domenica 28 aprile 2013

Breve storia del bipartitismo "italiano" (questioni di quale laboratorio?)




Se è condivisibile la tesi per cui il bipartitismo perfetto non è mai esistito ed è d’impossibile attuazione, poiché nella loro storia i paesi anglossassoni hanno dovuto accettare come necessaria l’esistenza di un terzo partito minoritario ma chiamato a garantire, attraverso una più ragionevole ripartizione del consenso, gli equilibri finali nei rapporti di forza, allora si può anche parlare di un bipartitismo italiano, o all’italiana, che oggi è in crisi; fenomeno che dovrebbe suscitare curiosità e senso di approfondimento, per non dire malinconia.
È singolare, innanzi tutto, che per aversi tale bipartitismo servisse la crisi del sistema dei partiti classici, una ondata di scandali, con la nascita di nuovi partiti che non sarebbero stati più tali ma piuttosto superpartiti; l'occaso della libera articolazione del pensiero, qualcosa come travestimenti; e se non sarebbe servita subito una legge elettorale ad hoc (ma col tempo essa si sarebbe resa necessaria, in senso organico, quale ulteriore garanzia conservativa), servivano certi movimenti finanziari mirati, nuovi flussi di legittimazione per forme rozze di autoritarismo e un nuovo leader, uno che quanto meno desse il “là”. Al che si è indotti a ritenere che tale bipartitismo dovesse essere come una immagine ritagliata, procurata, un mito e cioè una fiaba; una solida finzione.
Nei detti “superpartiti” - e questo può spiegare la definizione correttiva e un po' soft di "bipolarismo" - sarebbero confluiti brandelli e/o fette dell’antropologia dei vecchi, i cui lineamenti però erano chiari e che risultavano dotati ciascuno di ideologia e disegni programmatici razionali. Laddove il fenomeno dei cosiddetti “tradimenti” sarebbe stato solo la punta dell’iceberg; e tale dovette essere peraltro lo scombussolamento che anche nella opinione si sarebbe assistito a cambiamenti di campo inimmaginabili solo pochi anni prima.
La fictio del bipartitismo perfetto sarebbe potuta nascere e si sarebbe perpetuata, in questo modo, con una maggioranza e una opposizione a farla da maschere, le quali avrebbero instaurato, andando sul palcoscenico, la regola aurea dell’alternanza al potere, che potesse godere della “miglior” legge elettorale possibile. Alternanza che, alimentandosi le immagini degli anticomunisti contro i post-comunisti, o dei fascisti e degli antifascisti, o degli invidiosi contro i ricchi, o degli sfigati contro gli uomini meritevoli perché baciati dalla fortuna, ecc., da una parte inclinava all’antidemocraticità, dall’altra forse provava troppo.
Come non pensare dunque eo tempore che nei fatti detto bipartitismo “perfetto” non potesse non basarsi su regole obiettivamente condivise? Da una parte si dovevano esercitare la polemica e la critica (tenendo strategicamente diviso il paese reale con il far sì che gli uni parteggiassero per Coppi e gli altri per Bartali, gli uni per Mina e gli altri per Milva) nonché la libertà di stampa ma eo ipso di diffamazione col mezzo dei giornali o di internet, dall’altra si imponevano certi limiti alla critica: il Capo dello Stato - ad esempio - doveva essere sacro e inviolabile (con certo quale ritorno al crimenlese).
Sennonché una cosa era che alla figura presidenziale fossero assegnati un ruolo super partes o quello del deus ex machina, con manifesto stracco "idealismo", altra cosa che l’inviolabilità presidenziale, scolorandosi quell'idealismo, potesse essere un giorno accostata a quella del monarca (princeps legibus solutus, magari in versione cossighiana). Perché proprio nella possibilità effettiva di tale accostamento (e oggi i nostri doctrinaires vorrebbero liberarsi dal tormento dicendo che in fondo siamo già nei fatti a una repubblica presidenziale) forse si poteva cogliere anche uno scricchiolamento di quel bipartitismo-superbipartitismo perfetto o bipartitismo-fard, o di machillage.
Al che sui partiti si sarebbe abbattuto il rimprovero istituzionale e da parte proprio della somma carica  repubblicana, che parlasse per conto dell'ordinamento come ordinamento perfetto.
Realisticamente, quello scricchiolamento lo si può ricollegare all’emergere degli scandali, al moltiplicarsi delle notizie d’incriminazione per corruzione, concussione ecc. di uomini pubblici e alle spaccature nei superpartiti, le quali avrebbero condotto parte dei politicians a costituirsi in gruppi o gruppetti alieni al sistema. E oggettivamente era questo che stava accadendo: l’accrescimento dell’alienità al sistema, ovvero fughe più o meno lucide del consenso politico-elettorale controllato; ma contemporaneamente ora i sospetti giungevano persino a lambire la figura carismatica del Capo dello Stato. Insomma era il legame fra questi aspetti a testimoniare dello stato di crisi di un ordine.
E poiché i tentativi di restaurazione del vecchio super-bipartitismo sarebbero potuti fallire, allora era d'uopo pensare alla nascita di un terzo partito, l’anello mancante, magari un partito dei tecnici, a sua volta super partes, per poter installare l’immagine, più collaudata e meno rischiosa, del bipartitismo imperfetto; salvando il salvabile, mediante epurazioni, più o meno vere, magari dei personaggi scomodi, in forte calo di popolarità e meno difendibili (questione cosiddetta “degli in candidabili”), sostituendo non senza ipocrisia i maschi con le femmine e i vecchi con i giovani (escamotages, che hanno il sapore di tecniche imprenditoriali).
Ma che cosa significa anche: saliva l’onda delle incriminazioni e si avevano così scricchiolamenti? Che cosa vi era dietro le frequenti notizie penali riguardanti uomini politici, oltre allo spiccato sentimento d’impunità di costoro? E quelle riguardanti il Capo dello Stato, attraverso le intercettazioni telefoniche, ovvero la forza della prova penale?
Se vogliamo, la politologia oltre che di partiti e partitocrazia è chiamata a occuparsi di rapporti fra i poteri od organi costituzionali dello Stato, ché è ad essi che bisogna saper guardare se si vogliono comprendere meglio le rivoluzioni politiche e i mutamenti della forma di Stato. Già: lotte come suol dirsi per il potere, che hanno però sempre riscontro in movimenti istituzionali reali, poiché le istituzioni non sono né un’armonia prestabilita né un che di pacifico.
E qui da noi storicamente si è assistito, con inerenza all’evolvere del bipartitismo perfetto, al rafforzamento dell’esecutivo, allo svuotamento del peso decisionale e costituzionale del parlamento - condizioni nuove, che si è tentato anni fa di cristallizzare in un progetto organico di riforma costituzionale - e alla opposizione o resistenza del giudiziario. Laddove è dato ritenere che i cambiamenti nella storia abbiano spesso a che fare appunto con atti giudiziari.
Perché obiettivamente la formula bipartitica, sia con una legislazione illecita e antigiuridica sia coltivando nel popolo il sentimento della illegalità, della condotta astuta e dell’antigiuridicità, veniva immancabilmente a potenziare nel paese legale e nel paese reale l’ostilità nei confronti dei custodi della legalità, della legge giusta e della civiltà giuridica. Tentando instancabilmente di rovesciare il senso assiologico delle cose, laddove - mettiamo - il ladro sino a prova contraria o se si preferisce sino a condanna definitiva è persona perseguitata dalla guardia.
E tanta è stata l’antigiuridicità di quel bipartitismo.bipolarismo quanta la sua immoralità. Immorale era ed è la  crescente povertà procurata, immorale la causazione di un forte disagio sociale ed esistenziale. E se dovrà essere rimessa al bipartitismo imperfetto, attraverso la novazione di quelle "regole obiettivamente condivise" di cui si diceva, ovvero il tentativo di salvare il salvabile, la soluzione dei problemi economici e sociali causati da quello perfetto, ciò significherà che alla teoria del legame fra i due forse va concessa più di qualche credibilità.

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