Può sembrare paradossale (e nulla esclude che lo sia, anzi); ma mai come in questo periodo l’adesione
a un partito politico si presenta come un fatto morale; sia a causa
di quel demonietto che può far dire all’avv. Longo, in un modo impeccabilmente
freudiano, che anche i delinquenti hanno diritto ai loro rappresentanti
parlamentari - ed egli avrebbe forse fatto bene o a dichiarare: “solo a Dio è
dato giudicare”, ma è proprio questo che alla fine mi è dato capire; o a negare
(pur appartenendo magari alla trista “parrocchia” lombrosiana) che esista il
vero delinquente, per esservi sempre, laddove ritualmente incrocino
prescrizione e giudicato penale, la prova impossibile (eppoi: chi è senza
peccati scagli la prima pietra, secondo la spigliata lezione craxiana) -. Sia perché è colpevole chi confessa le proprie colpe; sia nel senso che i delinquenti prima o poi saranno giudicati dal tribunale della
storia; sia nel senso che le persone per bene, ogniqualvolta i politici
corrotti siano smascherati e processati, si sentono in qualche modo
rinvigorite.
Se non ricordo male, un clima analogo a quello odierno lo si era
respirato al tempo di “mani pulite”, con i leghisti a farla da moralisti e
castigatori - e non solo i leghisti -; ma poi vi sarebbero stati gli sviluppi
contraddittori che tutti conosciamo.
E anche: le prime denunce della partitocrazia presumibilmente
avrebbero dovuto indurre al sospetto: esse piovevano - ora lo possiamo pensare
- su un paesaggio già inquinato. Non era insomma, quella del Partito radicale,
semplice politologia di stile.
Una cosa comunque è certa: la crisi della prima e seconda
repubblica - a voler scimmiottare un po’ la storia e cultura francesi - lo era
e lo è dei partiti, oramai logori, inadatti a interpretare le cose e a promuovere il
bene comune. Evidentemente noncuranti del contesto storico-economico-sociale;
ignoranti, con poco cervello, rispetto ai temi imposti dalla realtà. Incapaci sostanzialmente di leggere l'evidenza.
E a questo punto si rafforza il sospetto: che se quello che si
smaschera e indigna è lo spreco di soldi, sono le offese alla povertà e alla
dignità del lavoro e dunque - per ricorrere a immagini evangeliche - al Cristo,
al Viandante…, quello che preoccupa nell’ombra è realiter l’inettitudine.
Che i partiti siano “casta” forse è anche una elegante
etichettatura, godibile dialogicamente nei salotti e nei talk-show;
mentre assai più efficace nel suo sobrio realismo resta l’immagine pasoliniana
del “palazzo”, tesa a indicare la dissociazione di ogni classe politica che
segua certi modelli rispetto alla realtà, che non è un semplice oggetto e che
non risiede preferibilmente nei film.
È insomma come se corruzione, concussione e truffa ai danni dello
Stato nascondessero un forte sospetto, la paura del quale si tende a non
confessare: che i partiti siano inadeguati alla politica, che la futura
conduzione delle cose chiede altri soggetti; forse anche simili ma certo più
dotati di carattere sociale; già; ma quali? Laddove la preoccupazione sembra
essere della politica, di non riuscire, prima ancora che dei governati, di
essere danneggiati, o derubati.
Qualche partito come il Democratico ha tentato la strada delle
primarie, ovvero di ripulire il sangue, facendo sì che fossero gli elettori stessi
a designare i candidati, nuovi quando più giovani; qualche movimento e partito ha
promosso concorsi on line per selezionare le candidature;
altri soggetti politici invece sono rimasti un po’ fermi, quasi paralizzati e
non sono mancate le nuove formazioni nonché le proverbiali fuoruscite. Ma
questo - mi domando - basterà? Emerge qua e là nuova spregiudicatezza, modernismo ambiguo come è nel caso delle primarie, che sono aperte a tutto e a tutti. E l’impressione al di là di tutto è comunque che sia la morale a prestarsi da qualche tempo a essere ideologia. Ma è questo veramente il destino: che un intero popolo sia diviso fra onesti e disonesti, prima ancora che tra destra e sinistra? E a questo punto, chi mai metterà fine alla repubblica dei disonesti?
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