Un cœur oublié, ovvero quale occasione migliore di un film, sulla vita del signor de Fontenelle - romanzata, certo, per ruotare
attorno al fatto che costui alla età di oltre ottant’anni si fosse invaghito di
una bella fanciulla, di maniere dolcissime e d’ingegno non comune - per
comprendere almeno due cose della storia: che la libertà è quello zefiro che
soffia su qualcosa come una Enciclopedia - dictionnaire
raisonné des sciences, des arts et des métiers ovvero il bisogno di riunire il
sapere promuovendolo come in un exploit -, confortandola e proteggendola e che la libertà nel pensiero
così data, che solo trova modo di svilupparsi nei salotti, laddove lo spirito e
la parola non abbiano il tempo di occuparsi dei bisogni materiali, apre il
varco alla libertà politica; che è però altra cosa da quella, ha altra natura. Voglio dire: il nesso merita di essere ritenuto piuttosto sorprendente che ovvio.
Intendo ripensare un po' in
questo anche il legame fra illuminismo e rivoluzione francese e di come la libertà
di un Voltaire, di un Diderot o di un d’Alembert, pur non coincidendo con
quella ma a quanto risulta ad essa avendo dato l’avvio (non basta la Riforma per spiegare le rivoluzioni borghesi), siano stati il pretesto per altra
libertà, pragmatica, che sarebbero state piuttosto istanze di giustizia ed
eguaglianza economico-sociale e umana, tolta alle confessioni religiose,
unitamente al potere sulle scienze, la forza della promessa.
Bernard Le Bovier de Fontenelle |
È vero che la libertà,
che non ha un oggetto determinato ma più oggetti, vuole con sé legislativamente
e politicamente la razionalità; ma la
storia suggerisce o evidenzia un nesso, più o meno evidente, fra il progresso nelle scienze e nella letteratura, uno sviluppo della curiosità del conoscere
e del pensiero come interiorità, e le istanze di libertà dei ceti sociali
oppressi, o non ripagati, produttori di reddito e/o portatori di nuova cultura;
ma puniti dalle condizioni materiali di sviluppo della economia e della
politica. La razionalità insomma, costruita teoreticamente, facilmente sarebbe
divenuta un mito.
Le ali della libertà
nascono dunque come ali della conoscenza. Come l’intelletto diviene adulto apprendendo
nozioni che vincono i pregiudizi e la conservazione dello status quo traducendo quelle nozioni in pensiero, così diventa
adulto e nemico delle ingiustizie sociali il pensiero politico. Dopo insomma quelle
ali cercheranno di tramutare le nuove conoscenze e l’animus che le accompagna in azione politica trasformativa.
Quella energia della
conoscenza, l’oltre della conoscenza che anticamente aveva trovato campo nella
teoria della vita prima e oltre la vita stessa o nella possibilità di migrare
presso gli inferi, avrebbe trovato sfogo secoli dopo nella Encyclopédie, non quale semplice raccolta di nozioni le più varie
ma come cultura legata alle conoscenze e ai progressi dello Spirito umano.
Quello ésprit, o anche quella res, per regredire a Cartesio, Marx e il
socialismo avrebbero tentato di trasfonderli quasi per eredità nella classe dei produttori e nel
mondo del lavoro; il romanticismo e postromanticismo avrebbero tentato invece di
tradurli in libertà dalla morale: assoluta, priva di vincoli, vitale. Quella
stessa che Hegel avrebbe cercato di contestualizzare in un monumentale disegno formale
politico e in un nuovo assolutismo dello Stato nazionale; e che Nietzsche
avrebbe saputo elevare al di là del bene e del male, sino all’autonegazione.
Già: vi è un qualche
legame che unisce i due filosofi tedeschi ed è, al di là delle distanze mentali,
una diversa ma non incompatibile interpretazione della libertà: svuotamento di
ogni morale e sentimento personale a favore dello Stato da una parte ed
esaltazione della forza e del diritto-potere oggettivo, sino di dare la morte
dall’altra.
Dunque se il marxismo
avrebbe tenuto una visione positiva dei fatti dell’ ’89, la libertà per
reazione alla rivoluzione francese e all’illuminismo avrebbe indicato altre
strade, trovando successivamente riscontri politici in regimi basati sulla confusione
e la intolleranza, nemici della cultura e dei libri e cioè della libertà del
pensiero, inclini al di là del diverso rapporto con le scienze al misticismo e
alla follia.
Il signor de
Fontenelle, teorico della pluralità dei
mondi abitati (Entretiens sur la
pluralité des mondes, 1686),
fu tanto “non avvocato” quanto poeta quanto fervido enciclopedico uomo di
pensiero e di scienza. Coevo di Bayle, per il cui giornale egli scrisse, visse
novantanove anni e undici mesi e fu menzionato da Diderot per i suoi meriti
rispetto all’illuminismo: un debito di affetto e riconoscenza. Egli soprattutto
a quanto mi è dato comprendere seppe restituire decoro alla filosofia e cioè al
pensiero, che sia libero di muoversi tra le scienze e l’arte, elaborandone idee
e concetti e proponendone di nuovi. Nessuna metafisica dunque avversa alle
scienze positive ma un pensiero che sapesse interpretarne o svilupparne i
portati.
Un cuore dimenticato, recita il titolo del
film: quella fanciulla lo avrebbe messo alla prova come filosofo perché come uomo,
ché in lui forse più che in altri, e in questo la ragione gli riconosce grandi
meriti morali, i due ruoli tendevano a confondersi.
Egli morì non per
malattia, né soffrendo… Egli forse visse come poi sarebbe morto? All’epoca il modus moriendi avrebbe nuovamente
qualificato le persone; ma credo non sia il caso di parlarne troppo. Diderot ad
esempio era terrorizzato dalla idea della morte e cercò sempre di vincerla,
scrivendo...
Nessun commento:
Posta un commento