque l'internamento. 
Vien fatto di pensare, in base alle ricostruzioni di cui si dispone, che la moderna detenzione si sia affermata in Europa allorquando la vita delle città - soprattutto quelle con un maggiore sviluppo industriale - divenne complessa e più pressante, quando cioè i mendicanti (i paupers del Poor Law; la plebe urbana, che secondo Hegel non dava lustro allo Stato) e mescolati con essi gli "insensati", occuparono gli angoli delle strade e gli spazi antistanti le chiese; avvenendo in ciò che la miseria cessasse di essere santificata. E questo va sospettato, almeno quanto insospettisce, nei termini di una ricostruzione storica, il particolare non trascurabile della necessità "politica" di erigere proprio in Roma un carcere per i minorenni. Alla luce di una complessità nuova della realtà urbana e di una nuova psicologia in formazione infatti, un carcere può equivalere ad un ospedale tanto quanto punire è aiutare a guarire. E almeno questo tramandano i documenti: negli hôpitaux francesi del sei-settecento i mendicanti venivano salassati, purgati (con l'assistenza dei medici) e quindi rimessi in libertà. Ed anche: in pieno ottocento, in Francia come in Gran Bretagna, le prigioni ospitavano indistintamente criminali, folli e mendicanti. Questione di "controllo sociale", ma legato obiettivamente ad una nuova morale urbana. 
Nel crollo del sistema afflittivo e nel prender piede dell'internamento e della custodia si afferma dunque il pudore della pena, ovvero: punire è curare; rinchiudere è assistere; nascondere è punire e anche viceversa; ma per tutto questo nascondere è anche nascondersi. 

L'impressione, storicamente parlando, è che in epoca "classica" la città, facendo sua e metabolizzando (un po' "laicizzando") ogni possibile utilità di pensiero, di cultura e di superstizione religiosa, si sia trovata a erigere una morale sua propria, imbevuta di pudore e in ciò ambivalente. E che questo assunto, se accettato, possa spiegare anche di più rispetto alle ricostruzioni dei dottrinari. Detto, ciò, restando entro il perimetro della psicologia e nel rispetto dei Kant e dei Beccaria. 

(Rielaborazione da D&G, a. 2002; già pubbl. anche in Europa Giovani, 3 marzo 2009)

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