Di questi tempi la sensazione è che si stia andando verso una (o
si versi già in un clima di) impasse istituzionale, e l'opposto se vogliamo dell'armonia, a causa dei troppi
interessi torbidi che i vari governi si sono impegnati e s'impegnano a
tutelare; a causa sostanzialmente della corruzione che soccorre in un modo
determinante le forze della conservazione e del privilegio, le quali sempre rivelano di essere più estese e di avere più radici di quanto si pensi. E certo la medicina della revisione
costituzionale, addirittura con il ventilato attacco all’articolo 138 (“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre
leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive
deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione”, laddove sottolineerei anche quel "ciascuna Camera"), è di quelle di cui nella più rosea
delle ipotesi non si conoscono ma si possono temere gli effetti
collaterali.
Lo stato attuale delle cose è di generale frattura, generale
lacerazione, abbandono, confusione e indecisione (o cattivo
decisionismo), di amicizia-inimicizia (un po’ tutti contro tutti) e questo lo sente o lo sa bene chi promuove la filosofia della "semplificazione" e la riforma della Costituzione, a rischio di uno snaturamento della stessa. E quando i
vincoli alieni che impegnano i governi prevalgono su una qualsivoglia conduzione
politica normale o sana e ragionevole, o necessitata, allora due sono le strade
percorribili: quella di una rivoluzione, prima necessariamente parlamentare,
o quella di uno o più colpi di Stato. E anche qui, a leggere i fatti, sembra
dominare la confusione e la situazione è per così dire "mista", o di
drammatica contestualità, poiché da una parte si susseguono una serie di
violazioni più o meno evidenti (non ne è sempre agevole la valutazione, ché basta una
piccola norma, o una clausola nascosta in un decreto, moltiplicandosene
l’effetto, a sconvolgere le cose) dell'ordine giuridico e costituzionale (dal
cosiddetto "lodo Alfano" e affini, all’aggressione legislativa dei
diritti quesiti, ai governi nominati e non eletti, come accadeva per i - più 'giuridici'? - dictatores dell’antica repubblica romana),
dall'altra vi sono atti anche legislativi o di condotta partitica e anche
plateali che per contrasto mirano a generare il tessuto di una democrazia
sostanziale. Evidente come un nodo importante a questo punto sia la legge elettorale, che
può valere - Mortati docet - tanto quanto una Costituzione
"materiale": se la cosa non funziona in un modo allora essa deve funzionare
nell'altro.
Oliver Cromwell |
Perché è nel Parlamento la cui funzione e centralità siano
rafforzate e non indebolite, come insegnano Cromwell e la Rivoluzione francese (quest'ultima dalla sala della pallacorda in poi),
che viene a formarsi la testa o il primo nucleo di un moto rivoluzionario in
senso economico e sociale. Ed è in questo contesto storico che obiettivamente la riforma
del Senato al pari del rafforzamento dell’Esecutivo, della sospensione del diritto di voto e dei famosi “paletti” o
“soglie” elettorali per l’ingresso dei partiti (“partitini”) in Parlamento
sembra rispondere a una logica di rafforzamento massiccio della conservazione, contro la cultura della rappresentanza. Un analogo
dell’ancien régime, che se è democratico lo è solo in modo
autoreferenziale e perché le parole alle volte non costano nulla. Già, forse Luigi XVI di Francia avrebbe saputo fare di meglio ...
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