martedì 23 aprile 2013

La follia dei Cristiani (testimonianze dei primi nemici)




Cercare di capire il cristianesimo delle origini attraverso i testi dell’anticristianesimo di allora (siamo nei secoli che vanno dal I al V) è un utile esercizio del pensiero. 
Negli scritti di autori quali Celso e Porfirio, Epitteto e Marc’Aurelio, Galeno di Pergamo e Luciano di Samosata (merita ricordare al riguardo la silloge curata nel 1992 da Fabio Ruggiero) ciò che emerge è la follia dei cristiani: la loro insensatezza (aponòia), la loro amentia (il termine origina da Cicerone: Cat. II, 25), la alogìa (Epitteto), l'essere fra il disgraziato e l'imbecille (Luciano usa il termine greco kakodaìmon), l’antifilosoficità, la pratica della magia (Svetonio), il fanatismo, una ridicola credulità puerile, l’assenza totale della paura di morire, l’imbattibile vocazione - e provocazione - al martirio; in poche parole tanto la dabbenaggine quanto il fanatismo, quanto la irrazionalità, quanto la rozzezza. 
il filosofo Celso
Quegli scrittori, di cui spesso s’ignorano persino i nomi, si posero a baluardo della cultura antica. Era il loro un buon polemismo, nel quale si possono ravvisare umanismo e voltairismo ante litteram; ma quella era solo la cultura raffinata dei Gentili e ad essi non restò che rappresentare un mondo sul quale già era calata la nostalgia: se scrivevano, era perché la storia aveva già deciso. 

Se il loro pensiero era fondato, ciò significa che la rozzezza e la follia prevalsero sulla cultura, l’irrazionalità e credulità popolari su quanto potesse definirsi razionalità, filosofia e scienza. E in questo si può considerare anche da un punto di vista storico-obiettivo che cristianesimo e barbarie sancirono il tramonto definitivo dell’Impero e il sospetto pagano è che essi non fortuitamente fossero complici. 
È in questi termini che mi trovo a pensare, a proposito del cristianesimo, a una rivoluzione nei costumi, nella psicologia individuale e sociale; posta in essere prima dai martiri, poi dai monaci, fenomeno che prese largamente piede. E anche, per quanto sarebbe accaduto in séguito, a uno stravolgimento dei valori, una sorta di vittoria su ogni realismo, o senso di realtà. Storia dunque sui generis della follia? 
La metànoia - è interessante notarlo - era nata da un atto d’interpretazione, che interessò il processo a Paolo: Gesù di Nazareth, che pure risultava essere morto sulla croce, era morto davvero o era vivo? Laddove il santo aveva suscitato la curiosità dei giudici sostenendo che certamente costui era vivo. 

Era il tramonto dell’Impero: quelle macerie delle città, osservate dal poeta Rutilio Namaziano nel de reditu suo (siamo nel IV secolo, pochi anni prima Roma era stata messa a sacco dai Visigoti di Alarico ed egli, funzionario imperiale, se ne tornava in Gallia a controllare le sue proprietà), sono quel tramonto. Il momento, il principio era quello per cui un impero, l’impero, con la sua forza armata, con la sua espansione commerciale, la sua urbanistica e il suo diritto, prima o poi sarà posto in macerie dalla più implacabile delle leggi della storia: quella fine che è nascosta gelosamente dalle origini. 
Dunque mai sarebbe stato sufficiente, per spiegare il cristianesimo, constatare con Galeno - ma forse le stesse parole si sarebbero potute mettere in bocca al settecentesco Lamettrie, in nome della figura del medico come filosofo-scienziato - che «La maggior parte degli uomini non è in grado di seguire con la mente un discorso dimostrativo continuo; perciò devono essere istruiti con parabole». 
Ciò che dà da pensare è il fatto che in ciò che la razionalità individua e critica come male qualcuno possa vedere un bene; e che persino una razionalità severa potrà lasciarsi finalmente abbindolare e si troverà a giustificare ciò che essa sa bene essere male ed errore umano. Laddove quel sapere e riconoscere il male sarà come ricacciato indietro, verso il preconscio; per cui il folle, rovesciandosi le posizioni, sarà l’uomo razionale, o il saggio, o il sapiente. Mentre la ragione dovrà pascolare altrove; essa magari ridiverrà la dea, fonte - perché non? - di nuovo fanatismo; quando all’Impero sostenere autoritariamente le ragioni del nemico non varrà a scongiurare la fine, allora tutto sarà stato già deciso. Il che è dimostrato a contrario dal fatto che l’ultimo dei persecutori, l’imperatore Galerio, oramai ammalato, dovette riconoscere, con l’editto di Nicomedia (siamo nel 311), l’insuccesso delle azioni repressive da lui comandate. Ciò che costituiva l’altra componente della verità: che il cristianesimo in certo senso non andava spiegato. 
Dunque l’anticristianesimo difensore della cultura antica e della razionalità fu sconfitto. Ma - mi domando - fu proprio così inutile descrivere i cristiani in un qualche modo veritiero come fanatici ecc., se oggi noi possiamo avere quei dati e documentarci? 
Non v’è forse poi più verità in una domanda o in una sequenza di domande che in una affermazione? Qualcuno nel settecento pensava proprio questo. Ma tant’è. 
L’importante magari sarebbe non essere oggi come quei pagani dei primi secoli e cioè bloccati, bocciati dalla storia; se ciò non si rendesse arduo a causa del fatto elementare che il nuovo non è detto sia migliore del vecchio e che è difficile, per l’altra implacabile legge della storia che è la non contemporaneità dell’assenza, cogliere chiaramente nella decadenza la risorgenza. 
Dunque il cristianesimo delle origini altro non sarebbe stato che la follia che s’impadronisce della storia, o se si preferisce la storia che dimostra coi fatti la sua follia; ciò è provato anche dal rogo per le streghe e per i liberi pensatori (e-retici), o dalla ipocrisia istituzionale del brachium saeculare, laddove tanta è la stoltezza e violenza popolare e il popolo è sempre il fondamento che sta nell’ombra o ai margini delle scene. 
Che poi già nel II secolo la pistis, la fede cieca, potesse ricevere il conforto delle argomentazioni filosofiche; che gli apologeti non tardassero a erigere i primi muri contro i polemisti, sostenitori - segnatamente stoici - della cultura antica e della filosofia; o che infine potesse iniziare quel movimento culturale che avrebbe saputo usare i filosofi antichi a sostegno della veridicità e fondatezza e razionalità del cristianesimo; tutto questo non riesce a cancellare i dubbi sulle origini e non condanna le ragioni degli illuministi di ogni epoca. In altre parole, il problema di Galeno è che la sua verità tanto più era grande quanto più la storia lo avrebbe condannato. 
Quali allora le cause del cristianesimo? Oggettivamente certo si può parlare della crisi oggettiva di un impero, per quelli che la storia ha più volte dimostrato essere fra i sintomi più decisamente psicologici o antropologici di ogni crisi di civiltà: la paura del buio, della notte più profonda e il dover rinascere a ogni costo, vincendo la morte, sfidandola, provocandola; e su questo piano è ragionevole considerare quel fenomeno per cui una dottrina avrà successo se riuscirà a influenzare i plebei come i patrizi, uniti alla fine così da un medesimo animus
Soggettivamente invece - per gl’increduli - è sempre questione di capi, maestri, retori e predicatori, personaggi che hanno presa sulla gente, aiutati in questo moltissimo da apostoli e seguaci. E tale è la realtà storica, per cui un ladro può giustificare il suo crimine adducendo una giustizia superiore; o per cui un uomo come Socrate (il “santo Socrate” del medioevo), condannato dalla giustizia umana, può affermare: il filosofo desidera la morte; già, è quanto desumibile anche dalla vocazione dei primi cristiani al martirio… 
A proposito di capi: i santi Pietro e Paolo lo furono, con caratteristiche diverse e altri presumibilmente ve ne dovettero essere, in costanza di un fenomeno che originariamente dové essere settario. E a me interessava cogliere questo aspetto, per risalire alla figura di Gesù di Nazareth. Esistette costui veramente? Se sì, fu veramente quello che le Scritture dicono sia stato? Disse quelle cose che si tramanda abbia dette? Sino a che punto è sostenibile l’autenticità delle Scritture che ne parlano? Celso già sollevava questioni di questa natura e ne argomentava razionalmente, prima dei Voltaire e dei Diderot; e nulla può dimostrare che costoro fossero nel torto, se non la storia. 
Ma pur ammettendo che la storia insegni come s’insegna ciò che non si deve fare, resta il fatto paradossale che è proprio l’essere curiosi della ostilità degli anticristiani (lo storico Giuseppe Flavio ad esempio non avrebbe forse potuto volutamente non dare risalto alla figura di Gesù non parlandone?) a rimettere in gioco certe pretese verità cristiane.

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