domenica 25 maggio 2014

Le vie dell'edonismo: la conservazione oltre e come il "nuovo"




Da tempo, una delle illusioni fondamentali di tanta umanità occidentale è che in certo senso la vita viene da sé e la dobbiamo assecondare, che la ricchezza e il benessere ci sono dovuti (e insomma i poveri si vergognano della propria povertà); altra è che si è come si fosse immortali. 
E meglio: questo è solo un ritaglio ma importante di un’epoca variamente definibile: come “capitalismo avanzato”, o post-capitalismo, o “èra postindustriale”, o se vogliamo “dopostoria”, e anche “consumismo”, espressioni legate ma separate, nella nomenclatura, a causa di certa quale difficoltà a segnare l’inizio e la fine di quella età che il marxismo ha voluto contrassegnare come capitalismo ma che si sarebbe poi rivelata ben più complessa, più di quanto - anche - non avessero detto alcune importanti verità, emerse nel sei-settecento (rivoluzioni cosiddette “borghesi”) e nell’ottocento (rivoluzione cosiddetta "industriale”). Come dire?: troppa troppa linearità, per quale coscienza poi? 
La vita viene da sé, dicevo; essa è solamente dinanzi a noi; ma è anche un flusso: meglio poi se si può soddisfare il corpo o altro per non cambiare il mondo e non soffrire. Il mito della ricchezza che, mescolata con il principio di piacere, forma come una grande bolla che ci contiene, les illusions du progrès, per come le aveva battezzate George Sorel agli inizi del novecento, e l’edonismo, per quanto ne aveva colto Marcuse in un suo saggio giovanile: questo in fondo è il piatto offertoci e il nutrimento; e siamo però così subito al fondo. Nessuno sguardo sul passato, per il quale sembra che non vi sia interesse e che resta sempre di più un non-pensato; ed è così che l’edonè - ninfa semi-antica - mutatasi nella condizione ma non nella sostanza può governare come madre … e tutto sembra viaggiare con levità sui binari della “presunzione di”, o “presunzione che”, come sospinto da eros ...: una interiorità personale divenuta di massa. 

Fra l’altro l’esperienza di vita m’insegna che vi sono parole che godono di una fortuna singolare, perché distraggono dalla realtà o producono simboli, termini che vengono eletti dalla morale comune a punti di riferimento in qualche modo significativi, se bisogna tirare avanti. È un po’ il pragmatismo del linguaggio, che sospinge in avanti. Si dice così comunemente “bene”, “bello”, "bella", “maltempo” ecc. e parimenti “il tempo”, per dire e non, forse più per rimuovere o nascondere credendo di muovere che per capire. Ma così va il mondo e tutto ciò evidentemente è molto, troppo umano.
La regoletta vale anche per il lemma “capitalismo”, che alla fine, lungi dal destare scandalo per il suo uso, sarebbe stata accettato e accolto dalla nostra cultura cattolica neanche progressista già cinquant’anni or sono. Una definizione alle volte di comodo: questa è la sensazione... Capitalismo per dire anche fabbrica del piacere (il facile arricchimento come piacere, ad esempio), condizione nella quale si è imprigionati, a causa della molteplicità dei beni, che vengono prodotti, messi in commercio e che sembrano vieppiù fedelissimi servitori. 
Ma ora, per ritornare al nostro tema, che è un po’ quello della storia umana da reinterpretare, esso merita quanto meno una considerazione: che un’epoca rivoluzionaria è tanto importante per le novità che introduce quanto per ciò che ad esse preesisteva e resiste, e che con esse tenta di trovare un modus vivendi; che esiste come legge (ci potrebbe sempre suggerire Nietzsche) un eterno ritorno all’eguale; che possono esservi periodi incredibili di “regressione”, per cui quanto costruito in secoli di "civiltà" può essere messo nel nulla in pochissimo tempo (si veda Freud, sul "perché la guerra?") … Che insomma non ci si deve sorprendere se cose che credevamo estinte da secoli riprendano d’improvviso tono e vitalità, tornino in superficie, richiamate da certe condizioni. Siano un po' come cibi maldigeriti. 
La tesi che vorrei sostenere qui è dunque che un sistema “superato” tende a conservarsi e a sopravvivere nel e nonostante il successivo, che pure sembrava averlo superato; che vecchie e antiche forze sanno come insinuarsi in nuove forme e condizioni, e tenteranno prima o poi di uscire dall’ombra, ecc. Lo ha compreso la filosofia cosiddetta “postmoderna”, che ha voluto sostituire la parola “superamento” ritenuta illusoria con l’altra: “oltrepassamanento”, ritenuta più realistica e rispondente. 
Già in questo la storia, a volerla guardare con disincanto, era stata chiara: come si potrebbero spiegare la restaurazione in Europa o il fascismo? Come il ritorno alla economia liberale o le forti nostalgie per lo zarismo nella Russia postcomunista? O come, di più, il new medievalism, ovvero il formarsi di condizioni che paiono rinnovare il medioevo in certe sue caratteristiche, di cui parlava anni fa la politologia americana? 
È che vi sono cose - le si dica pure “essenziali” - che sono sempre esistite e che sempre hanno saputo come conservarsi. Vi sono cioè verità quasi ultrastoriche … di cui non possiamo non prendere atto e osservarle bene, per non restare poi sorpresi dai fatti che verranno.
Penso, a proposito di cose essenziali, alla proprietà privata. Essa è nata con la famiglia arcaica, che le si è formata attorno? Bene. Essa era ingiusta nella società antica (lo sottolineava Rousseau nel Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité) e in quella feudale, nella quale ultima essa sarebbe venuta a cristallizzarsi, identificando la struttura essenziale e caratterizzante del feudo. E l’ingiustizia come suo prodotto si è perpetuata, anche nel mondo moderno; il quale però ha saputo procurarsi la contraddizione: ha tentato di sganciare culturalmente la morale, “cristiana” e non, dalle nuvolette della teologia, atte a svagare la mente di borghesi, artigiani, operai e contadini a tutto vantaggio della conservazione dei privilegi. E meglio è stato spinto da una cultura immanentista e laicizzante, liberale lato sensu e dalla emancipazione delle scienze, su un terreno che avrebbe potuto produrre antidoti alle ingiustizie. Già: questione d’intelligenza, e che cosa se non, visto che i bisogni ci sono sempre stati? 
Kant di questa cultura moderna è uno dei più chiari esponenti, ché nel suo pensiero scienza e morale ottennero una nuova sintesi. Un altro potrebbe essere magari anche Cartesio, o Spinoza, o potrebbero esserlo Leibniz, Grozio e Galilei - ciascuno dei quali con i suoi nemici e detrattori -. Laddove a contare è comunque lo spirito della modernità, che è quello: di conquiste importanti, sul piano scientifico, giuridico e morale.
Frutto esimio, per quanto riguarda il contrasto alla cattiva proprietà, ne sono le costituzioni scritte che sono venute, soprattutto quelle “lunghe”, a riformare la nozione di diritto positivo inculcandovi elementi di morale, e chiaro segnale del fatto che l’autoritarismo, perso il supporto teologico, doveva fare i conti con nuove classi borghesi in formazione e più colte e illuminate. Avvocati, scienziati, filosofi, economisti, insomma una società della conoscenza e del lavoro in crescita e munita per far sentire la sua voce dei suoi cahiers, che avrebbe saputo anche incontrarsi con le classi artigiane, operaie e contadine: era la cultura oggettiva in generale, era l'ésprit, a costituire il nuovo della modernità, che si sarebbe tradotto in rivoluzioni. 
Ma che cosa facevano quegli avvocati, scienziati, filosofi, economisti? Creavano forse progressismo condiviso pacificamente, senza incontrare resistenze e opposizioni? Ivi compreso tanto cattolicismo intelligente e colto? Sì e non: resistenze, opposizioni ma anche complicità … 
Le antiche forze insomma non si sarebbero mai arrese; ma è forse che di certa naturale pur provocata opposizione nessuno si sarebbe avveduto? O non si sarebbe affaticato a interpretarla? O avrebbe tentato di distrarre chi potesse vederla, falsificando in certo senso i dati? 

L’opposizione, quella di cui parlo qui, ha un carattere radicato prima che tattico: è il romanticismo contro l’illuminismo, ad esempio; è il sanfedismo contro gli effetti della rivoluzione francese; è il fascismo contro la crescita cultural-politica e le possibili conquiste del movimento operaio organizzato (laddove eros e thànatos s'intrecciano bene, essi che in fondo vanno a formare una unità); e ha ben altra profondità, rispetto a quelle regole e rituali politici e parlamentari, cui spesso la parola è associata.
Essa è un’epoca intera, tramandata di padre in figlio: nelle sue idee, nei suoi pregiudizi e privilegi, che si contrappone all’altra, che ad essa sia subentrata e al momento goda di un suo successo; e/o cerca comunque - darwinianamente, essendo chiamata a sopravvivere -, un qualche modus vivendi cioè un compromesso e forme di compatibilità col nuovo (e qui penso, italianamente, al proverbiale “gattopardismo”). Il che determina fra l’altro un fenomeno che può apparire singolare: che l’oscurantismo e cioè l’ostilità nei confronti delle conquiste scientifiche, è anche amico di certe forme di “progresso” e comunque vi si mescola volentieri (: progresso da una parte, dunque, regresso dall’altra ma ben confusi). Procurandosi così il vecchio autoritarismo - che dovrà scivolare in thànatos - strumenti adeguati e à la page, ad esempio il movimento bancario e finanziario, o nuove formule contrattuali estremamente abili e “risolutive”, o convenzioni commerciali extra ordinem, che sappiano tutti competere alla pari ed efficacemente col quel nuovo della civiltà che sia orientato socialmente. 
E se ciò fosse ammissibile, allora bisognerebbe supporre, venendo ai giorni nostri, che le costituzioni “lunghe” non possano esattamente trasformare il mondo e che un tempo passato, nemmeno forse da noi quello fascista o liberale ma di più quello addirittura della uscita dal medioevo, non abbia mai cessato di contrapporvisi, trovando forme di compatibilità o di espressione politica più moderne. Supermodernità addirittura dell'antico, per una coscienza stratificata; ma di natura diversa da quella della modernità? 
Dunque la proprietà privata è antica, medievale tanto quanto moderna e postmoderna. E se questo e tutto ciò che si è detto è ammissibile, allora non di un ritorno a tempi medievali si tratterebbe oggidì ma meglio si avrebbe regressione laddove quelle antiche forze, inestirpabili e mai tramontate, presentassero per così dire il conto, riproponendosi ma come il nuovo, che abbatte, disinibendo la soggettività morale, i pregiudizi. Che altro non sono, che le conquiste del pensiero, della morale, del diritto. 


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