È insito nella parola
liberalismo il rischio che alla
libertà possa o debba essere dato toccare, prima o poi, la sua stessa radice. O
anche: vi è una componente radicale nel liberalismo, per cui questa o quella idea di libertà è tale da chiedere, per non
sconvolgere il mondo, un faticoso riconoscimento.
L’informatica
giuridica e il diritto dell’informatica sono di scena da anni e la “verità internet”, la cosa nuova, come quaestio iuris oggi non è più nuova
com’era: essa continua a fare pressing
sul diritto positivo scritto costringendolo a disciplinare il fenomeno, alle
volte arginandolo ma per lo più oggi non potendo non riconoscerlo. Non si
tratta però solo di fenomeni indotti e di condotte (illeciti civili, penali ecc.) che
la rete abilita de facto e rende più
inafferrabili e impunibili; e invece, scavando nella regola del giuridicamente
rilevante, si tratta di domandarsi: quale il rapporto diretto fra internet (o l'internet) e il diritto: oggettivo, soggettivo ecc.?
Io avrei citato anche Toland e il libero pensiero, o Diderot e la lotta per la libertà di scrittura (informativa, di manifestazione
del pensiero ma nei romanzi quanto nei libelli, quale fu quella dei philosophes). Dal canto loro i giuristi da una parte si
riallacciano alla tradizione filosofica del costituzionalismo, dall’altra -
sono in fondo i due poli della questione - citano Rifkin, il quale con riferimento
al Web aveva parlato anni fa di «èra dell’accesso»; enunciando il principio per
cui «non essere connessi è la morte»[4],
con senso sociologico radicale e in ciò stesso intinto nella malinconia;
riferendosi alla vendita di accessi alla
realtà quali esperienze culturali, a un capitalismo socialmente vissuto nello
scambio culturale a distanza e insomma
in generale alla new economy.
Compito del giurista però
è ricondurre prudentemente la questione al tema delle situazioni giuridiche
soggettive [5],
del diritto soggettivo, o costituzionale, o fondamentale all’accesso, per dire della esperienza giuridica che
ne consegue. Egli deve insomma attenersi alla sua cultura.
E i risultati sono così
riassumibili: la rete concretizza la libertà, la rende praticabile in un certo
contesto, venendo ad essere chi la pratica autore e contemporaneamente editore-imprenditore
di sé stesso (senza che per questo la libertà d’impresa possa o debba assorbire
in sé quelle della persona); il diritto di accesso a internet è accostabile a,
o è lo stesso che, un diritto o libertà fondamentale. Crescono in generale,
mutando la natura del medium, i margini
dell’autolegittimazione; internet implica che si riconfigurino idee, concetti e
istituti giuridici ma non solo giuridici; che nel Web si ha un diritto di
cittadinanza che va oltre i diritti di cittadinanza ufficialmente riconosciuti[6]. La
rete digitale consente a un diritto costituzionalmente fondato di mostrare che
il suo fondamento va al di là delle costituzioni scritte e si può trovare
altrove e insomma che esso non si risolve in, non si può limitare a, un suo
fondamento o medium specifico (trascende
qualsivoglia medium di cui non può
fare a meno). Se un medium poi può
liberare completamente idee e immagini …
Pure in tutto ciò si
ha a che fare con quella che potrebbe non essere semplice ambivalenza: un
diritto naturale, o un diritto costituzionale o internazionale positivo
preesistono a internet, se di internet si viene a parlare in termini giuridici.
Può essere allora che il Web come modo di scrivere e di pensare, se si
ricollega ai diritti e alle libertà, questi non siano più gli stessi? Ed è
così, credo, necessariamente, per quella che ne è via via l’esperienza.
Internet dunque si
pone, secondo tale prospettiva, quale nuovo campo di esercizio delle libertà
costituzionali e/o dei diritti fondamentali, in primis la libertà di manifestazione del pensiero ma non solo e
anche - il che è una novità - il diritto a essere informati, laddove le tre
libertà: di «espressione, comunicazione e informazione» sono «fortemente
connesse»[7]. E
si è potuto parlare così di un diritto costituzionale dell’informatica[8]. Esso
da una parte si fonda sui diritti costituzionalmente riconosciuti (cinque
articoli della nostra Costituzione sarebbero, si è fatto notare, a sostegno di
internet: il 3, il 18, il 21, il 33 e il 41[9])
dall’altra riconfigura quei diritti e libertà, dall’altra ne costituisce il
nuovo fondamento e la nuova occasione, allargata o potenziata. Dall’altra
ancora ne pone di nuovi.
E qui è entrata in
azione la giurisprudenza e non sono mancate le autorevoli pronunce di alcune
corti costituzionali; ne è nato insomma, a conferma di un movimento storico
reale, un «dialogo transnazionale fra le corti»[10]: l’una
nelle sentenze rimanda all’altra.
Anni fa a proposito di
internet scrivevo due cose: in primo luogo che esso va al di là degli stati e
culture nazionali e di una acquisita e consolidata coscienza politica del
diritto come coscienza determinata. Il sillogismo allora era il seguente: se con internet è «posto in dubbio lo spazio-tempo e dunque
lo spazio territoriale, allora necessariamente lo è la territorialità, anche quale
elemento costitutivo dello Stato». Dunque la rete, contribuendovi, «corrisponde
storicamente con la crisi dello Stato-Nazione considerato sotto i profili della
sovranità territoriale, dei livelli di scambio e della produzione di valori
giuridici. Lo Stato che nella formazione cinquecentesca della Nazione tedesca
aveva tratto nutrimento dalle edizioni a stampa della Bibbia nella traduzione
di Lutero, proprio in questa sua connotazione [spirituale] d'origine ora è
investito criticamente dai nuovi media»[11].
Tutto questo era per
così dire nella natura della cosa: ora quello che qui mi trovo a sottolineare, a
distanza di tempo, è però l’aspetto della libertà: l’individuo che apre nuovi
spazi giuridici nella lotta contro lo spazio-tempo; il liberalismo per il modo
come esso si caratterizza nell’èra della comunicazione digitale. Ovvero
l’azione di sfondamento che avviene, grazie a tecnica e volontà e pensiero umani
e dopo essere avvenuta fa sì che si parli di conquiste di libertà.
In secondo luogo scrivevo
del destino istituzionale della rete e la cosa mi sembra confermata non solo
dalle carte e dichiarazioni, segnatamente di marca europea (Trattato che adotta una costituzione per
l’Europa, art. 248 e 253; Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione, art. 71; Dichiarazione di Riga del 2006, raccomandazione
Lambridis del 2009, ecc.); da ricollegare idealmente e alla Convenzione di
Roma sui diritti dell’uomo e alla Déclaration
des droits de l’homme del 1789 (art. 11); ma anche dal fatto che le società
e gli enti abbiano affollato gli spazi Web. Istituzionale infatti è la
rilevanza o funzione pubblica prima ancora che la natura pubblica.
Libertà quindi e
istituzione: se contrasto vi è, allora forse esso è solo apparente, perché la
dottrina della libertà ha l’effetto retorico di rendere accettabile ciò cui
essa inerisce, nonostante i difetti e gli errori. Pure essa è a sostegno della
libertà e questo alla fine conta sempre, nonostante tutto, perché ciò significa
che nei fatti o come possibilità crescono informazione, trasparenza,
antioscurantismo, ovvero conoscenza, sapere e saperi.
[1] T.E. Frosini, in AA.VV.,
Il diritto di accesso a internet, Napoli
2010, p. 27
[2] Ivi, p. 35.
[3] Ivi, p. 36.
[4] J. Rifkin, La rivoluzione della new economy. L’era dell’accesso, trad. it. Milano
2000. Cfr. in generale il cap. VII,
pp. 54 e ss.
[5] P.
Passaglia, in AA.VV., Il diritto di accesso, cit., pp. 59 e
ss.
[6] Cfr. A. Valastro, ivi, p. 57.
[7] Cfr. F. Marcelli, ivi, p. 102.
[8] D. Bianchi, ivi, p. 113.
[9] Cfr. ad esempio Rossetti, ivi, p. 95.
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