domenica 16 marzo 2014

Quale la condizione reale, a causa di quale Risorgimento?




Il Risorgimento italiano, per quanto affermò Antonio Gramsci, è stato una rivoluzione mancata; esso cioè non è stato l'occasione per una rivoluzione borghese, perché troppa rimase politicamente, al di là dei livelli d'industrializzazione, la distanza fa borghesia e classi contadine - esattamente il contrario di quanto era avvenuto in Francia, nella sequenza "grande illuminismo-rivoluzione" -; e dunque in questo senso, posso aggiungere, il nostro non fu un vero Risorgimento nazionale, o giù di lì. 
È un esempio di storiografia politica, che vale a spiegare il presente in base al passato, il quale a sua volta va sempre indagato e meglio conosciuto. E comunque sia, prima di rifiutare una qualsiasi tesi, non bisognerebbe perdere di vista la storia, che ha sempre da dire. 
Riforme nel periodo delle monarchie cosiddette "illuminate" di metà settecento ne furono attuate; innovazioni sempre di natura amministrativa (ché la prima questione per uno Stato e la sua prima forma d'identità è la sua amministrazione) furono introdotte da quell'esportatore di cultura borghese che fu per suo destino Napoleone; ma il nostro Risorgimento fu monarchico, piemontese, incoraggiato per dire finanziato e aiutato da potenze straniere, truccato con ogni mezzo (dalla studiata antropologia dei Mille alle "bustarelle" ai generali borbonici, al metodo degli eccidi), sostanzialmente antipopolare e ancor prima assai poco borghese. In altre parole, anche: se in Italia vi furono e vi sono idee innovative borghesi, o liberali, esse erano e sono votate a operare lontano dal popolo e, quel ch'è peggio, lontane non solo dal popolo. 
La "unificazione" cosiddetta fu molto una grande opportunità economica e finanziaria per il Piemonte (ad iniziare dallo Stato sabaudo) e per i "galantuomini" del Sud; e storie come quella dei fratelli Bandiera testimoniano della totale assenza di un'alleanza fra operai contadini e piccola borghesia emergente o illuminata, il cosiddetto "giacobinismo" (sempre nella definizione di Gramsci), condizione necessaria per una vera rivoluzione nazionale borghese. Non solo; ma come da più parti oramai da tempo si vuole provare, il Risorgimento pur essendo stato irrorato da una partecipazione di giovani intellettuali o romantici combattenti per la libertà, si risolse in una guerra di conquista assai sanguinosa nei confronti dell'unico Stato preunitario (e della sua popolazione più umile) che potesse quotarsi sia per industria sia per cultura a livello europeo, il Regno delle Due Sicilie; pur dovendosi ammettere che molto nelle terre del Sud fosse ancora avvolto nell'ignoranza e nell'oscurantismo delle monarchie della Restaurazione e che ivi molta fosse ancora la plebe con le sue superstizioni. 
A questo punto però bisogna progredire nel discorso: forse si può  ritenere che nel nostro patrimonio cultural-nazionale la cultura borghese non sia mai entrata veramente e cioè in modo trasformativo e che il capitalismo figlio delle rivoluzioni industriali (quello descritto da Marx e che resta uno schema di riferimento) quanto delle storie nazionali abbia sostanzialmente lambito il nostro Paese (penso a certa fioritura imprenditoriale negli anni 1848), rendendo per il resto l'uso della parola, con riferimento a un periodo socio-politico-economico, abbastanza ingannevole. 
Non di capitalismo vero e proprio si sarebbe trattato per il caso italiano dunque ma forse di qualcosa come uno pseudocapitalismo, nel quale avessero agio di prosperare le diseguaglianze per diritto divino e la rendita, in tutte le sue forme. Se questo fosse sostenibile, allora non potremmo nemmeno sorprenderci per tanti fatti che scandalizzano: la propensione "naturale" di un popolo al Fascismo e alle sue riedizioni, ovvero al cosiddetto "anticomunismo" (per ciò che vi è nel comunismo d'illuministico e razionale), ovvero ancora all'oscurantismo; uno scarso sentimento nazionale (in senso buono o cattivo che sia), una idea della classe politica come casta, con relativi "metus reverentialis" e "disponibilità"; una prevalenza costante dei privilegi e dei potentati rispetto alla idea di Stato moderno e meglio "di diritto", un costante deprezzamento della Costituzione scritta, una stampa facilmente assoldabile, un'ammirazione per gli uomini ricchi e di successo a ogni costo, una sostanziale disponibilità a cambiar padrone, un sostanziale tradizionale materialismo dei valori ed edonismo, una sostanziale misoginia, ecc. 
E tutta quella critica che si scandalizza e denuncia codeste forme d'immoralità civile e sociale forse è errato ritenerla rappresentativa della opinione pubblica rispetto alla quale essa è invece difforme, perché figlia di una libera cultura borghese e anche cattolico-borghese. 
Dunque il ritratto dell'Italia forse andrebbe capovolto e ciò che appare maggioranza dovrebbe essere ridotto interpretativamente a minoranza virtuosa. Anche se è vero che l'intelligenza borghese, soprattutto quella colta, se può essere comprimibile non è annientabile. E dunque è soave l'invito a rileggere i giudizi di Croce - oltre che quelli di Gramsci -, ché essi sono validi ancora oggi. E se lo sono, allora qualcosa di vero in quanto detto ci deve pur essere. 



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