§ 1.- Cartesio per me è significativo, nel mondo e storia
della filosofia, per avere dato alle macchine, avendone constatata la effettiva
possibile autonomia nel funzionamento e certa complessità e variabilità nella
organizzazione, la dignità di oggetto del pensiero.
Ovvero io ritengo che attraverso Cartesio la filosofia abbia
contribuito efficacemente a riconoscere alle macchine, certo non meno che
storicamente, quella dignità che a esse era mancata per lunghissima umana tradizione.
Che mancava ad esempio nella opinione di un Archimede, per il quale la tecnica
non era una nobile occupazione (il che comunque non vale a escludere che la
filosofia se ne occupasse e se ne occupi); o in generale di quanti, nelle varie
epoche, avessero ritenuto la natura non imitabile (mediante l’artificio), o
considerato le macchine - e gli strumenti della tecnica in generale -, atte
semplicemente ad opere servili, o ai divertimenti.
Cultura questa, della distinzione e gerarchia fra arti liberali
(nobili) e arti meccaniche (servili), che è stata consacrata scolasticamente -
come si sa - dal medioevo; ma che non può ritenersi, sic et simpliciter,
cultura medievale, ché si è trascinata anche successivamente, nei preconcetti.
Ritengo inoltre, in questo mio modo di riflettere, che quella virtù che voglio
ravvisare nella filosofia di Cartesio possa essere ricollegata tanto a un’epoca
specifica - che egli è chiamato a rappresentare nella nostra memoria
soprattutto simbolica - la quale va dalla seconda metà del cinquecento al primo
settecento, quanto alla natura stessa del suo pensiero.
Nel
quale, in fondo, che cosa avvenne? Avvenne, in un modo singolare e storicamente
importante, che il mondo
“esterno”, il mondo delle cose, crebbe parallelamente alla crescita del mondo
interiore, venendosi a costituire entrambi, nel loro sviluppo, come mondi
osservabili, e come res. E
ciò fu possibile (anche) perché l’interiorità messa in luce, positivizzata,
esposta al mondo, iniziò un suo cammino di esteriorità.
Il che significa: il cosiddetto “dualismo” (cartesiano) fra anima
e corpo può essere interpretato costruttivamente prima ancora che
gerarchicamente (schema, in fondo abbastanza agevole, della superiorità
dell’anima sul corpo) o in termini di negazione, dell’una nei confronti
dell’altro.
Cartesio, si sa, non ideò quel dualismo, che risaliva invece alla
filosofia degli Antichi laddove aveva raggiunto livelli notevoli di
elaborazione; egli piuttosto ebbe a porlo, e a svilupparlo, mettendolo nella
condizione di dare frutti scientifici positivi - che si possa dire o non, come
è stato detto, che quel dualismo ha mostrato assai presto il suo fallimento.
In altre parole: il dualismo fra
anima e corpo, con Cartesio, si pone in un modo filosofico tale per cui esso
viene contestualmente a incidere sull’ordine scientifico delle cose. Ciò per
cui insomma, raccogliendo le impressioni, la filosofia stessa entra nel
circuito scientifico positivo. Presentandosi invece, le soluzioni date da altri
filosofi al problema, ad esempio da Malebranche o da Spinoza, come non inerenti
in modo diretto agli sviluppi della scienza fisica.
Questo significa, ancora, che proprio a quel processo di
disincarnazione del pensiero, che Cartesio condusse nelle sue riflessioni e sul
quale c’intratterremo, va ricollegata la possibile sensibilizzazione del
pensiero occidentale al valore delle scienze positive ed alla realtà fisica (o)
esterna in generale. Che proprio nel contesto di quel processo, legato
profondamente a una mentalità matematica e anatomica, può essere riconosciuta
una prima liberazione di spazi culturali in favore delle macchine, segnatamente
quelle dotate di organizzazione, e in ciò liberazione della tecnica.