I diritti del corpo…
Una delle
nozioni più chiare, che ho appreso da Freud, è che il sesso, poi localizzatosi
in certe zone del corpo, era originariamente tutto il corpo... - lo è nel bambino e credo proprio lo sia, nelle età 'mature' -; il che rende
meglio comprensibile il principio (?) che il corpo sia luogo non solo del
piacere ma anche del dolore…
Ma è anche che il corpo sogna con noi ed è come qualcosa fosse così ad esso restituito…
Ma è anche che il corpo sogna con noi ed è come qualcosa fosse così ad esso restituito…
Naturalmente poi tutto questo, pur ammesso, lascia inalterata la domanda: ma il sesso, è riducibile a corpo?
Psiche della materia?
Psiche della materia?
Forse non
me lo sono domandato abbastanza: ma perché il corpo altrui alle volte ripugna e
alle volte attrae, quasi si avesse un campo gravitazionale?
Frutto di pregiudizi "morali" che galleggiano come brandelli di memoria, o che cosa? Sì, anche, credo; ma la domanda resta... e una definizione possibile - ma forse troppo sintetica - è: psiche della materia... e avremmo allora piacere e dolore come espressione di elementari fenomeni della fisica... laddove bene e male sarebbero per così dire estromessi dal principale campo percettivo... e andrebbero a formare il momento del giudizio... Ci si metta pure che si tratterebbe di una funzione "salutare" per la comunità.
Frutto di pregiudizi "morali" che galleggiano come brandelli di memoria, o che cosa? Sì, anche, credo; ma la domanda resta... e una definizione possibile - ma forse troppo sintetica - è: psiche della materia... e avremmo allora piacere e dolore come espressione di elementari fenomeni della fisica... laddove bene e male sarebbero per così dire estromessi dal principale campo percettivo... e andrebbero a formare il momento del giudizio... Ci si metta pure che si tratterebbe di una funzione "salutare" per la comunità.
Il
“perturbante”
1.- Il
“perturbante” pesca direttamente nella nostra insicurezza, o nelle nostre
paure… paura di vivere… nate nell’infanzia, ovviamente, ché tutto è nativo… e
difficilmente sradicabili…
2.-
Perturbante è “Ciò che ci è familiare ma che a un certo punto diviene/può
divenire spaventoso”. Qualcosa che naturalmente temiamo che possa non essere
goduto appieno, o che possa prendere altra direzione, che sia contrario ai
nostri più intimi progetti, o aspettative; che esso sia minacciato dall’ombra
del suo opposto ostile, inseparabile da esso, che faccia parte della sua stessa
natura... Paura che avvenga qualcosa per cui ciò che ci è familiare possa
rivelarsi spaventoso…
3.-
Approfondendo: un legame di fiducia totale, un innamoramento, che manteniamo
nella familiarità per dire che così lo teniamo anche nascosto… (Unheimlich,
dice Schelling, ripreso da Freud, è tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere
segreto, nascosto, e che è invece affiorato)… nascosto-e-temuto proprio perché
rimosso, tenuto così lontano dal senso di colpa e cioè dall’autocensore, dalla
coscienza morale…
Pensiamo
per un momento alla evoluzione del cd. sosia:
a un certo punto nella storia del sosia s’insinua la figura del censore…
Poi nello
scritto freudiano, Das Unheimlich, perturbanti sono anche
la reiterazione, le coincidenze, la telepatia, il malocchio… tutte cose che
colpiscono e suggestionano.
4.- Heimliche è più cose o ha più aspetti, o
condizioni: è qualcosa di strano, di anomalo, che graffia le nostre calme
rappresentazioni; e nello stesso tempo è qualcosa che trapassa nel suo
contrario… anche linguisticamente…
Invece
che “perturbante” si potrebbe dire forse angoscioso,
o inquietante, laddove l'elemento angoscioso è
qualcosa di rimosso che ritorna… o tutto ciò che squilibra l’animo
mettendolo nel disagio, sottile ma profondo - per ciò appunto che attiene allo
stato morale che è provocato in noi.
5.- Nel
racconto indubbiamente intricato di Hoffmann (Der Sandmann,
ovvero Sabbiolino, il mago
delle fantasie/paure infantili indotte che getta la sabbia negli occhi dei
bambini, e dunque ne ‘castra’ la vista, se essi non dormono) cui Freud si sarebbe ispirato (“Hoffmann è il maestro ineguagliato del perturbante
nella sfera poetica”, nonché dell’intrico) per la sua operetta, si parla della colpa
degli occhi, del portare alla luce, ci s’innesta in questo eterno dibattito e
“perturbante” è la paura di
perdere gli occhi; “una tremenda angoscia infantile - nota Freud - causata
dalla prospettiva di danneggiare o perdere gli occhi”; salvo poi indicarne
(lui, Freud), riallacciandosi all’Edipo e a Shakespeare, quale unica chiave
esegetica, quella della sessualità (“abbastanza spesso un sostituto della paura
dell'evirazione”), non la sede immediata di essa, beninteso, ma il corpo come
forma identitaria; dunque morto il padre sostituirsi al padre, come Edipo; e
tutto questo - è ovvio - inconsciamente e colpevolmente cioè tenendo lontana ma
per ciò in presenza… la colpa, quasi come sale della innocenza e naturalità…
Perdere
gli occhi ma perderli poiché essi non avrebbero dovuto vedere (coscienza,
luce, che toglie e chiama in scena l’ombra) ciò che invece hanno poi visto; non
avrebbero dovuto fare quello che poi hanno fatto…
Laddove vedere sta per tradire, infrangere il
nascosto-familiare (meccanismo della sottrazione alla conoscenza,
dell’inconscio)… infrangere l’amore paterno-e-materno; e non poter non sentire-pensare-immaginare
tutto questo come un che di sinistro, che dà i brividi (Klinger, sempre
riferito da Freud)…
6.- Freud
mette in riga l'animismo, la magia e l'incantesimo, l'onnipotenza dei pensieri, la relazione con la morte, la ripetizione involontaria e il complesso di evirazione…
7.- Lucrezio aveva già detto qualcosa come
“la natura la puoi gettare via con la forza ma ti ritornerà sempre tra i
piedi”: la bambola meccanica che sembra scrutarti negli occhi… la domanda è: se
lo avessi previsto, quell’effetto conturbante, l’avrei fabbricata o comprata
quella bambola? Perché ho paura che abbia sentimenti umani, che possa cambiare
la mia vita, ecc. ecc.
8.- Altra
possibilità di rilettura. I dèmoni di Feuerbach: anticipano in qualche modo il perturbante di Freud (che ad esempio in Totem e tabù parla abbastanza di dèmoni, in un modo ben circoscritto); nel primo caso sono istinti
repressi, che si ripresentano in forma di diavoli, nel secondo si ha il
riemergere di qualcosa di rimosso e, stando al significato ambivalente di Heimlich, qualcosa di come
familiare e nello stesso tempo di tenuto segreto…
A proposito dei sogni
1.- I
sogni dei bambini sono tendenzialmente tanto brevi quanto chiari nel loro
significato: essi sono la realizzazione
dei desideri. E lo stesso tendenzialmente vale per i sogni brevi degli
adulti…
Scrive Freud nei Complementi alla teoria del sogno (1920) che i sogni, pur estendendone le rilevazioni e segnalazioni empiriche, sono tutti riconducibili all’appagamento di un desiderio: oltre ai cd. “sogni d'angoscia” anche quelli “di punizione”: se esiste nell’Io una “speciale istanza critica e auto-osservatrice” (il censore, la coscienza morale, il super-Io), allora si può dire che quelli “rappresentano l'appagamento di un desiderio proprio di questa istanza critica”. E parimenti al desiderio possono ricondursi i sogni cd. “traumatici”, che capitano ai pazienti vittime di infortuni - non contraddicono invece la generale classificazione di sogno di desiderio, non perché non siano a riconducibili al desiderio ma perché estranee all’attività onirica, quelle “fantasticherie inconsce” osservate dal dottor Varendonck di Ghent, che “vengono prodotte nello stato di dormiveglia” e alle quali costui ha dato il nome di “pensiero autistico” (: “il guardare alle possibilità del giorno seguente, il prepararsi a tentativi di soluzione e di adattamento eccetera, […] fenomeni che appartengono tutti all'ambito di questa attività preconscia”: ivi)... E noterei inoltre come la teoria freudiana del desiderio sia entrata con ‘naturalezza’ nel patrimonio argomentativo di un Huxley…).
Scrive Freud nei Complementi alla teoria del sogno (1920) che i sogni, pur estendendone le rilevazioni e segnalazioni empiriche, sono tutti riconducibili all’appagamento di un desiderio: oltre ai cd. “sogni d'angoscia” anche quelli “di punizione”: se esiste nell’Io una “speciale istanza critica e auto-osservatrice” (il censore, la coscienza morale, il super-Io), allora si può dire che quelli “rappresentano l'appagamento di un desiderio proprio di questa istanza critica”. E parimenti al desiderio possono ricondursi i sogni cd. “traumatici”, che capitano ai pazienti vittime di infortuni - non contraddicono invece la generale classificazione di sogno di desiderio, non perché non siano a riconducibili al desiderio ma perché estranee all’attività onirica, quelle “fantasticherie inconsce” osservate dal dottor Varendonck di Ghent, che “vengono prodotte nello stato di dormiveglia” e alle quali costui ha dato il nome di “pensiero autistico” (: “il guardare alle possibilità del giorno seguente, il prepararsi a tentativi di soluzione e di adattamento eccetera, […] fenomeni che appartengono tutti all'ambito di questa attività preconscia”: ivi)... E noterei inoltre come la teoria freudiana del desiderio sia entrata con ‘naturalezza’ nel patrimonio argomentativo di un Huxley…).
2.- Vi
sono i contenuti del sogno (contenuti manifesti ovvero il racconto onirico) e vi sono i pensieri onirici, ciò che è nascosto del sogno, energie
psichiche questi ultimi che sono accostabili al pensiero: si tratta, nella
interpretazione, d’individuare ed estrarre, cavare i secondi fuori del gioco di
apparenze e nebbie e intrecci e simbolismi dei primi…
3.-
Esiste il cosiddetto giorno
del sogno, ovvero i sogni sono cagionati da fatti realmente accaduti,
esperienze personali; ed esiste un agente provocatore del sogno…
4.- Il lavoro onirico è un lavoro di condensazione. E questo a sua
volta è una sorta di stravolgimento, di inganno non voluto, per cui la carica
onirica, pur muovendo da fatti realmente accaduti, ama tradurli in sfumature
secondarie, che però a quei fatti siano ricollegabili…
5.-
Aspetti della legge di condensazione:
il sogno ospita una cosa e il suo contrario, ovvero in esso l’una è perché
contiene il suo contrario. Così le contraddizioni sembrano cadere o
equivalersi… Che cosa è poi la contraddizione?
È il grande ragno nero che ti si avvicina, per morderti e avvelenarti; è il
leone che si avvicina per divorarti, e tu che resti in entrambi i casi
immobile, come paralizzato, impotente…
6.- Condensazione ovvero spostamento,
trasfigurazione; io direi anche: scambio; ovvero: il lavoro onirico distrugge i
nessi (della logica ordinaria?)…
7.-
Spazio e tempo in quanto rielaborati o in quanto rappresentati inconsciamente
nel sogno, esprimono e /o suggeriscono concetti… laddove saltano o sono
vanificati causa ed effetto… (p. 46).
8.- Il
metodo per l’analisi dell’onirico aiuta l’analisi della psiche in generale…
9.- Il
contenuto onirico evoca qualcosa d’indifferente o triviale e lo lascia lì…
salvo poi capire, chi interpreta, che ciò che è indifferente se viene alla
ribalta nel sogno come nuance o aspetto secondario, è per il nesso
con qualcosa di rilevante…
10.- I
sogni si costruiscono ed esiste così una “facciata del sogno”.
11.-
All’origine del sogno vi sono sempre fatti realmente accaduti, che riguardano
la persona, ovvero il sognatore - questo spiega l’affermazione che il lavoro
onirico di “spostamento” è legato a fattori psicologici -. Ovvero l’ analisi e/o
interpretazione di un sogno condotta al di fuori di fatti reali è errata, o
puramente arbitraria.
11.-
Elementi dei fatti irrilevanti o indifferenti comunque sono non coscienti
perché rimossi. E questo
si può sostenere perché essi nel sogno balzano per così dire alla evidenza e
alla ribalta.
Oppure
essi si presentano travestiti da simboli, allegorie, perché riescono ad entrare
nel sogno perché irriconoscibili per quelli che sono stati.
Poi essi
interagiscono l’uno con l’altro. E tutto questo viene a produrre situazioni del
tutto nuove, ovvero nuovi contesti dei fatti.
12.- Nel
sogno entrano camuffate e cioè rese meno censurabili e più accettabili le
esperienze fatte nella vita quotidiana e tenute da una sorta di censura
personale in uno stato d’incoscienza. Esperienze cioè rimosse che entrano nel
sogno travestite, spostate, oppure travestite da simboli, allegorie, … poi esse
interagiscono le une con le altre…
I sogni: da “scienza popolare” a oggetto della psicoanalisi…
Scrive Freud nella Introduzione alla psicoanalisi: “Chiediamoci […] donde provenga il disprezzo dei circoli
scientifici per il sogno”. E si dà una risposta: "A mio parere
si tratta di una reazione alla sopravvalutazione dei sogni in epoche precedenti”.
E infatti: “di personaggi storici si narra che abbiano attinto da sogni l'incitamento
a imprese memorabili. […] Quando Alessandro Magno intraprese la sua campagna di
conquiste, al suo seguito si trovavano i più famosi interpreti di sogni”. E
ancora: "Durante tutto il periodo ellenistico-romano l'interpretazione dei sogni
fu praticata e tenuta in alta considerazione” (ivi).
Essa
è così progressivamente scivolata nella condizione di “scienza” di dimensione
popolare… Finché
la psicoanalisi non l’ha fatta sua… in certo senso prendendo sul serio e valorizzando la sensibilità
popolare…
Freud, gli Antichi, il Popolo
Dunque
il sogno secondo Freud - almeno a quanto mi è dato comprendere - non offrirebbe
soluzioni ma riproporrebbe questioni vissute inconsciamente rimescolandone elementi e
termini…
Nel
sogno invece sappiamo che gli Antichi comunicavano con gli dèi e coglievano
presagi… e lo stesso avveniva e avviene per il popolo a causa delle sue
superstizioni (alludo così alla "Oniromanzia",
nonché alla cd. “Smorfia” o “libro dei sogni”): se ho sognato un cane che mi mordeva allora vi saranno sventure, se ho
sognato le feci allora avrò ricchezza, se ho sognato che salivo su una scala ciò significa
successi… ecc.
ecc.
Paure e
desideri
Se i sogni sono la realizzazione dei desideri, allora che dire degl’incubi, quali si riscontrano anche segnatamente negl’infanti? Forse che essi sono un che di "desiderato”?… O magari sono io che non comprendo che bisognerebbe estendere il significato della parola "desiderare"?...
Direi che nel sogno si trascinano e si
manifestano i sentimenti o stati d'animo prevalenti (… nel preconscio e nell’inconscio) - e non di rado le paure che hanno dimora nella nostra memoria -: in tal senso il sogno
può essere rivelatore e assumere un senso.
La
scienza ha le sue radici nella curiosità sessuale (così, grosso modo, Diderot, se non ricordo male): dunque
Freud è assolto, al cospetto dei benpensanti à
la page e… disinibiti sì ma
non certo nel pensare? O dei "postmoderni", nemici della materia...
Freud ad Atene
Freud ad Atene, il suo stupore
nel vedere realmente di persona l’Acropoli, ovvero nel constatare che
l’Acropoli esisteva davvero, con la sua fisicità; il che insegna che le
immagini noi le ammettiamo in quanto cose tradotte in immagini, non in quanto
realtà constatabile.
È dunque l’immagine, se noi ciò
che abbiamo sono immagini, a prevalere sulla realtà…
Ma è anche siffatto, il
sorprendente, che alle volte le cose materiali, visibili direttamente,
tangibili, ci appaiono più spirituali e magiche e sorprendenti della loro
stessa immagine…. Già: una nuova immagine, in fondo, e un conflitto d’immagini…
Con tutto ciò a me resta una curiosità: perché Atene? …
Civiltà e inibizioni
Le inibizioni sembra che possano avere fatto la
storia quanto e più delle guerre, della cupidigia
dei sovrani e degli stati, delle forme di economia, ecc. ecc… La civiltà (cosiddetta) secondo Freud poggia
sulle due inibizioni: del cannibalismo e dell’incesto (il che peraltro libera
la economia come scienza e dà spazio morale alla famiglia, ‘società naturale’);
ma se si perdono e ci si disinibisce - mi domando -, magari nel contesto di una
grande guerra, di una gravissima estesa crisi economica, ecc., poi si potranno
"riguadagnare"? Beh, nelle guerre accade di tutto, si sa; ma questo forse non basta...
E una teoria della storia basata sulle inibizioni o i tabù tanto mi deprime quanto ha molte chances di essere alquanto vera...
E una teoria della storia basata sulle inibizioni o i tabù tanto mi deprime quanto ha molte chances di essere alquanto vera...
La teoria del "desiderio mimetico"
L’uomo, a sentire certa scuola
antropologica, sarebbe atto essenzialmente a imitare. Ci si riallaccia
alla dottrina aristotelica sull’arte e la si unisce alla centralità del
desiderio in Freud: «L'homme diffère des autres animaux en ce qu'il est le plus
apte à l'imitation» (Girard, Des choses cachées depuis la fondation du
monde).
Generica faiblesse - mi
domando -, fragilità esistenziale? Forse… ma piuttosto ciò si spiega col fatto
che l’uomo è “intimamente competitivo” (Girard)…
Al di là (?) del 'principio di piacere'
“[...] Nella teoria
psicoanalitica non esitiamo ad affermare che il flusso degli eventi psichici è
regolato automaticamente dal principio di piacere; riteniamo che il flusso di
questi eventi sia sempre stimolato da una tensione spiacevole, e che prenda una
direzione tale che il suo risultato finale coincide con un abbassamento di
questa tensione e cioè col fatto di aver evitato dispiacere o prodotto piacere.
Considerando i processi psichici da noi studiati in relazione a questo flusso,
introduciamo nel nostro lavoro il punto di vista economico. Riteniamo che
un'esposizione che cerchi di valutare anche questo fattore economico, oltre a
quello topico e a quello dinamico, sia la più completa che possiamo attualmente
immaginare, e meriti la denominazione di esposizione
‘metapsicologica’ ”.
La vita dunque - in certo senso - frenata/contenuta dalla vita...
L’esordio dello scritto dice la sostanza della cosa: più in là leggiamo di uno “sforzo inteso a ridurre, a mantenere costante, a eliminare la tensione interna provocata dagli stimoli” e ancora: “il lavoro dell'apparato psichico mira a tenere bassa la quantità di eccitamento” e cioè, richiamando la teoria di Fechner (Einige Ideen Zur Schöpfungs- und Entwickelungsgeschichte Der Organismen, 1873): “nella misura in cui gli impulsi coscienti sono sempre in rapporto col piacere o col dispiacere, si può pensare che anche il piacere e il dispiacere abbiano una relazione psicofisica con le situazioni di stabilità e di instabilità. Ciò costituisce la base per un'ipotesi che mi riprometto di sviluppare più dettagliatamente altrove, ipotesi secondo cui ogni moto psicofisico che supera la soglia della coscienza è accompagnato da piacere se e in quanto, al di là di un certo limite, si avvicina alla completa stabilità, ed è accompagnato da dispiacere se e in quanto, al di là di un certo limite, se ne allontana; mentre fra i due limiti, che possono essere definiti come le soglie qualitative del piacere e del dispiacere, esiste un certo margine di indifferenza estetica ...”.
L’esordio dello scritto dice la sostanza della cosa: più in là leggiamo di uno “sforzo inteso a ridurre, a mantenere costante, a eliminare la tensione interna provocata dagli stimoli” e ancora: “il lavoro dell'apparato psichico mira a tenere bassa la quantità di eccitamento” e cioè, richiamando la teoria di Fechner (Einige Ideen Zur Schöpfungs- und Entwickelungsgeschichte Der Organismen, 1873): “nella misura in cui gli impulsi coscienti sono sempre in rapporto col piacere o col dispiacere, si può pensare che anche il piacere e il dispiacere abbiano una relazione psicofisica con le situazioni di stabilità e di instabilità. Ciò costituisce la base per un'ipotesi che mi riprometto di sviluppare più dettagliatamente altrove, ipotesi secondo cui ogni moto psicofisico che supera la soglia della coscienza è accompagnato da piacere se e in quanto, al di là di un certo limite, si avvicina alla completa stabilità, ed è accompagnato da dispiacere se e in quanto, al di là di un certo limite, se ne allontana; mentre fra i due limiti, che possono essere definiti come le soglie qualitative del piacere e del dispiacere, esiste un certo margine di indifferenza estetica ...”.
Dunque la teoria del principio di piacere altro non è che una teoria della “protezione dagli stimoli”, e/o delle “pulsioni conservatrici” (“ipotesi che tutte le pulsioni tendano a ripristinare uno stato di cose precedente”) e di amministrazione, economia, conservazione e/o parsimonia e/o calcolo, per cui: “Per l'organismo vivente la protezione dagli stimoli è una funzione quasi più importante della ricezione degli stessi […] gli organi di senso hanno la caratteristica proprietà di elaborare solo piccole quantità dello stimolo esterno, di assumere il mondo esterno a piccole dosi […] esiste verso l'esterno una protezione dagli stimoli tale per cui le quantità di eccitamento in arrivo avranno un effetto considerevolmente ridotto. Verso l'interno una protezione del genere è impossibile; gli eccitamenti degli strati più profondi proseguono direttamente e senza alcuna diminuzione del loro ammontare fino al sistema, dato che alcune delle loro caratteristiche danno origine alla serie delle sensazioni piacere-dispiacere. Comunque, gli eccitamenti che provengono dall'interno sono più adeguati - per la loro intensità e per altre proprietà qualitative (forse per la loro ampiezza) - al metodo di lavoro del sistema di quanto non lo siano gli stimoli che affluiscono dal mondo esterno”. (E una teoria - dico velocemente in aggiunta - della interiorità, come chiusura difensiva (parziale e non) al mondo e come istinto di conservazione...)
Stimoli e dunque fonti di dispiacere, che si accentuano (... comprensibilmente) ad esempio allorquando si ‘evolva’ verso una condizione di maggiore complessità,
ovvero: “Un'altra fonte del dispiacere,
che lo alimenta con non minore regolarità, è data dai conflitti e dalle
scissioni che si verificano nell'apparato psichico mentre l'io realizza il suo
sviluppo verso forme di organizzazione più complesse. Quasi tutta l'energia
contenuta nell'apparato psichico deriva dai moti pulsionali di cui esso è
dotato; tuttavia questi moti non possono accedere tutti alle medesime fasi
evolutive. Nel corso dello sviluppo accade continuamente che singole pulsioni o
componenti pulsionali si rivelino incompatibili nelle loro mete o nelle loro
pretese con le rimanenti pulsioni che sono
in grado di
costituire insieme la
grande unità dell'io.
Esse vengono allora separate da questa unità mediante il processo della
rimozione, trattenute a livelli inferiori
dello sviluppo psichico,
e, sulle prime, private della possibilità di soddisfacimento. Se in
seguito riescono, per vie traverse, a ottenere un soddisfacimento diretto o sostitutivo, come accade assai
spesso nel caso delle pulsioni sessuali rimosse, questo successo, che
altrimenti sarebbe stato un'occasione di piacere, viene invece
avvertito dall'io come
dispiacere. In conseguenza
del vecchio conflitto,
che si era risolto con la
rimozione, nel principio di piacere si è aperta una nuova breccia,
proprio mentre alcune pulsioni, agendo in conformità col principio, cercavano
di ottenere un nuovo piacere”.
Oppure il principio in questione agisce e si
manifesta come ostilità verso lo sblocco del rimosso, verso stati di
regressione e la conservazione ad ogni costo…
Naturalmente non è detto che a una teoria
della “protezione dagli stimoli” corrisponda una reale e sempre effettiva riuscita
protezione dagli stessi; come avviene che il principio regolatore in questione
non si sa sempre con precisione sino a che punto sia in atto continuativamente
e/o ritragga una situazione di piacere… Ovvero: Il detto principio indica uno
scopo, un fine, una conquista od ottenimento, non una realtà stabilmente
esistente… ma allo stesso tempo il suo presupposto è che non vi sia attualmente
piacere o che si tema di perderlo o di non ottenerlo…
Il governo del principio di piacere implica
un, consiste in un, calcolo, una strategia; può chiedere o indurre ad accettare
momentaneamente altri principi e/o situazioni non piacevoli, se esse sono il
solo modo di tradurre in piacere qualcosa che è/è stato dispiacere…
Ad esempio: “Sotto l'influenza delle pulsioni
di autoconservazione dell'io il principio di piacere è costituito dal principio
di realtà, il quale, pur senza rinunciare al proposito finale di ottenere
piacere, esige e ottiene il rinvio del soddisfacimento, la rinuncia a svariate
possibilità di conseguirlo e la temporanea tolleranza del dispiacere sul lungo
e tortuoso cammino che porta al piacere. il principio di piacere continua
tuttavia per molto tempo a informare il modo in cui operano le pulsioni
sessuali, che sono difficilmente “educabili”, e accade continuamente che, a
partire da queste pulsioni, oppure lo stesso io, il principio di piacere riesca
a sopraffare il principio di realtà, a detrimento dell'organismo nel suo
insieme”.
L’osservazione dei fenomeni e comportamenti,
cui lo scienziato o il positivista è tenuto, rileva la contraddizione, o il
dualismo; ma è che l’una cosa vuole l’altra…
Tanto il principio in questione indica uno
scopo, un fine, una conquista od ottenimento e non una realtà stabilmente
esistente, quanto allo stesso tempo il suo presupposto è che non vi sia
attualmente piacere o che si tema di perderlo o di non ottenerlo… E sembra che
quel principio tradisca sé stesso, per poter lavorare e di qui l’impressione:
“se la tendenza a ripristinare uno stato precedente è veramente un carattere
così universale delle pulsioni, non è lecito meravigliarsi del fatto che nella
vita psichica tanti processi si svolgano indipendentemente dal principio di
piacere”.
Ma che cosa può significare “indipendenza”
dal principio di piacere? Presumibilmente che ci si neghi un piacere sentendo
di poter ottenere un dispiacere più contenuto e sopportabile… O che ci si procuri
una condizione di dispiacere per ridurne progressivamente gli effetti
spiacevoli, ciò che accade nella cosiddetta “coazione a ripetere”: coazione a
ripetere e quindi ritualizzazione… ad esempio il gioco del bambino consistente
nell’inscenare nel rituale di un gioco una situazione per cui chi realmente ha
subito (il bambino obbediente, e cioè che lo accetta, l’allontanamento
temporaneo della madre) ha rovesciato tale suo ruolo passivo in ruolo attivo…
consegnando il ruolo passivo ai piccoli oggetti, gettati in un angolo della
stanza e poi ripescati: “[…] se si considera la cosa in modo imparziale, si ha
l'impressione che il bambino avesse trasformato questa esperienza in un giuoco
per un
altro motivo. All'inizio era stato passivo, aveva subito
l'esperienza; ora invece, ripetendo l'esperienza, che
pure era stata
spiacevole, sotto forma
di giuoco, il bambino assumeva
una parte attiva. Questi sforzi potrebbero essere ricondotti a una
pulsione di appropriazione che si rende indipendente dal fatto che il ricordo
in sé sia piacevole o meno. Ma la si può anche tentare un'interpretazione
diversa. L'atto di gettare via l'oggetto, in modo da farlo sparire, potrebbe costituire il
soddisfacimento di un impulso che il bambino ha represso nella vita reale,
l'impulso di vendicarsi della madre che
se n'è andata; in questo caso avrebbe il senso di una sfida: ‘Benissimo,
vattene pure, non ho bisogno di te, sono io che ti mando via’ […] Sappiamo
anche di altri bambini che amano esprimere simili impulsi ostili
scaraventando lontano oggetti
in luogo di
persone”.
Coazione a ripetere dunque e cioè anche: “evitare
il dispiacere che sarebbe prodotto dalla liberazione del rimosso” ma attivando
come una pulsione di appropriazione
Provando ora a riassumere, un po’ di getto:
1.- La vita psichica è evoluzione;
2.- la 'evoluzione' è interpretata/vissuta (psichicamente) come perdita di stabilità-e-piacere, poiché è legata all’azione degli stimoli (e qui un po' sembra di entrare in un'ombra leopardiana...);
3.- il principio di piacere è una teoria e/o
legge difensiva e di contenimento del danno e cioè di difesa dagli stimoli, ancor prima che espansiva: ne
è impulso primario quello di
evitare e/o limitare le sensazioni spiacevoli;
4.- il principio di piacere (penso anche a 'Eros' e 'Thànatos') non è mai
nettamente separato e distinguibile dal suo opposto reale e di effetto, cioè
dal dispiacere; non è infallibile e dunque non è una regola impeccabile e
predeterminata… nessun “al di là” dunque se non nei meccanismi;
5.- la teoria del ‘piacere-e-dispiacere’ nel
reale svolgimento della vita psichica va messa in rapporto con la quantità di eccitamento
presente via via in detta vita (laddove la quantificazione si sposa con l'utilitarismo morale);
6. la quale vita psichica non è mai libera, ha una sua necessità ed è condizionata da fattori
esterni e interni, dei quali i primi risultano più controllabili dei secondi;
7. esiste una storia delle pulsioni e l’istinto
di ripristino e regressione si ricollega oltre che al principio di piacere, al
‘condizionamento storico delle pulsioni’;
8.- la strategia e azione di calcolo dei
piaceri e dispiaceri inducono a compromessi; ad esempio col principio di
realtà, che può giungere a costituirlo, o se vogliamo a mascherarlo;
9.- detta strategia, poiché risponde a un
principio di difesa e conservazione, può indurre così a rivivere o mettere in
scena ritualmente esperienze di dispiacere per padroneggiarlo e ridurlo, come a
resistere allo sblocco delle rimozioni, come al ripristino regressivo di stati precedenti, che è un solido principio della
vita organica…
10.- Da tutto questo però si può ricavare un
dubbio: ma… dovremmo parlare di una natura per lo più conservativa del
principio in questione o di una interpretazione conservatrice di Freud?
Breve spunto sul tema del piacere/dispiacere
Non è, rileggendo
ad esempio la Introduzione alla
psicoanalisi (ma è d'obbligo il rimando alla Psicopatologia della vita quotidiana),
che fra gli atti cosiddetti "mancati" la dimenticanza di un nome o di
un proposito risponda sic et
simpliciter al principio della difesa dai ricordi spiacevoli;
ma si ha forse qualcosa di più e cioè che "l'avversione [...] a ricordare qualcosa che sia legato a sensazioni di dispiacere"
così commettendo dimenticanza, riguarda
appunto i ricordi e poiché la cosa avviene nell'esercizio della memoria
questa entra di diritto e non senza un pizzico di prepotenza - a causa della
sua natura - nella sostanza stessa del discorso del principio di
piacere...
Utilitarismo e psicoanalisi
La morale dell’utile
di Jeremy Bentham è stato detto sia come un'algebra, o se si preferisce come un calcolo che permette alla persona
che agisce di conoscere le conseguenze del suo agire quantificando la felicità
prodotta e indirizzandola verso quelle azioni che possano massimizzare il
piacere e minimizzare il dolore.
Il che è ragionevole anche considerarlo nella
sua omogeneità/continuità rispetto allo hobbesiano “l’uomo quando pensa calcola”.... Ma è qui il punto: come si fa - mi domando - a pensare tutto
questo entro una psicologia del 'conscio'? Inscritta in una storia dell’anima in
cui si sa sempre ciò che si vuole; o si sa sempre con esattezza ciò che si fa e/o quali ne saranno le conseguenze?
Una
cosa evidentemente è dichiarare che si vuole star meglio o si vuole essere
felici, altra è la vita per come essa si svolge e può tradire… E andrebbe bene una teoria degli
istinti; ma essa o dovrebbe essere puramente biologica, o dovrebbe - ed è questo il caso - ospitare un'attività morale.
Mi domando dunque ancora: ci vuole forse la
psicoanalisi per poter capire, per poter apprezzare il messaggio dell’utilitarismo
inglese?
Vicende teoretiche dell’anima
Quando si afferma che le azioni coscienti e intenzionali
costituiscono solo una parte minore della vita psichica, ci s’innesta in una
tradizione scientifica e di pensiero importante, proprio anche nel mettere a
nudo qualcosa che si voleva celato, urtando con questo la suscettibilità dei
benpensanti.
Scrive fra l’altro Freud nella Introduzione alla psicoanalisi: “siamo abituati
a identificare lo psichico con il cosciente. La coscienza è da noi ritenuta addirittura la caratteristica che definisce lo psichico, la psicologia la dottrina dei contenuti della
coscienza”; mentre invece secondo la psicoanalisi “lo psichico
consiste in processi quali
il sentire, il pensare, il volere ed essa deve sostenere che esiste un pensiero
inconscio e un volere di cui si è inconsapevoli” (seconda lezione).
Ma
quell’andare direttamente allo psichico potrebbe ridurre l’efficacia della
lezione, ché se tanto mi dà tanto, allora Freud poneva mano a una riforma della teoria generale del’anima…
Aspetto
ritengo tutt’altro che trascurabile…
Ad
esempio: gli elefanti nella observation
di Plinio il Vecchio (Naturalis historia,
lb. VIII) erano fra gli animali i più vicini all’uomo e anzi ai migliori fra
gli uomini, per sapienza e sensibilità ed erano capaci di sentimento religioso.
Aristotele dedicò al tema un suo noto trattatello naturalistico, il de anima, nel quale dovette ammettere la
difficoltà di scindere chiaramente ciò che è anima da ciò che è sensibilità. Gli
animali secondo i Padri della Chiesa, nella ricostruzione seicentesca fattane
da Bayle, erano dotati di anima. Cartesio fondò la sua costruzione filosofica sulla
riforma dell’antica teoria dell’anima triplice, distinguendo fra anima
razionale e meccanica del corpo e delle azioni. Nel settecento un anonimo, che
poi si è voluto riconoscere in Lamettrie, scrisse una Storia naturale dell’anima, improntata al materialismo
naturalistico, negandone l’esistenza.
Dunque
volgendosi indietro si ha modo di apprezzare il fatto che nell’anima s’identificavano
attività e azioni in quanto meritassero un’attenzione e spiegazione scientifica
in quanto alle loro cause motive, al loro perché… contrastando le facili superstizioni…
e anche il fatto che il senso della cosa e la sua profonda venatura volgessero
al naturalismo…
Ora,
credo che il valore storico di Freud si commisuri a questo: nell’essersi
innestato in modo autorevole in una lunga vicenda teoretica, per lo più sottovalutata.
Conciliando - mettiamo - il naturalismo del corpo con quel linguaggio che
Cartesio poneva fra le attività non meccaniche dell’anima, ovvero fra quelle
che mai una macchina avrebbe potuto rendere….
1.- La irruzione della massa nella società moderna
è la irruzione della massa nella psiche (e l’Io, debbo presumere, non sarà più
lo stesso; esso attingerà contenuti insospettati, suoi e non). Questo a
prescindere dal fatto che la massa
sia sempre stata presente o meno nella psiche…
2.- Quali le caratteristiche della massa?
Essa ha uno spiccato bisogno di autorità (“[…] è un gregge docile - scrive Le Bon - che
non può vivere senza un padrone. È talmente assetata di obbedienza da
sottomettersi istintivamente a chiunque se ne proclami padrone”), dell’uomo
forte che semplifichi in modo crudo le cose e i rapporti, che faccia apparire
giusto l’ingiusto. La massa è affetta da ambivalenza:
tanto è ribelle all’autorità quanto bisognosa di autorità e naturalmente
portata a procurarsela, a qualsiasi costo; essa ha istinti puramente
conservativi e un’attitudine pronunciata alla regressione; essa crede nella virtù
magica della parola; ha sete di illusioni
e non di verità ed elaborazione culturale (ovvero, riassumendo testualmente: “è
al tempo stesso intollerante - parole di Le Bon - e pronta a credere
all'autorità. Rispetta la forza e soggiace solo moderatamente all'influsso
della bontà, che ai suoi occhi rappresenta solo una sorta di debolezza. Ciò che
essa richiede ai propri eroi è la forza o addirittura la brutalità. Vuole
essere dominata e oppressa, vuole temere il proprio padrone. Fondamentalmente
conservatrice, ha una profonda ripugnanza per tutte le novità e tutti i
progressi, e un rispetto illimitato per la tradizione. Per giudicare
correttamente la moralità delle masse, occorre tener conto del fatto che quando
gli individui si trovano riuniti in una massa, tutte le inibizioni individuali
scompaiono e tutti gli istinti crudeli, brutali, distruttivi, che nel singolo
sonnecchiano quali relitti di tempi primordiali, si ridestano e aspirano al
libero soddisfacimento pulsionale”; e ancora: “Nelle masse le idee antitetiche
possono coesistere l'una accanto all'altra e sopportarsi a vicenda, senza che
dalla loro contraddizione logica scaturisca un conflitto. […] La massa soggiace
inoltre alla potenza veramente magica delle parole che nell'anima delle
moltitudini possono provocare o placare le più formidabili tempeste: ‘La
ragione e gli argomenti logici non riuscirebbero a lottare contro certe parole
e certe formule. Vengono pronunciate con riverenza davanti alle masse e,
subito, i volti assumono una espressione di deferenza e le teste si inchinano.
Molti le considerano forze della natura, potenze sovrannaturali. Basta in proposito
rammentare i tabù dei nomi presso i primitivi, le forze magiche che per essi si
riallacciano ai nomi e alle parole’ ”, passaggio quest’ultimo nel quale Freud
riprende una sua frase di Totem e tabù;
e poi: “Le masse non hanno infine mai conosciuto la sete della verità. Hanno
bisogno di illusioni cui non possono rinunciare. L'irreale ha costantemente in
esse la precedenza sul reale, soggiacciono all'influsso di ciò che non è vero
quasi come a quello di ciò che è vero. Hanno l'evidente tendenza a non distinguere
tra i due”).
3.- Quali le cause che agiscono
nell’uomo-massa rendendolo tale?
Innanzi tutto l’individuo “acquista, per il
solo fatto del numero, un sentimento di potenza invincibile. Ciò gli permette
di cedere a istinti che, se fosse rimasto solo, avrebbe necessariamente tenuto
a freno. Vi cederà tanto più volentieri in quanto - essendo la massa anonima e
dunque irresponsabile - il senso di responsabilità, che raffrena sempre gli
individui, scompare del tutto”.
In secondo luogo v’è il “contagio mentale”
che “determina nelle masse il
manifestarsi di speciali caratteri e al tempo stesso il loro orientamento. Il
contagio è un fenomeno facile da costatare ma non ancora spiegato, e da porsi
in relazione con i fenomeni d'ordine ipnotico che studieremo tra poco. Ogni
sentimento, ogni atto è contagioso in una massa, e contagioso a tal punto che
l'individuo sacrifica molto facilmente il proprio interesse personale
all'interesse collettivo. Si tratta di un'attitudine innaturale, della quale
l'uomo diventa capace quasi soltanto se entra a far parte di una massa”.
V’è poi - siamo qui nella descrittiva di Le
Bon dalla quale Freud non intende prescindere - la causa “di gran lunga la più
importante”, la suggestionabilità, “di cui il contagio citato più sopra è
soltanto l'effetto”.
Insomma in generale: l’Io ‘ di massa’ diviene
irriconoscibile e fa cose che al di
fuori della massa non avrebbe mai fatte - e questo dovrebbe far riflettere,
oltre Freud.
Interessante - direi - il sentimento “di
potenza”, che coincide con la perdita di certe inibizioni o freni e che ci
riconduce alla “bionda bestia” di Nietzsche, o al “super-uomo” del medesimo
autore (immagine di successo, che nell’immaginario collettivo americano diverrà
l’eroe buono che sconfigge il male e salva l’umanità).
Da segnalare poi l’avversione freudiana per
la “suggestionabilità”, che egli dice inspiegabile, negativa per la terapia e
che lo indirizzerà, in quanto alla spiegazione della psicologia di massa, verso
la teoria della libido e dell’eros.
4.- Ma sembra, pur nel rispetto della
necessità dei dettagli ai fini terapeutici, che a un certo punto si venga a
premiare la nomenclatura: non è che nella sostanza e meglio dal punto di vista
del pensiero generale le cose cambino di molto se si attribuiscono alla massa
stati d’animo quali l’entusiasmo (caro al romanticismo inglese), la esaltazione
o la suggestione stessa o la intensificazione emotiva o l’affettività, di cui
parla non solo Freud: è la sensazione che si riceve leggendo il commento
freudiano di McDougall: “Possiamo dire, ritiene McDougall, che in altre
condizioni raramente gli affetti umani acquistano proporzioni quali quelle che
si producono in una massa, e che per i membri di questa è una gradita
sensazione quella di cedere in maniera cosi smodata alle loro passioni e,
incorporati nella massa, perdere il senso della loro limitatezza individuale.
Questa sensazione degli individui di essere travolti tutti quanti insieme è
secondo McDougall dovuta a ciò che egli chiama il principle of direct induction of emotion by way of the primitive
sympathetic response”, ossia al contagio emotivo che già conosciamo. Si
tratta del fatto che i segni percepiti di uno stato affettivo si prestano a
destare automaticamente in chi li percepisce il medesimo affetto. Tale
costrizione automatica diviene tanto più forte quanto maggiore è il numero
delle persone in cui il medesimo affetto risulta simultaneamente osservabile.
Tace allora la critica del singolo, il quale si lascia scivolare nel medesimo
affetto accrescendo però simultaneamente l'eccitazione degli altri che avevano
influito su di lui; è così che il carico affettivo del singolo viene
incrementato da un'induzione reciproca. Innegabilmente è operante qualcosa come
una costrizione a fare ciò che fanno gli altri, a rimanere all'unisono con i
molti. Gli impulsi emotivi più rozzi e più semplici sono quelli che hanno le
maggiori probabilità di diffondersi in tal modo in una massa.
Questo meccanismo dell'esaltazione
dell'affetto viene del pari favorito da alcune altre influenze provenienti
dalla massa. La massa fa al singolo l'impressione di una potenza illimitata e
di un pericolo invincibile. Si è momentaneamente sostituita alla società umana
nel suo insieme: essa è il fondamento dell'autorità e le sue punizioni vengono
temute e per amor suo tante inibizioni sono state accettate. È palesemente
rischioso opporsi ad essa, e ci si tranquillizza adeguandosi all'esempio che si
mostra tutt'intorno e magari addirittura ‘ululando con i lupi’. Per obbedire
alla nuova autorità è lecito mettere a tacere la propria precedente ‘coscienza
morale’ e cedere all'allettamento dell'acquisto di piacere che senza dubbio si
otterrà a patto di liberarsi delle proprie inibizioni. Non deve quindi
sorprendere che nella massa l'individuo compia o approvi cose da cui si
terrebbe lontano nelle condizioni di vita normali, e, tenendo conto di questa
circostanza, possiamo addirittura sperare di dissipare parte dell'oscurità che
suole venir celata da quell'enigma che è la parola ‘suggestione’”.
Qui vi è sì una qualche valorizzazione dell’affettività,
che credo di capire avvicini un tantino di più a Freud; ma il nodo da
sciogliere a mio modo di sentire resta quello della natura del ‘salto’ dall’Io quasi
‘indisturbato’ dell’individuo singolo alla massa, con il suo effetto
travolgente: è sufficiente il “sociale” che da sempre è nell’Io a spiegare
tutto?
5.- Parlando per spiegare la massa di suggestione
(o di suggestionabilità) - osserva Freud - non si viene a capo della questione:
essa funge a questo proposito da “paravento”. Al che egli tenta la strada del “legame
affettivo”: “Cercheremo pertanto di partire dall'ipotesi che le relazioni
d'amore (o, per esprimersi con un termine più neutro, i legami emotivi)
costituiscano anche l'essenza della psiche collettiva. […] Le nostre
aspettative si basano innanzitutto su due idee non ancora chiaramente
delineate. La prima è che la massa viene evidentemente tenuta insieme da
qualche forza. A quale forza potremmo attribuire meglio questa funzione se non a Eros, che tiene unite tutte
le cose nel mondo? La seconda è che se nella massa il singolo rinuncia al
proprio peculiare modo d'essere e si lascia suggestionare dagli altri, ciò
avviene, ci sembra, perché vi è in lui un bisogno di stare in armonia con gli
altri anziché contrapporsi ad essi; e forse tutto sommato egli si comporta cosi
‘per amor loro’ “.
E così entrano nel discorso Chiesa ed
Esercito, che egli definisce masse artificiali:
“Basandoci sulla morfologia delle masse,
ricordiamo che è possibile distinguere in esse tipi assai diversi e direzioni
opposte di sviluppo. Esistono masse transitorie e masse estremamente stabili;
masse omogenee, composte d'individui affini, e masse non omogenee; masse
naturali e masse artificiali, la cui coesione richiede anche una coercizione
esterna; masse primitive e masse articolate, organizzate in misura notevole.
Per ragioni che per ora sono lasciate nell'ombra attribuirò particolare valore
a una distinzione cui gli autori non hanno prestato sufficiente attenzione; mi
riferisco alla distinzione tra le masse prive di un capo e quelle soggette a un
capo. In netto contrasto con la prassi abituale, la nostra ricerca non
sceglierà inoltre quale proprio punto di partenza una formazione collettiva
relativamente semplice; prenderà invece l'avvio da masse altamente organizzate,
durevoli, artificiali. Gli esempi più interessanti di tali formazioni sono la
chiesa, la comunità dei credenti, e le forze armate, l'esercito”.
Egli si occupa così della chiesa segnatamente
quella cattolica, più costruttiva, e dell’esercito… quali
istituzioni/organizzazione delle masse; e alla domanda su che cosa tenga
assieme la massa egli risponde l’amore, l’affettività, la libido… e s’interroga
sulle cause del cd. timor panico… (il timor panico presuppone il rilassamento
della struttura libidica della massa… )…
“Quando l'individuo colto da timor panico
comincia a pensare solo a sé stesso, egli dimostra che sono venuti meno i
legami affettivi che fino a quel momento avevano ridotto ai suoi occhi il
pericolo. Dovendo affrontare il pericolo da solo, può comunque considerarlo
maggiore. La situazione è la seguente: il timor panico presuppone il
rilassamento della struttura libidica della massa e reagisce adeguatamente a
questo fatto, e non è che ,·icc,·crsa i legami libidici della massa vengano
meno a causa del timore davanti al pericolo”.
6.- Una società sempre meno semplice, meno
prevedibile, meno diradata e più compattata o più coinvolgente - posso pensare
a una società più “postmoderna” che “postindustriale”, pure identificata con la
prima - appare (e dunque può benissimo essere che sia) una incontrollabile
occasione regressiva: “La massa corre subito agli estremi, il sospetto sfiorato
si trasforma subito in evidenza inoppugnabile, un'antipatia incipiente in odio
feroce”….
Che poi certa politologia - fatta studiare
nelle università - abbia positivizzato e regolarizzato questo imbarbarimento con
la teoria del “leader carismatico” esprime pur qualcosa, come lo esprime il
fatto che il Principe di Machiavelli
abbia ‘stregato’ Gramsci…
7.- Ma, contrariamente a quanto ritiene Freud,
una società sempre meno semplice, meno diradata non è già il semplice
necessario nesso fra psicologia individuale e psicologia sociale, che dura
dalla notte dei tempi o quasi (quello fra un padre e un figlio, ad esempio, o fra
un paziente e il suo medico, o il devoto e il suo prete…) e insomma la mia
sensazione è che la società sia cambiata ma divenendo nuova “anima collettiva”,
o “arma collettiva”, non sic et
simpliciter come può cambiare il tempo; e cioè: una cosa è la psicologia
sociale (ciò che è dato riscontrare ad esempio nella sessualità del bambino), altra
- pur nella sussistenza dei legami - quella di massa (ad esempio l’altro non è
l’altro ‘familiare’ – immagine innocua o moderatamente ostile - ma l’altro nemico, che si cela dietro il familiare,
il vicino di casa, il medico di fiducia, il prete…).
Giusta la definizione di Le Bon, quando egli
parla di “vita psichica dei primitivi”… (e bisognerebbe considerarne il contrasto
con i costumi e abitudini “civili”… Ma anche quella immagine freudiana:
distruggere e annientare in pochissimo tempo le conquiste della civiltà, per costruire
le quali ci sono voluti secoli…
Volevo insomma puntualizzare: Freud forse più
di alcuni suoi illustri contemporanei, in
primis Le Bon (Psychologie des foules,
Parigi 1895), indi McDougall, The Group
Mind, Cambridge 1920) trascura un gradino intermedio fra i due costituiti rispettivamente
dall’Io e dalla massa; ed è che quella che era la vecchia occasionalità della psicologia di massa sembrava già avere ‘rotto gli
argini’: veniva abbattuto già un po’ il muro separatore fra pace e guerra, umanità
e inumanità, ovvero la crudeltà delle antiche battaglie o dei ludi romani o delle atrocità delle esecuzioni
capitali nel medioevo e sino al settecento - illustrateci successivamente da
autori illuminati come Foucault - sembravano poter penetrare nella società e
nella vita quotidiana (si pensi ma non solo al cd. terrorismo e comunque allo
stragismo), con relativa acutizzazione dei problemi della sicurezza e della
pace stessa, con incidenza sul senso del Bello, del Giusto, ecc.
Certo bisogna domandarsi anche questo: quali
però le soglie di consapevolezza, allora; se a loro volta Sighele, Le Bon e
altri parlavano di folle per dire di masse di breve durata? E comunque mi sia
lasciata la libertà della domanda: ma già allora era questione di prefetti o di
psichiatri?
E mi provo a questo punto ad accentuare il
concetto e meglio il sospetto: ma non è che la psicoanalisi è nata perché storicamente e socialmente la potenza dell’inconscio stava aumentando e si mostrava
come un rischio? Non è che si scavasse in una grotta perché bisognava evitare i
danni procurati dal fatto che l’inconscio prevaleva sul conscio?… Ma… resta una
domanda, un dubbio, forse una semifantasia….
Temo comunque che in futuro si rafforzerà la
potenza dell’inconscio, essenzialmente collettivo, e saranno abbattuti certe inibizioni
e freni, poiché la massa - pure coltivata ‘pacificamente’ e anzi proprio per
questo - è e sarà sempre irresponsabile… E insomma: se il novecento è l’epoca
della psicologia di massa, pure l’irruzione-e-dominio delle masse nell’Io, se
tanto mi dà tanto, potrebbe non essere finita con il ‘900 - e ne abbiamo già la
dimostrazione! Anche se secondo taluno il farmaco c’è… E temo per giunta che
nella massa (nel consenso feroce, nel pensiero unico semplificato, nella
esaltazione collettiva…) possa racchiudersi qualcosa di irriducibile a scienza…
Scrive ad esempio Freud: “Dato che McDougall
contrappone a quello qui descritto il comportamento delle masse altamente
organizzate, siamo ansiosissimi di apprendere in che cosa tale organizzazione
consista e di quali fattori costituisca il prodotto. L'autore enumera cinque di
queste ‘principal conditions’ indispensabili all'innalzamento del livello della
vita psichica della massa”. E mi fermo qui, nella trascrizione, poiché basta
cogliere nel profondo la natura del dubbio…
8.- Insisto: a questo punto il principio di
piacere, con tutti i suoi meccanismi, rituali o che dir si voglia e insomma con
tutto il suo patrimonio di observation,
potrebbe valere, guardando oltre il discorso delle masse, quanto un contenitore
da riempire: un’anfora, un sacco; mentre il contenuto (reale, concreto,
effettivo…) resterebbe oscuro e andrebbe costantemente e faticosamente indagato:
è come se il tempo si rabbuiasse di continuo, senza lasciarci mai…
Ciò può implicare ad esempio che uccidere dia
piacere, che ci parli di amore, che thànatos in quella direzione sia superato
da eros e che possa aumentare la difficoltà diagnostica e la confusione; o che
un numero sempre crescente di cose le si facciano e basta senza minimamente
rifletterci, con una giustificazione o motivazione equivalente a nulla o al suo
contrario, o a pulsione, azzerando in un modo stabile il giusto e l’ingiusto e la
cosiddetta “coscienza morale”, cara ai religiosi, alle anime inquiete, ai… ‘filosofi’…
ma anche alle persone responsabili…
E allora: forse troppo… positivismo? Pur
riconoscendo che Freud sarebbe stato riconfermato da Reich, il che avrebbe
dimostrato che la diagnosi freudiana era comunque giusta, al di là del suo
stesso positivismo…
9.- Vorrei quindi trarre certe conseguenze,
considerando Freud come premessa necessaria e preziosa, come una logica
formale, o che altro. E potendo giungere sino a pensare che il catastrofismo
Freud non cedendo alle tentazioni dell’istinto incontrollato lo abbia
semplicemente tenuto a freno… E forse in parte è così…
Mi riallaccio, con riferimento allo scritto
sulla Psicologia di massa e analisi
dell’Io (1921), al secondo (il primo è quello della psicologia
necessariamente sociale) chiarissimo messaggio: “[…] i fenomeni inconsci
svolgono una parte preponderante non soltanto nella vita organica, ma anche nel
funzionamento dell'intelligenza. La vita cosciente dello spirito ha una parte
minima rispetto alla vita inconscia di esso. L'analista più sottile,
l'osservatore più penetrante arriva a scoprire soltanto una piccola
parte dei motivi consci da cui egli stesso è guidato”. La
premessa è quella stessa de L’io e l’es:
“La distinzione dello psichico in ciò
che è cosciente e ciò che è inconscio è
il presupposto fondamentale della
psicoanalisi […] Per dirla ancora una volta con altre parole, la psicoanalisi
non può far consistere l'essenza dello psichico nella coscienza, ed è invece
indotta a considerare la coscienza come una delle qualità dello psichico, che
può aggiungersi ad
altre qualità ma che
può anche rimanere
assente”).
Ma al cospetto di quella che ho detto irruzione della massa nell’Io, o nella psiche,
il suono è ben diverso: è come se cambiasse tutto, non in un modo rassicurante…
Proviamo - dicevo - solo a immaginare
l’inconscio del singolo non sic et
simpliciter come avente una sua parte riservata all’inconscio collettivo ma
come dominio costante di questo… oppure come l’inconscio collettivo che sia
indistinguibile da quello che ritenevamo fosse semplicemente l’inconscio… Ovvero:
non più sic et simpliciter terapia ma
affezione devastante, straripante, ecc.
Salterebbe forse il principio o pregiudizio
della ‘eccezionalità’ della guerra e le conseguenze potrebbero essere intuitivamente
devastanti… e non ci si potrebbe più sorprendere di nulla…
Viviamo in questo mondo… Proviamo a spingerci
solo un po’ più in là, sino a immaginare che la folla e la follia non siano
eccezioni… Oggi sta di nuovo montando ad esempio l’onda del fanatismo
religioso, inscindibile così dalla religione come dalla guerra… Che dirne? Ad
esempio che ogni chiesa, per dire ogni comunità religiosa, tenuta assieme dalla
fede cieca in un capo soprannaturale, è una istigazione alla violenza…
10.- C’è poi la teoria del capo manipolatore,
meglio ipnotizzatore (“sentimento analogo a quello prodotto dalla fascinazione
ipnotica”); l’uomo “di prestigio” di Le Bon, che trovo figura attualissima,
profondamente commerciale e finanche ‘liberale’ e di più ‘democratica’, se essa
funziona finché funziona il suo potere-e-successo (“Ogni prestigio dipende […] anche
dal successo e viene perduto a causa d'insuccessi”).
L’amore per il capo cementa più delle
relazioni fra i membri della massa… Senza il capo, la cui connotazione magica
non la si scorge ma la si vive, è pensabile la massa? O morto Alessandro il
potere deve comunque transitare nei suoi generali?...
La questione poi sembra complicarsi quando si
passa da Cristo o da Maometto o da Dio al führer…
La continuità c’è tutta, intendiamoci: il
culto religioso è autoritario, v’è sempre stato lo Stato confessionale,
l’alleanza sacra del trono con l’altare…
Il duce che raduna le folle a piazza Venezia,
l’abitudine alle adunate rituali, e il papa che raduna le folle a piazza san
Pietro…
Sembra proprio che il discorso di Freud sulla
chiesa e l’esercito possa funzionare; ma la domanda è: è per sempre?...
e meglio: una grande manifestazione di piazza
(sindacale, politica, ecc.), l’associazionismo di manifestazione, e internet
sembrano denotare una tendenza inestinguibile. Già ma succede questo: da una
parte ci si associa, dall’altra aumenta il conflitto…
L’affettività ed eros possono spiegare la
psicologia di massa più di quanto non possano altre cause. Ma non certo per
questo e cioè perché forniscono la chiave interpretativa, essi sono
rassicuranti o comfortable… La
società repressiva in ogni suo grado può - e lo fa - usarle in un modo repressivo;
ma questo a sua volta fa pensare…
La libido è la libido ed essa spiega tutto. Tutto
ciò che ci spinge impulsivamente a fare una qualsiasi cosa, spesso con effetti
che vanno oltre il voluto e l’immaginato e lo stesso desiderato, può essere fatta dipendere dalla
libido. Un amore tradito al pari di una disperazione per motivi
economico-finanziari, porta all’omicidio. Si uccidono i propri figli gettandoli
dal piano alto di un edificio e ci si suicida per... amore… e insomma direi anche questo, a non
volermi almeno qui inoltrare nel discorso sulla chiesa cattolica e l’esercito:
che una parola positiva e rassicurante come amore
in realtà tale non è, non lo è mai stata, non lo sarà. Freud ha in questo
ragione: nulla è rassicurante e piuttosto bisogna imparare, egli ammonisce, a
saper leggere bene i “grandi pensatori”, prima ancora di idolatrarli… Chi magari idealizza Kant, o Hegel, non è che idealizza un po' sé stesso, volando nei giardini della retorica?
Prima scheda per TOTEM E TABÙ: le cause
“Che
cos'è il totem? Di solito un animale, un animale commestibile, innocuo o
pericoloso e temuto; ma può essere che l'animale totemico sia il padre, manifestato nella zoofobia e dunque siamo all'edipico; oppure, più raramente, una pianta o un elemento naturale
(pioggia, acqua) legato a tutto il clan da un rapporto particolare”.
E ancora: “Il totem è in primo luogo il capostipite del clan, ma ne è anche lo spirito tutelare e il soccorritore che trasmette oracoli alla sua gente e, se pur pericoloso agli altri, riconosce e risparmia i suoi figli”: così Freud nel primo capitolo di Totem e tabù.
E ancora: “Il totem è in primo luogo il capostipite del clan, ma ne è anche lo spirito tutelare e il soccorritore che trasmette oracoli alla sua gente e, se pur pericoloso agli altri, riconosce e risparmia i suoi figli”: così Freud nel primo capitolo di Totem e tabù.
Totem significa: fare
della discendenza da ‘qualcosa’ (di temuto, o di cui si ha forte bisogno) la
fonte degli obblighi e dei vincoli-regole di un gruppo, istituendone-consacrandone
il simbolo; il che sembra comunque molto un pretesto, per una questione di ordine e per far rispettare le regole… prescindendo
dal modo come si è formato il clan…
Freud nel primo capitolo si
sofferma sulla
prima forte inibizione, quella dell’incesto: “Quasi dovunque viga il totem, vige anche la legge secondo cui membri di uno stesso totem non possono avere
rapporti sessuali tra di loro
e non possono quindi contrarre matrimonio. È l' ‘esogamia’ connessa col totem”. Questo l’esordio dunque; per un tema ripreso nell'ultimo capitolo, laddove esso appare più problematico (anche se emerge che esso si lega alla uccisione del padre e all'edipico); già, ma perché tutto
questo?
Un siffatto divieto si
associa agli altri, quali quello di uccidere e mangiare
il totem, o anche
di toccarlo, e anzi perfino di guardarlo. Una cosa è certa: il totemismo vale a dimostrare che le proibizioni sono più costruttive socialmente della libertà delle pulsioni… ovvero che divieti e rituali (tanto simbolici quanto... buffi) nascono dal bisogno di tenere unita la comunità...
Fra i tre tipi di totem “Il
totem del clan [il più importante, a quanto ne scrive Freud nel quarto capitolo]
è oggetto di venerazione da parte di una stirpe di uomini e di donne che
prendono il nome del totem, si considerano consanguinei,
discendenti da un comune capostipite, e sono legati da comuni doveri reciproci e dalla comune credenza nel
totem. Il totemismo, pertanto, è un sistema sia religioso che
sociale. Il suo aspetto religioso consiste nelle relazioni di
vicendevole rispetto e protezione tra uomo e totem [religioni della
natura?...]; l'aspetto sociale, nei doveri tra membri di uno stesso clan e nei
confronti di altri clan”.
Già: ma chi nasce prima,
mi domando, il capostipite - o chi pone i doveri, o chi li fa rispettare - o il
totem?; la realtà storico-umana o il volere far credere in qualcosa, per tenere
ordinato un gruppo o clan?
Il problema insomma resta l’origine del
totemismo, la quale sembra a Freud stesso ancora avvolta nelle ipotesi.
E il dubbio resta: che la inibizione (o tabù)
spieghi il totem e non viceversa; o che essa spieghi più di quanto non sappiano
fare le ricostruzioni antropologiche, con le
loro suggestioni?
Il problema può essere
formulato cosi: perché gli uomini primitivi (e i loro clan) sono giunti ad
assumere il nome di animali, piante, oggetti inanimati? Cosa tipica forse del
fenomeno associativo in quanto tale?
Abbiamo nel totemismo, secondo
le descrizioni antropologiche prese in esame da Freud, un associarsi con qualcosa che si caccia e si
mangia, uno stabilire legami (religione) con la natura e gli animali (per un
senso di paura - ritengo - e di colpa, certo non senza conservare l’ambivalenza
del legame)… Religione non propriamente nascente dal bisogno materiale dunque ma dalla
paura di avere sottratto/rubato qualcosa a... qualche spirito, che ha mostrato di adirarsi venendo così a costituirsi quale 'spirito'…
e magari dal sapere che sarà proprio in forza di una consacrazione o
mitizzazione che in futuro si potrà continuare a sottrarre e togliere a qualche spirito:
natura, animali ecc.…
Ciò che incuriosisce in tutto questo è il fatto per sé: che a un certo punto ciò che si cacciava e/o si uccideva e si mangiava divenga intoccabile, immangiabile e sacro simbolo del gruppo…
Ma ritengo che se si pensa la cosa seguendo le ricerche di Robertson Smith sui sacrifici e il “pasto totemico”, di cui al capitolo IV, la mira per così dire si corregga: esse sono valse a provare che “uccidere e cibarsi periodicamente del totem [ciò che poteva essere fatto solo da tutta intera la comunità riunita], in epoche anteriori all'adorazione di divinità antropomorfe, erano stati una componente importante della religione totemica”. Laddove a quanto pare l'animale che non sia domestico è già (come) sacro, proprio per non essere domestico, ovvero familiare, di proprietà, ecc.
Restano comunque in piedi a occhio e croce almeno tre aspetti della questione: o che si tratti di legittimare certe azioni di sottrazione economica e appropriazione - e delittuose - dovute ai bisogni ma che fanno adirare gli spiriti, o che si tratti di costituire o dare ordine a un gruppo attorno a delle regole, o che, in difetto di una motivazione inconscia certa, si tratti semplicemente di un’attribuzione nominale, per cui ciò che mi dà da mangiare e che scambio vantaggiosamente con altri gruppi sociali io lo promuovo a nome/titolo del mio clan…
Tre spiegazioni alla fine assai logiche che è
anche banale dire che si debbano poter conciliare e che varrebbero comunque a
dare risalto alla economia, quale cemento del clan e quale realtà
e causa esterna: il totemismo come fenomeno
prevalentemente economico, dunque? E alla psicoanalisi, che si occupa di
interiorità e cause interne, il diritto/dovere di studiarne gli effetti
psicologici accostandoli alle patologie (ad esempio: nevrosi ossessiva)? Ciò che incuriosisce in tutto questo è il fatto per sé: che a un certo punto ciò che si cacciava e/o si uccideva e si mangiava divenga intoccabile, immangiabile e sacro simbolo del gruppo…
Ma ritengo che se si pensa la cosa seguendo le ricerche di Robertson Smith sui sacrifici e il “pasto totemico”, di cui al capitolo IV, la mira per così dire si corregga: esse sono valse a provare che “uccidere e cibarsi periodicamente del totem [ciò che poteva essere fatto solo da tutta intera la comunità riunita], in epoche anteriori all'adorazione di divinità antropomorfe, erano stati una componente importante della religione totemica”. Laddove a quanto pare l'animale che non sia domestico è già (come) sacro, proprio per non essere domestico, ovvero familiare, di proprietà, ecc.
Restano comunque in piedi a occhio e croce almeno tre aspetti della questione: o che si tratti di legittimare certe azioni di sottrazione economica e appropriazione - e delittuose - dovute ai bisogni ma che fanno adirare gli spiriti, o che si tratti di costituire o dare ordine a un gruppo attorno a delle regole, o che, in difetto di una motivazione inconscia certa, si tratti semplicemente di un’attribuzione nominale, per cui ciò che mi dà da mangiare e che scambio vantaggiosamente con altri gruppi sociali io lo promuovo a nome/titolo del mio clan…
Seconda scheda per TOTEM E TABÙ: centralità dell’
"ambivalenza emotiva"
Del tabù s’ignorano a quanto mi è dato comprendere le primissime cause; ma esso è
governato da un principio di ambivalenza delle emozioni: coesistenza di
due stati d’animo contrastanti e opposti nei riguardi del medesimo oggetto.
Semplificando: amore e odio verso la medesima persona, frammiste e
susseguentisi, con una prevalenza nell’ordinario dei sentimenti non ostili… Per
integrare il concetto: le pulsioni sono esiliate nell’inconscio, la proibizione
coesiste con l’impulso a trasgredire, desiderio e orrore possono essere rivolti verso il medesimo oggetto…
Fra gli esempi: del nemico ucciso si cerca d’ingraziarsi lo
spirito, se ne chiede il perdono e si fa espiazione; al caro estinto si
attribuiscono proiettivamente stati d’animo (di ostilità) che erano quanto meno nostri nei
suoi confronti, mentre a noi resta la parte amorosa; il re può/deve essere
bastonato, o privato di molte cose, proprio perché sta per assumere il titolo
di re (la famosa 'bastonatura')…
Nell’ambivalenza ha radici l’ordinamento penale per sua
natura, ovvero: “non di rado la punizione dà agli esecutori l'opportunità di
commettere a loro volta, sotto il manto giustificativo dell'espiazione, la
stessa azione sacrilega. Questo è uno dei fondamenti dell'ordinamento penale
umano, la cui premessa - senza dubbio corretta - consiste nell'attribuire gli
stessi impulsi proibiti al criminale e alla società che di lui si vendica”.
Questo principio, che ricomprende se non erro il sentimento di colpa, si pone al centro del libro Totem e tabù e della umanità dell’uomo - e fa sì che ogni verità, ogni evidenza, sia decostruibile… che ogni cosa la si possa spogliare, per averlo identificato, del suo sacro…
Terza scheda per TOTEM E TABÙ: antropologia della psicoanalisi o viceversa...
Terza scheda per TOTEM E TABÙ: antropologia della psicoanalisi o viceversa...
A un certo punto Freud scrive, a proposito del fatto che nei nevrotici il senso di colpa possa venire da una pulsione spacciata per fatto: “Tuttavia, non dobbiamo consentire che il nostro
giudizio sui primitivi sia eccessivamente influenzato dall'analogia con i nevrotici”
(Totem e tabù, ed. cit., p. 163).
Il dubbio è chiaro: è l’antropologia o se si preferisce la etnologia, che conforta la psicoanalisi, in quanto al suo oggetto e alle sue spiegazioni scientifiche; o non è piuttosto la psicoanalisi, che vuole spiegare, in caso di origini oscure e incerte, l’antropologia?
Beh!, a pensarci meglio: in tal caso il concetto non cambia...
Il dubbio è chiaro: è l’antropologia o se si preferisce la etnologia, che conforta la psicoanalisi, in quanto al suo oggetto e alle sue spiegazioni scientifiche; o non è piuttosto la psicoanalisi, che vuole spiegare, in caso di origini oscure e incerte, l’antropologia?
Beh!, a pensarci meglio: in tal caso il concetto non cambia...
Quarta scheda per TOTEM E TABÙ: il progresso e il suo contrario
Ora, l’assioma è un po’ il seguente: l'uomo preistorico è anche in un certo senso nostro contemporaneo: cose che lo caratterizzavano le riscontriamo anche in noi… ma se ciò è sostenibile, allora nell’inconscio si trova la radice storica antica, che persiste nel dimorarvi e non abbandonerà mai la psiche umana… Dunque se facciamo dell’inconscio il fondamento o quanto meno la spiegazione della morale, intesa come comportamento, complesso delle azioni, dei tabù, ecc., che cosa ne abbiamo? Ne abbiamo per semplificare che la civiltà poggia - pur tenendola possibilmente al guinzaglio - sulla negazione della civiltà… e all’orizzonte allora si profila una regola preoccupante: che maggiore è il progresso, maggiore è il rischio di una regressione verso stadi primitivi… o più in generale: sorprendenti, ché li credevamo 'superati'...
Ora, l’assioma è un po’ il seguente: l'uomo preistorico è anche in un certo senso nostro contemporaneo: cose che lo caratterizzavano le riscontriamo anche in noi… ma se ciò è sostenibile, allora nell’inconscio si trova la radice storica antica, che persiste nel dimorarvi e non abbandonerà mai la psiche umana… Dunque se facciamo dell’inconscio il fondamento o quanto meno la spiegazione della morale, intesa come comportamento, complesso delle azioni, dei tabù, ecc., che cosa ne abbiamo? Ne abbiamo per semplificare che la civiltà poggia - pur tenendola possibilmente al guinzaglio - sulla negazione della civiltà… e all’orizzonte allora si profila una regola preoccupante: che maggiore è il progresso, maggiore è il rischio di una regressione verso stadi primitivi… o più in generale: sorprendenti, ché li credevamo 'superati'...
Quinta scheda per TOTEM E TABÙ: l'ambivalenza emotiva e la 'bastonatura'
“I
selvaggi Timme della Sierra Leone", a quanto dice Frazer, 'che eleggono
il loro re, si riservano il diritto di bastonarlo alla vigilia dell'incoronazione,
e approfittano di questo privilegio costituzionale con tanta buona volontà che talvolta
l'infelice monarca non sopravvive a lungo all'elevazione al trono. Cosi, quando
i capi hanno della ruggine contro qualcuno e se ne vogliono liberare, lo
eleggono re' ”. Ovvero anche: “I selvaggi non si comportano diversamente con i loro
re quando attribuiscono loro poteri sulla pioggia o sul sole, sul vento o sul tempo,
per poi deporli o ucciderli perché la natura ha deluso le loro aspettative di una
buona caccia o di un ricco raccolto. Il modello che il paranoico riproduce nel delirio
di persecuzione è fondato sul rapporto tra il bambino e suo padre. Nell'immaginazione
del figlio il padre possiede di norma questa stessa pienezza di poteri, e accade
realmente che la diffidenza verso il padre sia intimamente legata all'alta considerazione
in cui egli è tenuto. Quando il paranoico elegge a suo "persecutore" una
persona con cui è in rapporto, la innalza al livello di padre, la pone in condizioni
che gli consentono di renderla responsabile di tutte quelle che egli sente come
sue sventure. Questa seconda analogia tra il selvaggio e il nevrotico ci fa intuire
quanto, nel rapporto tra il selvaggio e il suo sovrano, derivi dall'atteggiamento
infantile del figlio verso il padre” (Totem e tabù, pp. 57-58 ed. digit.). Ma
già prima si parla del re che viene venerato come un dio ma che se non pensa a fare il bene del
suo popolo allora è ucciso come un delinquente…
E insomma: il cerimoniale o la forma non debella la psiche e l’attribuzione
di potere o di autorità non è per nulla lineare e non si configura nemmeno sic et simpliciter come traduzione
di un riconoscimento di ‘superiorità’ in una forma di controllo e di punizione, ché ciò non nega - proprio perché si legittima qualsiasi azione nei confronti dell’investito - quella superiorità.…
In fondo il principio
è sempre quello, che ben conosciamo: dell'apologo di Menenio Agrippa ("Olim humani artus, cum ventrem otiosum cernerent, ab eo discordarunt, conspiraruntque ne manus ad os cibum ferrent, nec os acciperet datum, nec dentes conficerent. At dum ventrem domare volunt, ipsi quoque defecerunt, totumque corpus ad extremam tabem venit: inde apparuit ventris haud segne ministerium esse, eumque acceptos cibos per omnia membra disserere, et cum eo in gratiam redierunt. Sic senatus et populus quasi unum corpus discordia pereunt concordia valent") nonché del servo che governa il padrone, il quale altrimenti non sarebbe tale, riscoperto in epoca moderna dal
pensiero 'disinibito'…
Ma sembra esservi in tutto ciò una sottigliezza in più, tanto spesso non pensata quanto credo decisiva: che la uccisione dell'animale sacro quale sostituto del padre e il successivo consumo condiviso delle sue carni nella festa/pasto totemica/o pone fine alla cosiddetta "orda paterna" più di quanto non origini il compianto per l'ucciso: “La religione del totem non abbraccia soltanto le espressioni del rimorso e i tentativi di riconciliazione, ma serve anche a ricordare il trionfo sul padre. [...] Non ci stupiremo di scoprire che nei prodotti più tardi della religione riaffiora continuamente, spesso dissimulato nei più singolari travestimenti e mascheramenti, anche l'elemento di sfida del figlio nei confronti del padre”. E ancora: "Abbiamo seguito finora nelle prescrizioni morali e religiose [...] le conseguenze della corrente di sentimenti affettuosi verso il padre, corrente trasformatasi poi in rimorso. Tuttavia non dobbiamo trascurare il fatto che, nella sostanza, risultano vincenti le tendenze che hanno spinto al parricidio" (ivi, p. 149). Ovvero e di più: i primi re delle tribù latine secondo taluno (Frazer, The Golden Bough) erano "stranieri che ricoprivano il ruolo di una divinità e che, in questo ruolo, venivano giustiziati solennemente" e così pure "il cerimoniale dei sacrifici umani nei luoghi più diversi della terra abitata lascia sussistere pochi dubbi sul fatto che questi uomini venivano fatti morire poiché rappresentavano la divinità" (ivi, p. 154); nonché: "Ma la Comunione cristiana è in fondo una nuova eliminazione del padre, una ripetizione dell'azione da espiare" (Totem e tabù, ed. cit., pp. 157-158).
A questo punto il gruppo diviene forte - sostituendovisi - almeno quanto il suo Dio-Padre, al quale invece la psicologia del potere religioso sembra interessarsi in modo prevalente... Il che sta a confermare il primato dell'ambivalenza su tutto ma anche il fatto che la religione poggi sulla (s'identifichi anche con la) uccisione del Dio... Magari l’antropologia e la facile psicologia possono sospingerci in una direzione contraria, evidenziando la componente della colpa, con la teoria della “obbedienza posteriore”: “Morto, il padre divenne più forte di quanto fosse stato da vivo, secondo un succedersi di eventi che ravvisiamo ancor oggi nel destino degli uomini. Ciò che prima egli aveva impedito con la sua esistenza, i figli se lo proibirono ora spontaneamente nella situazione psichica dell' ‘obbedienza posteriore’[…]. Revocarono il loro atto dichiarando proibita l'uccisione del sostituto paterno, il totem, e rinunciarono ai suoi frutti, interdicendosi le donne che erano diventate disponibili. In questo modo, prendendo le mosse dal loro filiale senso di colpa, crearono i due tabù fondamentali del totemismo, che proprio perciò dovevano coincidere con i due desideri rimossi del complesso edipico”. Ma non è in sostanza che tutto possa essere rimesso al sentimento prevalente che quale sentimento di colpa tende a punire gl'infedeli - per la intolleranza che contraddistingue le religioni - ma non sembra bastare a definire la essenza... e anzi: la tiene nascosta.
E non valga, tutto questo che si va dicendo, sic et simpliciter come discorso favorevole all'ateismo...
E/o consiste - per quanto ne dice sempre Freud - nell’attribuire al desiderio un potere connaturato di affermarsi e soddisfarsi. Dai pensieri al Pensiero poi il passo è assai breve e si fa presto non a caso a dire: il Nous...
Pensiero dunque e desiderio: se tanto mi dà tanto, io potrei anche sostenere che in certi sistemi di pensiero, storicamente affermati (penso all'idealismo classico), la componente magica è spiccatamente presente. Ma l'idealismo classico è una ipotesi minima e mi sento di dover aggiungere che la cosa è riscontrabile sino nella concezione scientifica, sempre che sia ammissibile che essa nasca nell'orbita dell'animismo.
Che resti dunque quel confondere "l'ordine delle proprie idee con l'ordine della natura", di cui parla Frazer, come sempre e comunque radicato nel fondo del pensiero, quale sua forza e debolezza allo stesso tempo?...
Quanto poi - mi domando immediatamente dopo - i pensieri sono scindibili dai desideri?
Dodicesima scheda per TOTEM E TABÙ: il bisogno di autorità
Io mi compro un cane, per portarlo a passeggio; io allevo un figlio o figliastro per occupare il mio tempo dedicandomi a un'attività che abbia il sapore di un dovere-e-piacere. Io compro oggetti (quadri, libri, magari autovetture...) per via via potendolo collezionarli... è o non è questo - mi domando - totemismo: bisogno di un'autorità di riferimento, cui dedicare la mia persona?... Un bisogno direi di autorità ma traducibile anche in piacere e con margini di controllo e punitivi...
Sesta scheda per
TOTEM E TABÙ: la vera essenza della religione...
L'ambivalenza
emotiva, come dimostra la uccisione dell'animale ch'è il sacro
simbolo, alla fine è più forte del totem, lo sovrasta, il che
può stare a significare che essa è la vera ‘essenza della religione':
“Una tribù di indiani della California che adora un grande uccello da preda (bozzago), lo uccide una volta all'anno nel corso di una cerimonia solenne, poi l'uccello viene compianto e la sua pelle è custodita con le penne” (op. cit., p. 144).
“Una tribù di indiani della California che adora un grande uccello da preda (bozzago), lo uccide una volta all'anno nel corso di una cerimonia solenne, poi l'uccello viene compianto e la sua pelle è custodita con le penne” (op. cit., p. 144).
E qui la
pura psicologia sembra andare sempre un po' più in là delle cause
economiche, ché il "pasto totemico" è spiegabile con il sentimento
della identificazione-appropriazione nei confronti dell'animale sacrificato.
Per dire in altre parole della identificazione di tale banchetto con la
"festa" e cioè con la violazione eccezionale del divieto, ch'è la condizione per
"accogliere in sé stessi la vita sacra"...
Come poi
tutto ciò si sia conservato nei rituali cristiani è facile osservarlo... 'il
corpo di Cristo', l'ultima cena...
Ma sembra esservi in tutto ciò una sottigliezza in più, tanto spesso non pensata quanto credo decisiva: che la uccisione dell'animale sacro quale sostituto del padre e il successivo consumo condiviso delle sue carni nella festa/pasto totemica/o pone fine alla cosiddetta "orda paterna" più di quanto non origini il compianto per l'ucciso: “La religione del totem non abbraccia soltanto le espressioni del rimorso e i tentativi di riconciliazione, ma serve anche a ricordare il trionfo sul padre. [...] Non ci stupiremo di scoprire che nei prodotti più tardi della religione riaffiora continuamente, spesso dissimulato nei più singolari travestimenti e mascheramenti, anche l'elemento di sfida del figlio nei confronti del padre”. E ancora: "Abbiamo seguito finora nelle prescrizioni morali e religiose [...] le conseguenze della corrente di sentimenti affettuosi verso il padre, corrente trasformatasi poi in rimorso. Tuttavia non dobbiamo trascurare il fatto che, nella sostanza, risultano vincenti le tendenze che hanno spinto al parricidio" (ivi, p. 149). Ovvero e di più: i primi re delle tribù latine secondo taluno (Frazer, The Golden Bough) erano "stranieri che ricoprivano il ruolo di una divinità e che, in questo ruolo, venivano giustiziati solennemente" e così pure "il cerimoniale dei sacrifici umani nei luoghi più diversi della terra abitata lascia sussistere pochi dubbi sul fatto che questi uomini venivano fatti morire poiché rappresentavano la divinità" (ivi, p. 154); nonché: "Ma la Comunione cristiana è in fondo una nuova eliminazione del padre, una ripetizione dell'azione da espiare" (Totem e tabù, ed. cit., pp. 157-158).
A questo punto il gruppo diviene forte - sostituendovisi - almeno quanto il suo Dio-Padre, al quale invece la psicologia del potere religioso sembra interessarsi in modo prevalente... Il che sta a confermare il primato dell'ambivalenza su tutto ma anche il fatto che la religione poggi sulla (s'identifichi anche con la) uccisione del Dio... Magari l’antropologia e la facile psicologia possono sospingerci in una direzione contraria, evidenziando la componente della colpa, con la teoria della “obbedienza posteriore”: “Morto, il padre divenne più forte di quanto fosse stato da vivo, secondo un succedersi di eventi che ravvisiamo ancor oggi nel destino degli uomini. Ciò che prima egli aveva impedito con la sua esistenza, i figli se lo proibirono ora spontaneamente nella situazione psichica dell' ‘obbedienza posteriore’[…]. Revocarono il loro atto dichiarando proibita l'uccisione del sostituto paterno, il totem, e rinunciarono ai suoi frutti, interdicendosi le donne che erano diventate disponibili. In questo modo, prendendo le mosse dal loro filiale senso di colpa, crearono i due tabù fondamentali del totemismo, che proprio perciò dovevano coincidere con i due desideri rimossi del complesso edipico”. Ma non è in sostanza che tutto possa essere rimesso al sentimento prevalente che quale sentimento di colpa tende a punire gl'infedeli - per la intolleranza che contraddistingue le religioni - ma non sembra bastare a definire la essenza... e anzi: la tiene nascosta.
E non valga, tutto questo che si va dicendo, sic et simpliciter come discorso favorevole all'ateismo...
Settima scheda per TOTEM E TABÙ: il dio e l’animale
“Sappiamo che esistono molteplici rapporti tra il dio e l'animale sacro (totem, vittima sacrificale): 1) Di norma c'è per ogni dio un animale sacro, e non di rado più d'uno. 2) In alcuni sacrifici sacri particolari - i sacrifici "mistici" - la vittima
offerta in olocausto al dio era proprio
l'animale a lui consacrato. 3) Il dio era spesso adorato nella forma di un animale (oppure,
se preferiamo, alcuni
animali sono stati venerati
come divinità) parecchio tempo dopo l'epoca
del totemismo. 4) Nei miti il dio si tramuta frequentemente in un animale,
e spesso nell'animale a lui consacrato.
Sarebbe quindi
un'ipotesi ovvia che lo stesso
dio fosse l'animale totemico e che si fosse
sviluppato dall'animale in una fase successiva del sentimento religioso. Ma la considerazione che il
totem stesso non è altro che un sostituto del padre ci dispensa da ogni ulteriore discussione. Così il totem può essere la prima forma
del sostituto paterno, e il dio invece una forma successiva nella quale il padre ha riacquistato la sua figura umana.
Una tale ri-creazione a partire da quella che è la radice di ogni formazione religiosa, la nostalgia per il padre, poté realizzarsi quando
con l'andar del tempo venne a mutare qualcosa di essenziale nel rapporto col padre e, forse, anche nel rapporto con l'animale” (Totem e tabù, ed. cit., p. 151).
Dunque il senso di
colpa vuole che il suo oggetto sia o falso o trasfigurato… o se preferiamo esso
sembra incline a trasferirsi, da un oggetto ad altro… che valga a surrogarlo…
Qui si ha ad esempio
la sovrapposizione della riaffiorante nostalgia del padre rispetto al totem-animale
ucciso… Come dire?: irruzione e sovrapposizione successiva di un sentimento di
nostalgia del padre ‘a prescindere’ dal fatto che lo si sia effettivamente
ucciso (mentre magari si è sicuramente
ucciso l’animale…, o il nemico), con dei vantaggi: primo quello di credere di
potersi così appropriare (con un escamotage)
la sua forza e le sue virtù…
Si potrebbe anche pensare a questo punto a delle simulazioni, in cui una figura (oggetto) fosse
sostituita da altra: più o meno a una teatralizzazione della vita…
Ottava scheda per TOTEM E TABÙ: quale la "interiorità"?
Rispetto alla
interiorità psicoanalitica tutto il resto ad iniziare dalla ragione appare come esteriore, remoto…
Naturalmente la
interiorità dei nemici della esteriorità, che crede che liberandosi della esteriorità
e della “macchina” riacquisterà spiritualità, dovrà sempre vedersela con l’irrealizzato
eterno quale sostanza illustrata dal buio della interiorità psicoanalitica…
Nona scheda per TOTEM E TABÙ: la “levità” delle
cause prime…
Ripensando alla “continuità psichica nella sequenza delle generazioni”,
al perché usanze rituali e psiche si siano potuti trasmettere evolvendo di
generazione in generazione, mi domando se le cause non siano da ritenere
più leggere e insignificanti dei successivi effetti e sviluppi il che mi sembra
un ragionevole postulato; altrimenti come potrebbero giacere dette cause od
origini, nella oscurità?
Ed è questa, direi,
una ipotesi che appare destinata a regolare il rapporto fra Dio e gli uomini
nella filosofia, antica ad esempio di Epicuro e moderna dello scetticismo francese…
Il che fa quantomeno il
paio con il dubbio, sollevato
da Freud: che si trovino all’origine
dei fatti successivi realtà psichiche e cioè pulsioni e non fatti realmente
accaduti…che all’origine dei
comportamenti vi sia insomma una sopravvalutazione dei propri atti psichici.
Il che se valido per i nevrotici non
si può escludere che non lo sia stato per i popoli primitivi…
Ovvero:
“potrebbero essere bastati
i semplici impulsi
di ostilità verso il padre, l'esistenza della fantasia di desiderio di ucciderlo e divorarlo, per provocare la reazione morale
che ha dato vita al totemismo e al tabù. In tal modo si eviterebbe la necessità di far risalire
l'inizio
del nostro patrimonio di civiltà, del quale siamo giustamente così orgogliosi, a
un delitto odioso che offende
tutti i nostri sentimenti. Il nesso causale
che si estende da quell'inizio fino all'epoca presente
non subirebbe danno alcuno da tale ipotesi,
perché la realtà psichica sarebbe sufficientemente significativa per portare il peso di tutte queste
conseguenze. Si obietterà che un mutamento sociale dalla forma dell'orda paterna
a quella del clan fraterno
si è realmente verificato. È un argomento solido,
ma non decisivo. Il mutamento
potrebbe essere stato raggiunto
in modo meno violento e tuttavia esser stato capace di suscitare la reazione morale” (Totem e tabù, p. 162).
Decima scheda per TOTEM E TABÙ: magia nel pensiero
La magia nella interpretazione freudiana è la fede nella
onnipotenza dei pensieri (confondere "l'ordine delle proprie idee con l'ordine della natura" - e fa riflettere il nesso con la cd "sessualizzazione dei processi del pensiero"). E/o consiste - per quanto ne dice sempre Freud - nell’attribuire al desiderio un potere connaturato di affermarsi e soddisfarsi. Dai pensieri al Pensiero poi il passo è assai breve e si fa presto non a caso a dire: il Nous...
Pensiero dunque e desiderio: se tanto mi dà tanto, io potrei anche sostenere che in certi sistemi di pensiero, storicamente affermati (penso all'idealismo classico), la componente magica è spiccatamente presente. Ma l'idealismo classico è una ipotesi minima e mi sento di dover aggiungere che la cosa è riscontrabile sino nella concezione scientifica, sempre che sia ammissibile che essa nasca nell'orbita dell'animismo.
Che resti dunque quel confondere "l'ordine delle proprie idee con l'ordine della natura", di cui parla Frazer, come sempre e comunque radicato nel fondo del pensiero, quale sua forza e debolezza allo stesso tempo?...
Quanto poi - mi domando immediatamente dopo - i pensieri sono scindibili dai desideri?
Undicesima scheda per TOTEM E TABÙ: assenza e presenza
A un certo punto mi ha
raggiunto questo pensiero: in fondo non è che io volessi uccidere o volessi la
morte di una persona che è poi defunta: io ne desideravo l’assenza…
Poi ho riscontrato in Totem e tabù le seguenti proposizioni: “non c'è differenza
tra morte violenta e morte naturale nella concezione dei selvaggi. Per il pensiero inconscio, anche chi è morto di morte naturale
è un assassinato: sono stati i desideri malvagi
a ucciderlo”.
Dunque si dilata - mettiamo - l’edipico e l’ambiente di pensiero e psichico si “umanizza”… laddove
il rapporto fra vita e morte si trasforma in quello fra assenza e presenza… Dodicesima scheda per TOTEM E TABÙ: il bisogno di autorità
Io mi compro un cane, per portarlo a passeggio; io allevo un figlio o figliastro per occupare il mio tempo dedicandomi a un'attività che abbia il sapore di un dovere-e-piacere. Io compro oggetti (quadri, libri, magari autovetture...) per via via potendolo collezionarli... è o non è questo - mi domando - totemismo: bisogno di un'autorità di riferimento, cui dedicare la mia persona?... Un bisogno direi di autorità ma traducibile anche in piacere e con margini di controllo e punitivi...
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