giovedì 16 maggio 2013

Vocazione liberale di internet?





È insito nella parola liberalismo il rischio che alla libertà possa o debba essere dato toccare, prima o poi, la sua stessa radice. O anche: vi è una componente radicale nel liberalismo, per cui questa o quella idea di libertà è tale da chiedere, per non sconvolgere il mondo, un faticoso riconoscimento.
E tanto questo è vero da sempre, dai Grozio ai Gobetti, per essere libertà un termine per così dire “apripista” - che apre spazi, nei termini crociani di libertà e necessità assieme -, quanto merita considerazione il fatto che in piena èra elettrica-ed-elettronica si leggono in tema di diritto di accesso a internet espressioni del tipo: «nuovo liberalismo, inteso come fermento lievitante di una civiltà liberale promossa dalla rivoluzione tecnologica»[1], oppure: «vocazione liberale di internet»[2]; o anche, più sottilmente: «L’interesse a stimolare la libertà di espressione in una società democratica è superiore a qualunque preteso, non dimostrato, beneficio della censura»[3]. Ora dunque è dato al liberalismo rinascere tecnologicamente? E che cosa ne pensano i cosiddetti "liberali" all'italiana? 
L’informatica giuridica e il diritto dell’informatica sono di scena da anni e la “verità internet”, la cosa nuova, come quaestio iuris oggi non è più nuova com’era: essa continua a fare pressing sul diritto positivo scritto costringendolo a disciplinare il fenomeno, alle volte arginandolo ma per lo più oggi non potendo non riconoscerlo. Non si tratta però solo di fenomeni indotti e di condotte (illeciti civili, penali ecc.) che la rete abilita de facto e rende più inafferrabili e impunibili; e invece, scavando nella regola del giuridicamente rilevante, si tratta di domandarsi: quale il rapporto diretto fra internet (o l'internet) e il diritto: oggettivo, soggettivo ecc.?