Se accusare di
marxismo e meglio di comunismo tutto ciò che sfavorisca il proprio arbitrio e
ostacoli i propri interessi è vituperabile, volgere quell’accusa contro la
parte migliore del pensiero cattolico laddove questo parli della persona e del
sociale (e anche dell'amore) è uno sporco gioco. Significa lavorare per deturpare e il volto stesso
del cattolicesimo come cultura e della cultura nazionale, per ferire l'uomo, giustificando con il pretesto della
fede “personale nonostante il mondo” modi di vita lasciati a sé stessi, rapporti di forza selvaggi, oscurità morale e intellettiva.
Come nascondersi oggi
il nesso fra distribuzione della ricchezza e nobiltà della mente, o fra vita
civile di un popolo e sana elaborazione di pensiero? Ci vuole un po’ più di
capacità a stabilire legami, senza erigere castella
a difesa dell’ignoranza e dell’oscurantismo. Dunque è evidente come sia
delittuoso sacrificare il patrimonio culturale, scientifico e di pensiero di un paese a rozzi
interessi materiali e/o a uno sgangherato principio di piacere.
Da tempo ad esempio si
sente dire che la nostra Costituzione è comunista; ma i lavori della
Costituente, il testo della Carta e l’opinione dei giuristi seri dimostrano che
essa è principalmente cattolica; anzi questo non andrebbe neanche affermato proprio
perché in essa prevale il principio cosiddetto “personalista” e non quello “lavorista”,
ovvero il diritto alla vita e/o a una esistenza dignitosa e la inviolabilità
della persona sono più importanti del diritto al lavoro per sé preso, il quale ha
valore per essere parte integrante di quella dignitosa esistenza e di quella inviolabile
persona.
Questo certo non
esclude che certe convergenze ideali, non ideologiche - quali si ebbero ad
esempio fra un La Pira e un Togliatti - siano importanti; ma è qui anche l’errore,
ché esse sono un valore morale di crescita e progresso per tutti. Dunque vi è lotta,
in quello che ritengo uno sporco gioco, contro certa oggettività storica e la regressione
nei costumi, nei mores, è più che un
rischio.
L’italia, a fronte di
un marxismo che è illuminismo e priva com’è nella sua storia di una rivoluzione
borghese (anche se certo questo non spiega tutto), non è nuova a certe confusioni o semplificazioni culturali. In
passato non era infrequente che sino crociani autentici in dibattiti pubblici e giornalistici fossero
definiti "comunisti". È il gioco della gogna, o della diffamazione e in fondo lo
sappiamo: la radice è lì, ché ad esempio ai primi del novecento un salandriano non era un giolittiano,
nonostante certe possibili convergenze. Ma da tempo il fenomeno si è esteso a macchia
d’olio, ha aumentato la sua presa sociale, laddove è cresciuta la volontà
politica di combattere tutto ciò che volge a favore del sociale e del debole, o
della cosiddetta “trasparenza”, o dei diritti umani e che in questo minaccia il formarsi di sempre nuove diseguaglianze economiche.
Parallelamente,
sempre per restare a certa opinione, si accusa il giudiziario di conculcare il
legislativo, soprattutto di vanificarne il momento elettorale - aspetto però questo
enfatizzato, sino a violare lo spirito della Costituzione nonché ogni sano sentimento
repubblicano. Lo si fa lamentando gli attacchi portati dalla magistratura alla
sovranità del parlamento ma non volendo dire «il parlamento» e invece «il
popolo elettore», il popolo del puro consenso, un mito, opponibile alla
Costituzione formale, e lo si fa non prima di avere stravolto la procedura legislativa
a vantaggio dell’esecutivo, redistribuendo ogni valore di rappresentanza fra popolo,
partito o movimento politico e quanto vi fosse nelle istituzioni di “presidenziale”.
Traspare in questa, che
è una operazione politica, il tentativo di cambiare la costituzione materiale
per poi potere fare lo stesso con quella formale e almeno tre sono qui gli aspetti
emergenti: uno di compensazione, uno d’impossibilità o quasi, uno di
confusione.
In primo luogo l’enfatizzazione
del popolo votante indica compensativamente la crisi del principio di
rappresentanza, liberaldemocratico e borghese; in secondo luogo è più che
presumibile che le accuse mosse alla magistratura mostrino che nei suoi
confronti - pur essendo il giudiziario tenuto al guinzaglio dai suoi organi
censori - non si riesce ad ottenere quella padronanza che si è ottenuta nei
confronti del legislatore (altrimenti si farebbe dell’altro); in terzo luogo tanto
si viene ad accusare di comunismo la Costituzione quanto si forniscono degli
organi costituzionali quali il popolo o il legislatore interpretazioni
extracostituzionali. Un ibrido, di metafisica e caverna.
Si tratta in fondo di
bassa retorica; ma la bassa retorica a quanto risulta ha mani e piedi; lo
diceva Hegel delle idee ma alla fine una idea vale l’altra, non solamente in un’epoca
definita mediatica, ché la retorica e l’inganno (o se si preferisce, l’uso
magico-evocativo della parola) non nascono ora come non nascevano cento anni fa.
La retorica funziona da
sempre, sì per chi voglia solo farsela raccontare. Essa funziona magnificamente
soprattutto con l’ignoranza, la povertà,
la frammentazione e dequalificazione del lavoro, la emotività la più rozza e brutale,
le istanze e rivendicazioni incoerenti e irrazionali; agisce con buona efficacia
sulle preferenze elettorali e cioè sul consenso popolare, che essa soprattutto in
una democrazia rappresentativa e industriale deve saper coltivare e promuovere.
Pure bisogna
riconoscere a quello che definirei pensiero basato sul non pensiero quanto meno
due abilità: saper pescare in una psicologia essenziale, dell’arricchimento
personale ad ogni costo, o dell’odio, che stravolge i canoni della logica (il
cosiddetto «materiale umano»); e un profondo riscontro di verità, con
riferimento non solo al francescanesimo ma sino al magistero morale della Chiesa
Romana, laddove ad esempio sant’Ambrogio affermava che la terra non è dei
ricchi ma di tutti. Caratteristiche però
che non tanto sono un attestato di veridicità quanto piuttosto obbligano in primis il populus Dei a una scelta di campo: fra morale e pensiero cattolici e
cosiddetto “neoliberismo”.
In tutto questo forse
la confusione ideologica è più importante di quanto non si sia disposti a pensare.
Il marxismo non è comunismo (teorici socialisti negli anni novecentosettanta
dicevano questo e se vi era dibattito allora doveva esservi pur qualche
fondamento) come il comunismo non è il cattolicismo. Tutto insomma chiede di
essere approfondito e non semplificato, pena la morte del pensiero, della
scienza e della cultura.
Del marxismo in fondo
in Italia si sa e non si sa, a causa anche delle realizzazioni storiche
concrete e dei revisionismi; che un sano liberalismo della religione della
libertà sia «di sinistra» fa un po’ sorridere; ma che elaborazioni del pensiero
cattolico siano comunistiche lascia perplessi. Il cattolicesimo è tale: né
socialismo né comunismo e oramai sono passati i tempi dei rapporti di alleanza fra
marxisti e cattolici. Qualcosa in più e in meglio bisognerebbe saper pensare,
invece di precipitare nel vuoto.
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