Dal punto di vista
giuridico, l’attualismo di ciò che ottiene e/o guadagna effettività, e si
consolida o si è consolidato, è anche un che di congeniale alla psicologia e il
diritto lì si trova in difficoltà.
Sempre in tema di Costituzione
materiale, ad esempio, dopo le lezioni di Schmitt, Kelsen e Mortati, la domanda
può essere la seguente: la classe politica, il suo rapporto effettivo col paese
reale, fa parte di detta Costituzione? Oppure: ne fanno forse parte i termini reali del
rapporto di lavoro dipendente e la condizione di quello cosiddetto «libero», con
i tradizionali esiti di giurisprudenza? Se il problema è che cosa sì e che cosa non, allora la questione si
mostra subito debole dommaticamente quanto facilmente strumentalizzabile,
laddove una riforma del testo costituzionale potrebbe snaturare di questo e il
senso e le finalità.
E - anche - il dubbio
in tutto ciò è che della Costituzione materiale si siano coltivate visioni apertamente
ideologiche per quanto è nei termini originari della questione; oppure se ne sia elaborata una
visione costituzionalistica, comprensibilmente rigida e preconcetta, laddove
l’ideologismo - lo si potrebbe dire anche puramente giuridico se non fosse
necessariamente anche repubblicano o antiautoritario - è rimasto inconfessato.
Direi a questo punto che
due sono i punti di osservazione: 1.- l’uno più vicino al giuridico (si ha Costituzione
materiale in tutte quelle realtà rilevanti che tengono in vita quella formale e/o
possono indurre a modificarla); 2.- l’altro da esso più distante (si ha Costituzione
materiale comunque, ovvero sia che quelle
realtà siano conformi sia che esse non lo siano rispetto alla Carta
fondamentale dello Stato).
Profilo quest’ultimo più
suggestivo, che sembra avere più vigore del primo, poiché la questiione
accresce la sua importanza se essa viene radicalizzata, ovvero se ci si domanda,
propendendo per la seconda spiegazione: la Costituzione materiale risponde a un
principio di semplicità e non allontanamento dai concetti che hanno riferimento
alla idea moderna di Carta fondamentale scritta o non piuttosto a principi ora di
realismo, ora di sentimento storico, ora di complessità? E ancora: la problematica si addice di più al
diritto pubblico costituzionale in quanto tale o non piuttosto alla sociologia,
alla politica e alla economia? Laddove si riscontrano due polarità, fra di esse
non conciliabili se non nell’abilità argomentativa, che certo ai giuristi non
manca.
Proviamo ora a
spostare i termini del problema e domandiamoci: può il legame fra Costituzione
materiale e Costituzione formale ricalcare quello fra essere e dover-essere, essendo
che la norma giuridica è un dover-essere? Pure essa contiene in sé un essere,
che è la fattispecie astratta, secondo il modulo ipotetico «se … allora». Laddove
sino la fattispecie concreta è un elemento giuridicamente apprezzato, il
giuridicamente rilevante, che non sempre coincide con la realtà dei fatti.
Ma se il fatto
precede il diritto, se assumiamo questo dogma, allora la società di cui la Costituzione formale è il dover-essere
non potrà mai essere a sua volta un dover-essere, se non in un modo non
giuridico. Anzi è proprio la perenne inadeguatezza sociale, disparità economica,
ecc. ovvero tutto ciò che sia materiale,
a spiegare l’esistenza della Costituzione formale, in quanto appunto
disposizione-e-norma. Dunque se sono inadeguatezza, distanza e difformità ciò che
spiega la Carta costituzionale, o perché a quella ci si deve adeguare o perché
essa andrà modificata, allora la natura della Costituzione materiale non può
essere mai la stessa della Costituzione formale. Laddove il terreno sarà sempre
congeniale alla compresenza di forze avverse e forze invece assimilabili all’ordinamento
positivo.
Da queste brevi
riflessioni emerge che la Costituzione materiale è ciò che accade realmente a
prescindere dal fatto che essa militi pro
o contra constitutionem; il che
significa anche, per implicito e come suggeriscono gli ideatori della locuzione,
che per aversi una buona valutazione delle cose si dev’essere in grado di
scollegare quanto di collegare materiale e formale - certo non solamente per
ottenerne una contrapposizione, secondo l’intento di quegli ideatori. Già; ma
allora che cosa se ne ha, giuridicamente, considerando che comunque si deve
rendere conto a realtà e complessità? Siamo forse in presenza di concetti di
comodo, valevoli per i due schieramenti, i materialisti e i formalisti?
Non l’immagine di una
Costituzione scritta, sovrapponibile alla realtà, non il dettame dottrinario di
che cosa è esattamente una istituzione e parimenti ma forse meno non il
proposito di contrapporre ciò che è materiale a ciò che è formale ma l’osservazione
di che cosa accade nella società, nella economia, nella politica e nella morale
comune e di che cosa può esserne delle istituzioni considerando che il loro
dover-essere resta tale a dispetto dell’essere, e anche il rapporto di tutto
ciò con l’idem sentire de re publica:
questo dovrebbe essere l’esatto punto di osservazione. Ma anche tutto ciò non è
giuridicamente convincente. Né il diritto come istituzione né come norma
giustificano il fatto che pur sussistendo e nel diritto dei contratti e in
quello penale e in quello internazionale pubblico la inesauribile non identità
tra fatto e diritto, solo per il diritto pubblico costituzionale si sia formata
una idea, quella appunto di Costituzione materiale, che taluni hanno inteso annettere
in qualche modo al giuridico così come altri avevano tentato e tentano tuttora snaturando i linguaggi di spacciare per giuridica e meglio legittimata a priori.
Si può identificare la
Costituzione materiale con il fatto? Laddove si dice fatto per dire i fatti, le
tendenze emergenti, nuovi enti, ecc. rilevanti per il diritto pubblico?
La «malafede»
nazionalistica nel suo postromanticismo ha fatto anche di più: ha voluto vedere
nel fatto certe cose idealizzandole, inducendo a regredire con il pensiero e
molto col sentimento sino a parlare di Costituzione
di un popolo - quest’ultima sussisterebbe a prescindere da un che di
scritto o positivo, che dunque a sua volta ne dovrebbe essere il semplice
riflesso, o una semplice proiezione -; ma allora si potrebbe dire anche spirito del popolo, Volksgeist, come è stato detto da Herder e altri,
per alludere alla storia e identità di una nazione, inimitabili o ineguagliabili, spingendosi lontano dal
terreno dei valori giuridici tanto da suffragare il sospetto che il concetto e meglio l'idea possa sempre approdare per sua natura a qualcosa di antigiuridico, anche qui snaturando i linguaggi.
Due sono dunque le
linee che inducono a distinguere nettamente fra le rispettive nature, quella
della Costituzione formale e quella della Costituzione materiale: la scissione
fra essere e dover-essere che è necessaria
per tenere in piedi il deontico della disposizione-e-norma e il
riferimento al fatto, o ad altri fattori,
che non fanno capo al diritto.
Dunque la parola Costituzione denota un uso evocativo e non dice sempre la stessa cosa, ovvero ciò che è materiale non può essere di natura formale. Mettiamo pure che quella natura sia politica, legata a determinati interessi economici o informata al fanatismo
religioso; essa nasce per contrapposizione a una idea di Costituzione come super legge scritta, garanzia scritta, legale, formale, di diritti e istituzioni, in séguito a un
cambiamento per lo più progressivo e civile; come dire: romanticismo contro
illuminismo. Ma è accaduto in séguito che la provocazione è stata raccolta e
allora si è dovuto ammettere dai giuristi che la definizione potesse essere piuttosto
sociologica che non politica o giuridica. Il che significa che una nozione
giuridica di Costituzione materiale, nonostante gli sforzi di giuristi d’ingegno
quali Mortati, se può essere giuridica lo può solo per negativum.
Al che pur
considerando la Costituzione materiale o aliena alla materia giuridica o
giuridica ma per negativum, si può
anche considerare materiale tutto ciò che avviene, che viene regolamentato e
che non è adeguato alla norma scritta. Dunque ciò che è materiale non è
giuridico e ciò che è giuridico non è materiale; una cosa è l’oggetto del
diritto, altra il diritto quale azione della logica e meglio di una soggettività
e volontà generale che in essa si manifesta. Il che appunto ci riconduce al
problema di scegliere: che cosa sì e che cosa non; con le conseguenze che sin
qui si sono tracciate chiaramente.
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