Che senso ha parlare di bipolarismo e non - mettiamo - di «tripolarismo», o
di «pluripolarismo»? Con quanta serietà lo si può fare, in presenza di tre e più polarità politiche, segnatamente in presenza di formazioni e associazioni volte non già all'esser corte ma decisamente al dialogo con i cittadini, ciò appunto che una struttura e filosofia bipolare verrebbe a escludere?
Magia forse del numero Due (le bisacce di Zeus, il Bene e il Male, il principio maschile e quello femminile) che conduce alla idea dei due fattori generativi? Beh!: la pretesa sembra eccessiva e in questo anche un po' rivelatrice.
Forse che il bipolarismo altro non è che una pretesa semplificazione, o una messinscena, o un mascheramento, un insieme di occultamenti, che gioca su una psicologia per così dire «sportiva» e di basso profilo, tipo: Coppi contro Bartali, Inter contro Milan, ecc., per dire «o sì o no»? Ovvero tutto sarebbe così spacciato per riducibile al momento di una filosofica de-cisione? E qui è anche accaduto che qualche politologo abbia ritenuto non senza ragione di usare il termine «duopolio», traendolo - e sappiamo che non è pura metafora - dalla economia: una concorrenza e una dialettica simulate.
Magia forse del numero Due (le bisacce di Zeus, il Bene e il Male, il principio maschile e quello femminile) che conduce alla idea dei due fattori generativi? Beh!: la pretesa sembra eccessiva e in questo anche un po' rivelatrice.
Forse che il bipolarismo altro non è che una pretesa semplificazione, o una messinscena, o un mascheramento, un insieme di occultamenti, che gioca su una psicologia per così dire «sportiva» e di basso profilo, tipo: Coppi contro Bartali, Inter contro Milan, ecc., per dire «o sì o no»? Ovvero tutto sarebbe così spacciato per riducibile al momento di una filosofica de-cisione? E qui è anche accaduto che qualche politologo abbia ritenuto non senza ragione di usare il termine «duopolio», traendolo - e sappiamo che non è pura metafora - dalla economia: una concorrenza e una dialettica simulate.
Immaginiamo per un attimo una società affollata da asini e
petulanti in una realtà complessa: tale e tanta sarebbe in essa la manifestazione di opinioni, sfoghi,
rivendicazioni di diritti di uomini, donne e bambini, animali e cose che non per questo tutto sarebbe riducibile a chiasso. Non per questo, anche le condizioni lo consentono, le soluzioni politiche finali dovrebbero essere anteposte ai problemi nei termini del «questo, non quello», senza la possibilità
di terze vie e quanto meno di una fase istruttoria. Ciò sarebbe un forzare le scelte facendo della realtà un ritaglio rispetto all'ego; trovandosi moralmente nella condizione di avere sempre già deciso, anteponendo la troppa necessità alla necessaria libertà. Equivarrebbe a semplificare le questioni confidando nel poter reprimere la
complessità, magari confondendo tra questioni reali e questioni fittizie o false; andando così un po’ alla deriva alla fine i governanti unitamente ai governati.
Certo bisognerebbe innanzi tutto intendersi sul
significato della parola polo.
Si può affermare ad esempio che la Terra è bipolare perché ha due poli: è così per natura; ma in un mondo di esseri «pensanti» per aversi bipolarismo bisognerà indurre le persone a essere su ogni questione e decisione o pro o contra, o questo o quello e non altro, o nulla affatto. O sì o no insomma, come avviene in occasione di un referendum, di un plebiscito o nei sondaggi di opinione.
Si può affermare ad esempio che la Terra è bipolare perché ha due poli: è così per natura; ma in un mondo di esseri «pensanti» per aversi bipolarismo bisognerà indurre le persone a essere su ogni questione e decisione o pro o contra, o questo o quello e non altro, o nulla affatto. O sì o no insomma, come avviene in occasione di un referendum, di un plebiscito o nei sondaggi di opinione.
Dunque essere bipolari significa essere adesivi a un
sistema del «sì-o-no», e per meglio dire trattandosi di sistema, del «sì-e-non», perché l'una cosa alla fine trabocca nell'altra. Come fa infatti una decisione
seria e amica della res publica a non essere sufficientemente istruita, a non ammettere contributi i più ampi e a
non recare con sé motivazioni? Ammesso che i poli lo siano di pensiero, d'interpretazione, d'interessi o di bisogni e di culture, che cosa altrimenti sorreggerebbe il dissenso
e/o la diversità? Presumibilmente sempre l’altro polo? E dunque ancora: avremmo un sistema d’ingabbiamenti tale che al mutare delle questioni su cui pronunciarsi e degli orientamenti decisionali
vengano a mutare nella composizione personale le formazioni politiche? Magari
passando questo o quel parlamentare - il che è avvenuto e avverrà (storico il caso di D'Annunzio nel 1900) - da un polo
all’altro dalla sera alla mattina? Già: ma di quale libertà di pensiero si
verrebbe a parlare allora, non potendosi escludere il tradimento o la compravendita dei politici? Ma prima ancora realisticamente alle dissenting opinions non resterebbe che il sacrificio e un po' l'autoannullamento. Laddove si respirerebbe una qualche aria di totalitarismo.
La teoria del bipolarismo si spiega semplicemente col
fatto che in una società complessa o in un sistema politico articolato non si può parlare seriamente di
bipartitismo perché si sa che, con la eccezione dei regimi totalitari, il
numero dei partiti è irriducibile a due come a uno (e l'equivalenza credo non sia priva di senso). Il bipartitismo «secco» o perfetto è
insostenibile e impraticabile e la regola, nelle forme di Stato liberali o
liberal-democratiche, è che vi siano almeno tre partiti. Sapendolo, i politicians possono sempre sfruttare un’altra chance, quella appunto del
bipolarismo, non rinunciando mai al desiderio che i poli siano realiter partiti ovvero che questi si celino dietro quelli. Potendosi in questo modo coltivare vieppiù il senso di prossimità del partito allo Stato e creando così condizioni di chiusura (cosiddetti «sbarramenti», o «zoccoli duri»)
verso terze forze, necessariamente più sociali (accusa
di populismo), o considerate «minori», tali per cui si sfiori
una sorta di monopartitismo in sé differenziato.
Non ci si può nascondere quindi che il bipolarismo in una
società di massa - altra rispetto a quella prona e sottomessa della sua
prima fase e cioè quella dei totalitarismi - sia sostanzialmente un «superbipartitismo» che è il tentativo dei partiti di autoconservarsi rispetto alla loro crisi di credibilità-rappresentatività. Dunque in
questo modo le parole tradiscono la volontà politica di riprendere con una mano
ciò che si è dovuto cedere con l’altra soprattutto a causa degli scandali; arginare con qualunque mezzo la propria crisi traducendola in una rinnovata condizione di potenza; e tutto questo come suol dirsi ‘con
gli interessi’, se è vero che più è grande numericamente e burocratizzato il
partito, più cioè esso è un superpartito, maggiore sarà la sua tendenza a
occupare il posto che competerebbe solo allo Stato, anche necessariamente allo Stato-amministrazione; dunque a egemonizzare, forzando la cultura, la
dialettica e il confronto politici, rimescolando le carte, formando mediaticamente
l’opinione pubblica - che magari lo chieda essa stessa, di essere raggirata. Si
tratterà pertanto di approfittare di qualsiasi occasione o condizione, anche
giuridica oltre che di fatto, per attingere ai limiti e debolezze dello Stato,
sino incidendo sull’ordinamento giuridico e i suoi principi, non ultimo quello
della certezza.
Dunque se oggi si parla di bipolarismo è perché il
bipartitismo secco non lo si può realizzare, soprattutto ora; ma si dice negandolo
il contrario e questo avviene, almeno nel caso italiano, nel contesto di una
crisi crescente dei partiti, ridotti esistenzialmente a clientele. Sfiducia nella politica e «antipolitica» possono
significare anche: «due partiti sono meglio che dieci, o mille» - e «i governi
debbono essere stabili e duraturi, debbono poter governare» -; laddove, essendo
che la democrazia chiede pudore nei toni, nelle parole e nella fraseologia, il
numero due rischia di equivalere nella realtà al numero uno più di quanto non
si creda e laddove divenire uomini e donne di Stato o delle istituzioni risulta
più facile e pone nella condizione di sentirsi liberati così dalla minaccia
delle terze possibilità - soprattutto in senso sociale - di soluzione dei
problemi, come dai controlli di legalità e sostanzialmente dai doveri derivanti
dal munus publicum.
Così il popolo soprattutto al momento del voto ma già nel
suo stesso sentire dovrà essere bipolare, e il bipolarismo assomiglierà a una
pianta da coltivare, con sollecitazioni retoriche costanti, tam tam propagandistici e forzature, in
nome di una nuova dèa, la necessità - nemmeno di decidere ma - di agire o come
si sente ripetere da tempo «del fare», in qualche modo sempre indotta. Così se
è vero che un cattivo sistema può reggere anche per anni (penso a questo o a
quel ventennio; ma non solo), è anche vero che ogni cosa ha una tendenza al
logorio e limiti di durata. Basta, lo si dica per chi sa sperare, che il suo tempo non giunga nel momento sbagliato.
Ci sta e non è da oggi che si venga a parlare di «morte
delle ideologie», che però realiter non
si potranno dire davvero estinte finché si avranno interessi in conflitto (come
infatti scindere le ideologie da interessi materiali e bisogni?) e ci sta che
in questo avvenga che nei fatti i risultati pratici siano più importanti delle
proclamazioni di principi, il che quanto meno può avere un duplice significato
(al che è intuibile come quella che è stata definita politica «del fare» -
dunque del non pensare, del non eccepire, ecc. - possa essere una certo non
voluta semiconfessione).
Con questo però intendo escludere - contrariamente ad alcune sempre possibili
definizioni - che nella storia d’Italia il centro-sinistra fosse un polo,
perché se questo è vero è vero anche che dovette esserlo non solo il PCI ma
anche l’MSI (escluso dal cd. arco costituzionale) - e a questo punto qualcosa continua
a non tornare. Voglio invece credere che la definizione sia attuale e voglia
designare un assorbimento o coacervo di forze entro un polo ma non nel senso di un annichilimento
di quelle forze (e anche qui qualcosa sarà tenuto nascosto dai politicians). Ovvero anche che questo si
presti all’ingresso nella politica, e attraverso la politica nelle istituzioni,
di forze e interessi ben estranei a un rapporto repubblicano di rappresentanza
e trasparenza, che possono anche spacciarsi per partiti e partitini o gruppi
puramente parlamentari (ma: basta dare ad essi un nome) e che in fondo sono
lobbies o lobbisti.
Se tutto questo è ammissibile, allora in uno Stato
repubblicano i poli al pari dei partiti politici sono irriducibili a due. Dice
il presente che i poli in Italia non sono due ma almeno tre: uno conservatore e
liberista, uno social-riformista, uno popolar-giovanile. Per giunta, alla idea
di un centro, dimostratasi negli anni debole e fallimentare, ma ciò non deve
nemmeno sorprendere date le condizioni economiche e culturali delle classi
socio-economiche, se n’è aggiunta una di destra oppositiva rispetto ai due poli
cui tutto si vorrebbe o si sarebbe voluto ridurre, e questa denota però ben
altra efficacia. Se non che quella destra nelle cui fila militavano convinti
assertori del sistema bipolare, altro non è che il frutto della scissione del
polo conservatore. Come a dire, tutto sommato: molti fautori del bipolarismo
piuttosto con i fatti che con le dichiarazioni si sono smentiti da soli o se si
preferisce hanno gettato la maschera.
Possiamo parlare dunque di un vecchio polo conservatore
che si è indebolito, laddove quel vecchio polo raccoglieva personaggi della cd.
Prima Repubblica, appartenenti a un centrosinistra demolito dalla stagione cd. di
Mani Pulite, ovvero i partiti politici condannati per corruzione dalla
magistratura.
È accaduto così che a sua volta il polo che abbiamo detto
social-riformista si è scoperto più che mai paladino del bipolarismo e anzi, a
fronte dei facta concludentia posti
in essere dalla destra, esso sembra esserlo più di quella.
La natura della cosa vuole forse che il superpartito più
si sente forte e vincente più tende a sostenere il bipolarismo; e sembra così
che il polo social-riformista, più di quella destra scissionista, si riproponga
di realizzare il bipolarismo, orientando in tal senso fra l’altro la riforma
elettorale. Sembrando verosimile che questa apparente volontà di restaurazione
nasconda altro e cioè la paura che una scissione, se sembra aver rafforzato la
destra, possa indebolire la forza di sinistra.
Ma nel suo complesso, a quanto mi è dato comprendere, la
situazione partitica in Italia non è così lineare: infatti ciò che la destra
scissionista viene a dimostrare è che i due vecchi superpartiti, PD (già FI) e PDL,
teorizzassero il bipolarismo quasi divenendo complici per necessità e che ora
quella complicità non può non essere - salvo ripensamenti - infranta o messa a nudo, in questo modo
avallando una vecchia tesi, tenuta in piedi per molti anni dall’IDV e poi
abbracciata dai popolar-giovanili del Movimento Cinque Stelle.
È anche vero poi che la destra scissionista si spiega con
la forza carismatica del capo che la tiene unita e che quindi alla morte di
costui le truppe potranno sbandare o ritirarsi o trasmigrare. Il che potrebbe in qualche modo
ridare vigore se non alla teoria alla idea del bipolarismo, oppure aprire a scenari tuttora
indecifrabili; e il problema a questo punto è forse altro ancora e cioè: che
senso ha il terzo polo e cioè quello popolar-giovanile? Il quale nella sua
azione ha trovato agio nello smentire la veridicità della teoria del bipolarismo,
mostrando come in esso vi fosse complicità ancor prima che diversità e che
tutto fosse una messinscena. Ora così esso funge da opposizione poiché i due
poli si erano riuniti in un governo che solo a parole sarebbe dovuto essere
provvisorio e tale dunque è la forma oppositiva di questo schieramento che i
due poli sono indotti a essere lo stesso polo.
Dunque poiché il giudizio si è rafforzato anche nei
banchi e nelle commissioni parlamentari, pare confermata la tesi per cui nel
bipolarismo si anniderebbe una certa quale complicità fra partiti e meglio fra superpartiti,
che il senso funzionale sia questo e non vi sia molto altro. Sennonché a questo
punto la tentazione potrebbe essere anche quella: di considerare che il Cinque
Stelle sia un polo e i due partiti di maggioranza l’altro, se non fosse appunto
che la destra scissionista vale ancora una volta a dimostrare altro.
Nessun commento:
Posta un commento