L’anarchico Passannante, origine lucana, povero, che di mestiere
a quel tempo faceva il cuoco, attentò appena ventinovenne - correva l’anno 1878
- alla incolumità del nuovo re d’Italia, Umberto I; a Napoli, aggredendo la
carrozza su cui viaggiava il sovrano, con un coltello che forse era buono più
per sbucciare le mele che per infliggere ferite mortali; ferendo in compenso il
ministro Cairoli, venuto in soccorso del suo re.
Giovanni Passannante |
Condannato in un primo momento alla pena capitale, a
norma di codice penale, questa gli fu poi commutata, in séguito a un
provvedimento di grazia, in lavori forzati a vita (una sottile cattiveria?). Così si tramanda che egli, «sepolto vivo in una cella […] posta sotto
il livello del mare, davanti all’isola d’Elba […]. Legato a una pesante catena
lunga pochi centimetri», venne lasciato «per decenni imputridire nei propri
escrementi» (cfr. il sito http://www.biuso.eu).
Successivamente, date le condizioni inumane cui era
soggetto, per iniziativa dell’onorevole Bertani, radicale e della giornalista
Mozzoni, assai attiva nella lotta per il riconoscimento dei diritti delle
donne, gli fu riconosciuta l’infermità mentale ed egli fu trasferito nel
manicomio giudiziario di Montelupo Fiorentino, laddove sarebbe deceduto il 14
febbraio 1910.
Inoltre, anche sua madre, i fratelli e le sorelle furono
reclusi in un manicomio; mentre al luogo di nascita, Salvia di Lucania, fu
imposto, per volere dei regnanti, il nome di Savoia di Lucania.
Una storia triste, come detto (alla quale è stato
dedicato un film); ma di costume ancor prima che di criminalità vera. Che
affonda le sue radici nel secolo diciannovesimo per giungere sino ai giorni
nostri, a causa del macabro reperto offerto alla curiosità dei visitatori,
quasi a suggerire che certe cose possono sempre accadere; ma perché - mi
domando - una storia già triste lo sarebbe divenuta ancor di più?
Per giunta, la sventura che toccò al povero Passannante
fu di morire nell’epoca del neo-positivismo,
segnatamente criminologico, segnatamente all’italiana. Accadde infatti,
laddove la riconosciuta follia appariva il male minore, che essa si traducesse
interpretativamente in un male peggiore. Il corpo dello sventurato incappò
nelle attenzioni del prof. Cesare Lombroso, il quale volle imporre le sue
autorevoli valutazioni, certificando - contrariamente alle prime perizie - così
l’attitudine naturale del pover’uomo al crimine come la sua attitudine alla
follia, stravolgendo in questo modo il senso delle cose.
Giovanni Passannante era uomo del Sud, povero, intelligente e curioso più che colto,
almeno secondo certa documentazione pervenutaci; ma appunto anarchico e uomo
del Sud. Certificare quindi con autorevolezza scientifica che l’uomo che aveva
attentato alla incolumità del re era un meridionale e che presentava
fisiognomicamente i tratti tipici e del criminale e/o del folle, equivaleva a
postulare sia che la gente del Sud aveva la tendenza a delinquere sia che tale
attitudine si combinava bene con il sovversivismo politico e meglio con l’anelito
alla libertà: due identificazioni in una, non certo progressive tanto quanto
dovrebbero esserlo le ambizioni delle scienze.
La vicenda s’inscrive, contribuendo alla sua
caratterizzazione, nella più ampia storia del nostro postrisorgimento, del
quale - ma è del risorgimento come tale che si parla - essa può valere ancora
una volta a provare piuttosto il carattere oscuro e inquietante - ma la storia
umana è molto questo, ancora oggi, anche presso di noi - che non la creduta luminosità.
Una storia che lo è più di aggressività, alla Konrad Lorenz, e di colonialismo,
che non di patriottismo. Già: homo sum,
humani nihil a me alienum puto, come Terenzio insegna.
È una storia inquietante e può e anzi deve essere
accostata a quella del cosiddetto “brigantaggio” meridionale, fenomeno non da
poco, contro cui l’esercito piemontese fu impiegato massicciamente; definito
sbrigativamente come “piaga”, o quella stessa in cui si racconta del modo come
si operò per l’unificazione nazionale, sacrificando il Sud con la sua cultura
al Nord conquistatore, foriero di un presunto messaggio d’illuminazione quanto
affetto da un grande passivo di bilancio.
In quella storia
qualsiasi mezzo, anche impietoso, sarebbe stato consentito per identificare
l’antropologia sudista con la criminalità e con la sovversione politica, e lo
spirito è quello della documentazione fotografica giunta a noi laddove si
vedono le teste mozzate di presunti briganti, o di contadini fucilati solo perché
sospettati di brigantaggio o di complicità con esso, racchiuse in gabbiette di
legno ed esibite come monito ai contadini, secondo una macabra usanza
medievale, affinché chiunque fosse dissuaso da intenti di ribellione ovvero,
per l’equivalenza, da gesti criminali.
(rielaborazione di quanto già pubblicato in Europa Giovani, 2010)
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