Carl Schmitt, in uno
degli scritti raccolti in Democrazia e liberalismo, scavava nelle
differenze tra referendum e proposta di legge popolare,
secondo la Costituzione repubblicana di Weimar. E certo è, come egli teneva a
sottolineare, che non si dovesse, non si potesse fare confusione fra i due
istituti.
Ma è interessante il
pensiero riguardante l’esercizio del diritto di voto, che secondo Schmitt non è
da un punto di vista democratico un che di diretto, o
popolare-partecipativo, perché è individualistico, astratto, ecc. - e se
volessimo dire per non scontentare Gierke, che esso è “antiorganicistico”, allora
ci troveremo prima o poi a interrogarci sulla esattezza di un siffatto
giudizio.
Sarebbe ideologicamente
liberale insomma, a quanto mi è dato comprendere - e l’ideologia
liberale è in crisi e sembra essere l’oggetto della questione, la quale si
sviluppa più per negativum che in altro modo -, ritenere che
il diritto di voto sia veramente
democratico, ovvero: «L’immediatezza
della democrazia non si lascia organizzare senza cessare di essere immediata»[1].
Dunque l'ideologia
liberale non risponderebbe al vero e se è questa la tesi critica emergente,
allora la questione si drammatizza, lasciando trapelare soluzioni politiche
peggiorative rispetto ai problemi.
Certo è più “popolare”
(per fonte e modo) il referendum, laddove sia il collettivismo
stesso a esprimersi, ovvero il popolo come mònos, o come
immediatezza.
Un primo concetto emerge
allora con un minimo di chiarezza a questo punto ed è che il voto politico o
amministrativo è “democratico” per la ideologia liberal-borghese, non per
altri… che sentano le cose diversamente. E se non è così, se le democrazie
costituzionaliste del secondo dopoguerra hanno mostrato di non sapersi liberare
del modo liberal-borghese di pensare, ciò dovrà fare riflettere (non reagire e
basta), anche sulle compatibilità, fra democrazia formale e altro. Dunque il
voto è comunque sub iudice. E non per questo - sia beninteso - esso
come diritto va disprezzato.
Ma poi emerge anche
l’altro aspetto della cosa, e meglio della ricerca di una spontaneità e
immediatezza di partecipazione alla res publica: che ridurre
il referendum - e la possibilità stessa di un vero immediato
intervento del popolo attraverso il referendum - alla
semplice acclamatio, o percussio scutorum o che
altro (già: il famoso plebiscito) di affine, poiché come a Schmitt
piace ripetere al popolo si addice non il domandare ma il rispondere e cioè il
dire “sì” o “no”, ciò pone in risalto non una ma due volte l’altro aspetto
della fragilità popolare. Laddove è bene intuibile che la
spontaneità e la immediatezza - ammirate in un teatro - non sono garanzia di
veridicità su certe cose. E qui, mentre sembra risalire la classifica politica
l’irrazionalismo (forse nelle sue forme più piccolo-borghesi), che esalta le
azioni orgogliose ed eroiche di un popolo, lì appare chiaro che la povertà come
la malattia come la incultura sono beni strumentali.
Il che però appunto
sembra addirittura rimettere in piedi sulla scacchiera il povero fante
liberale, rispetto a Schmitt, proprio perché le critiche del teorico tedesco e
il suo lavoro di scavo scambiano la spontaneità del manipolo con la manipolazione
della spontaneità e finiscono così per tornare a quelle verità sulle quali
si regge il liberalismo borghese. E a ciascuno sia consentito valutare in che
senso...
È anche - credo - che
Schmitt se non è scientemente infastidito da ogni forma di giacobinismo -
ma anche di pacificazione sociale - ovvero da quel punto focale in cui una
classe sociale in nome di una lotta unita accetta la ideologia
(universalistica, nel nostro caso) di un’altra classe, fa di tutto per
scongiurarlo. E citerei non solo Robespierre o il suo spirito…
Il popolo comunque torna
ad essere bene osservato, rispolverando certe radici storiche di certi
istituti. Perché allora non trasporre un po’, almeno metodicamente, la faiblesse di
cui parlava Montaigne dall’individuo alla massa popolare, al popolo soprattutto
colto nel momento di esprimersi su una qualche decisione, di ordine comune, sia
pure tendenzialmente prendibile dall’alto?
Tenendo nel debito conto
il fatto che il popolo cosiddetto votante è solo un frammento che può
appartenere a qualsiasi personalità?
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