martedì 18 marzo 2014

Che cosa non è più diritto "positivo"



Nella interpretazione resa da certa scuola di pensiero, il diritto positivo non sarebbe più il diritto positivo che sapevamo, poiché nel suo corpo sono penetrati elementi della morale e del diritto "giusto" cosiddetto; ma non solo nel suo corpo - debbo presumere - e invece anche nello spirito, che vi si traspone. 
Codeste penetrazioni, che hanno messo in second’ordine il modo tradizionale d'intendere la distinzione fra diritto e morale, si sarebbero avute a causa delle moderne costituzioni e convenzioni e dichiarazioni nazionali e internazionali dei diritti. I quali fenomeni dunque non si possono leggere come un “di più” per dire cibo per moralisti o sognatori o idealisti; ma come evoluzione necessaria del diritto, in senso oggettivo e come cultura. 
E si tratta in certo modo di un paradosso, se si considera come a un bisogno crescente di fissare regole generalmente valide e principi - a loro volta universalmente oltre che generalmente validi - e cioè a un bisogno di sempre nuovo diritto positivo (tempo addietro mi era capitato di parlare di “diritto positivo alla ribalta”, a voler illustrare detto bisogno), abbia fatto riscontro una crisi della concezione giuspositivistica del diritto. 
H. van Groot (1583-1645)
Dunque per regolare rapporti socio-economici vieppiù complessi non ci si poteva più giustificare con la mera contrapposizione “diritto naturale-diritto positivo”, pur consolidatasi nella dottrina eccellente (si pensi al celebre saggio di Norberto Bobbio), utilissima sì ma molto alla fin fine ai tiranni e tirannie di classi, e bisognava introdurre nel ius positum elementi del cosiddetto ius naturae (penso ai meriti dei Grozio, dei Gentili, degli Altusio, dei Pufendorf via via a salire fino a Kant - e direi anche a certa scuola cattolica del diritto della Francia di fine ottocento, dalla quale sarebbe nato il diritto internazionale quale disciplina), spesso in dipendenza del fatto che la normazione proveniva da una domanda di giustizia. Che tanto era morale quanto si sarebbe rivelata razionale
Si può ritenere allora che non solo la Costituzione sostanziale di uno Stato contiene quello che si usa definire “diritto giusto” installando il punto di vista morale all’interno del diritto positivo; ma che di più ciò è avvenuto, necessariamente, a un certo punto della nostra storia. E che la cultura e coscienza se sono storiche questo lo debbano riconoscere. 
È che la Costituzione formale (attinente alla posizione, forza ed efficacia della Legge fondamentale nel sistema delle fonti, nonché alla procedura di formazione e revisione di detta Legge) dipende da, o comunque si spiega con, quella sostanziale (attinente alle proposizioni normative in quella Legge contenute). È, per intenderci, che in questo modo il rapporto sostanza-forma precede - e prevale su - quello materia-forma, che ha riempito in questi ultimi anni i discorsi della nostra classe di governo, quale chiaro segnale di un profondo depauperamento. 
La quale classe, se ancora oggi si ostina a proclamare la volontà-necessità di riformare il testo costituzionale, viene eo ipso a sminuirne, giostrando su una nozione riduttiva di storicità della norma, il valore sostanziale stesso nonché quello formale. Laddove al decoro costituzionale credo corrisponda puntualmente quello del diritto stesso. 
Dunque in fondo è avvenuto qualcosa di singolare, a causa delle infiltrazioni della morale nel diritto positivo ed è che il diritto scritto viene chiamato oggi più di ieri a tutelare quella morale che la moralità personale tende vieppiù a disconoscere. 
Kant sosteneva che "è soprattutto da una buona costituzione dello Stato che c’è da aspettarsi la buona educazione morale di un popolo" e dunque in certo senso nihil sub sole novum, secondo il motto dell'Ecclesiaste; e siamo a uno degli schemi fondamentali dell'illuminismo. Ma ora io vorrei ricondurre quella proposizione al tempo attuale e in certo senso riformularla un po'. E direi che oggi - a distanza di tre secoli - vi è (ma anche si chiede che vi sia) più morale nelle disposizioni di legge che non nella persona fisica e morale, o ancora che la moralità di un popolo si vede dalla sue leggi. Ovvero può essere proprio che sia la decadenza nei costumi e/o la fragilità delle tradizioni popolari a indurre un bisogno crescente di una morale di legislazione, che dovrà essere necessariamente razionale. Che lo sarà, come era già nel paradosso kantiano dello "Stato di angeli-popolo di diavoli", che però non era un paradosso; ma un possibile destino della legislazione. 

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