martedì 4 agosto 2015

Stirner e Hitler





max stirnerTanto con il movimento dei giovani anti-hegeliani (spregiativamente detti “hegelingi”...), illustrato da Löwith e Lukàcs, Engels e Marx, la filosofia sembrò volersi ricongiungere e saldare e con la vita (economica, sociale, quotidiana) e con la psicologia elementare (maggiori e più forti sono gli stimoli provenienti dal mondo esterno, maggiore è la spinta regressiva e/o la pulsione di morte: Freud), quanto Max Stirner dimostra che qualunque scrittore, chiamando in causa emotivamente il pensiero dei filosofi, già nell’Ottocento sarebbe potuto essere a sua volta “filosofo”; che parimenti, per la rivendicazione della umanità concreta, un cosiddetto "filosofo" di quel secolo avrebbe potuto precorrere il sentimento sociale e politico - mettiamo - di un Hitler, per dire: di quella piccola borghesia che tema visceralmente il precipizio della povertà (simboleggiata dai lavoratori manuali) causata-perpetuata dalla nascita e affermazione del capitalismo; e che anche Hitler fu volens nolens 'filosofo'. Che insomma ogni ribelle che sappia argomentare i suoi sentimenti vedendo castrazioni religiose e morali dovunque e scrivendo, proclamando efficacemente, ottenendo seguaci, può essere eo ipso detto “filosofo”, se la filosofia è fatta di parole, se essa ha dentro di sé una psicologia o sentimenti che la sovrastino, camuffandovisi, rendendola più facilmente praticabile, più accessibile, ecc. ecc. Con il che voglio anche dire: già, non possiamo non dirci un po' stirneriani... 


Con Stirner viene dimostrato che tanto si può desacralizzare il messaggio religioso e così il diritto positivo degli stati e la morale tradizionale e negare così qualsiasi razionalità come interi periodi storici, sostituendo l’uomo con l’io (“Perciò è necessario che alla cosa io non ricorra più quale uomo, bensì unicamente quale io, e che non riguardi più alcuna cosa come umana, bensì come mia perché io la voglio”), quanto si può vivere - in sé stessi ancor prima che agli occhi della gente - dentro la filosofia come qualsiasi possibile filosofia di vita. È tanto dunque il Pensiero che contiene quanto in verità è sempre dato che vi sia una Psicologia appropriatrice, decisiva, che cammina con la maschera del Pensiero… Ovvero, per stare con Freud e glossare un po' con lui: "inconscio è proprio quello che si può chiamare il nucleo dell'lo" (Al di là del principio di piacere)... E cioè: l'io concreto, reale, più dell'uomo astratto feuerbachiano, o che altro?... 
Dunque la evoluzione della filosofia tedesca dopo Hegel, la piega che essa - e un po' però l’Occidente europeo - prese in quell’epoca liberando nuovo pensiero, è assai significativa. 

In primo luogo perché al cospetto di tanto exploit nelle parole, nelle scritture, di ribellione e rabbia e nuova irriverenza viene a essere dimostrato che più la filosofia tenta di aderire perfettamente alla vita, agli istinti, più vi è in certo senso una 'filosofia' nella quale la vita si contiene
L’Unico e la sua proprietà di Stirner, che è forse poco dire retaggio di una società patriarcale e precapitalistica (suggerimento che mi viene da una diagnosi di Reich), denuncia la ipocrisia politica, giuridica e religiosa - anche - della società cristiano-borghese; predica la liceità morale di una qualsiasi ribellione-appropriazione (proprietà privata assoluta come segno materiale della irripetibilità e orgoglio dell’individuo singolo e di un assoluto interiore: “Io son proprietario; tuttavia la proprietà non è sacra. Sarò dunque soltanto un possessore? No, sinora non eranvi che possessori, assicurati nel possesso d’una particella, per ciò solo che si garantiva anche ad altri il possesso d’una eguale particella; ora invece tutto m’appartiene, io sono proprietario di ogni cosa che m’abbisogni e che io sappia conquistarmi. Se il vangelo socialista predica: la società mi darà quello che mi è necessario; l’egoista dirà: io prenderò da me stesso quello che m’abbisogna. Se i comunisti si conducono da straccioni, l’egoista si contiene da proprietario. […] Dall’egoismo soltanto la plebe può attender salute, e questa salute dev’esser e sarà opera sua. […] Sicché la proprietà non deve né può venir soppressa bensì ha da essere strappata a mani fantastiche per diventare cosa mia”. E parimenti, a proposito della libertà di stampa: “Mia è la stampa, quando io non riconosco sopra di me alcun giudice che mi vieti o conceda di usarne, vale a dire quando non più moralità o religione o rispetto alle leggi dello Stato, ecc., mi determinano a scrivere, ma la sola mia volontà e il mio egoismo”) e la elevazione di qualcosa di contrappositivo ma analogo (lo si definisca barbarico, anarcoide ecc.) alla spietata concorrenza per puro interesse a regola generale, con effetti immediati di destabilizzazione, quanto meno dell'animus. L'uomo che si difende con asprezza, si ritrae in sé, come io né generico né fumoso ma insuperabile, oscuro e si dispone contro il mondo... 

In secondo luogo perché attraverso Stirner si comprende che in una società cristiano-borghese ma capitalistica la ‘coscienza’ individuale, dell’individuo che teme la povertà e meglio l’impoverimento materiale (identificandoli con il “comunismo”) e spirituale e in ciò la degradazione, la privazione di ogni decoro umano (“Io non mi potrò districare dalla rete dell’amore se non quando io non attenderò né dai singoli né dalla comunità nulla di ciò che posso procurarmi da me stesso. Allora soltanto la plebe cesserà d’esser plebe. Ciò che crea la plebe è l’idea che l’appropriarsi d’una cosa sia peccato e delitto"), nasce e s’insinua nei tessuti della suddetta società sin dal suo nascere e cova dentro di essa, trovandosi di volta in volta un nemico da combattere 'irrazionalmente' (l'Ebreo, il comunista, il 'diverso', il politico, il delinquente, l'ammalato...), con la possibilità di esplodere da un momento all’altro in presenza di determinate condizioni, conducendo a guerre e/o a forme politiche sconosciute e tendenzialmente incontrollabili - secondo quanto si addice a una società che diviene di massa, la società delle folle e dell’istinto gregario (asse diagnostico Freud-Bloch). 
Lo “stirnerismo”, a volerlo così definire, è - quasi modello - una reazione umana istintiva alle trasformazioni e impoverimenti imposti dalla società ed economia cristiano-borghese ma capitalistica: esso a un tempo la rifiuta e vuole ripristinare qualcosa, azzerando anche i progressi della civiltà (analogie tra Nietzsche e Freud); dall’altro evoca e supporta, nella regressione verso sentimenti elementari e oscuri, quelle stesse radici che la società del capitale, della concorrenza selvaggia e della distruzione dei valori morali ha saputo trasformare e utilizzare a suo vantaggio; procurando come un dualismo, fondato su certa quale illusorietà e ignoranza. 

A chi poi si sia rivelato funzionale il modello del genere filosofico “contenitore” cui qui si accenna, è questione da rimettere al gusto dei letterati ed esegeti; ma inevitabilmente anche di strilloni e affabulatori… 
Una cosa che può dirsi certa o quasi è che l'impulso a ricongiungere il pensiero alla vita, scardinando i vecchi edifici e sistemi d'impronta idealistica e teologica e avvicinandosi al popolo, ebbe a prendere sin dal primo Ottocento sostanzialmente due direzioni opposte. Delle quali una sola si sarebbe rivelata filosofia psicologica e contenitrice. 
In fondo, pensando agli sviluppi della filosofia nella Germania del secolo XIX, prima e seconda metà nei loro nessi e differenze, può venire spontaneo dire che la “bionda bestia” nietzscheana (Genealogia della morale: “[...] magnifica divagante […], avida di preda e di vittoria; di tanto in tanto è necessario uno sfogo per questo fondo nascosto, la belva deve di nuovo balzare fuori […]”) faccia tutt’altro che scacciare l’unico stirneriano e anzi lo amplifichi, lo suggelli, in un modo quasi-poetico, con usi allegorici e una retorica ben più fiorita... 
E non fu del resto Nietzsche a inaugurare la cosiddetta “filosofia del sospetto” e a battezzare il fortunato principio interpretativo, per cui ogni filosofia è riducibile a psicologia, nella sua radice? 

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