domenica 13 gennaio 2013

A proposito del giuridicamente rilevante (declinazioni dell’editoria culturale)




Sembra tipico del pensiero che la pensi che ogni questione giuridica non finisca mai in ciò che è giuridico. Pure vi è una non giuridicità, che si addice all’uomo pensoso del diritto, che non si riduce alla rigida contrapposizione fra il diritto e ciò che lo nega (e non) e cioè il fatto.
Al gius-realismo, che è vario, non omogeneo, c’è stato chi come Mortati ha contrapposto il diritto per così dire ad ogni costo, non riuscendo a venirne fuori, poiché il problema è divincolarsi dalla stretta ordita da realismo e antirealismo. 
Ma vi è come dicevo realismo e realismo e ci si avvede poi che in primo luogo bisogna mettere da parte il realismo politicista, che va a parare nell’essenzialismo (tipo: nessuno può negare che l’uomo sia omicida, e questo può contare più del resto; morale à la der nomos der erde) e che il realismo giurisprudenziale (è che è il giudice nelle sue decisioni a fare le leggi) di scuola scandinava apre già a letture diverse.
Quello che magari può sfuggire al pensiero, che voglia sottrarre sul piano delle definizioni quanto più possibile al non giuridico, è che sono diversi i gradi e modi del giuridico, che vi sono un diritto amministrativo, un diritto penale e un diritto privato, ecc. che insomma il diritto non è mai univoco, anche se alla fine tende a compattarsi in sé, in nome della completezza dell’ordinamento.