domenica 27 luglio 2014

Come capinere? (da Pasolini a Verga)



Pasolini diceva grosso modo: aboliamo la scuola dell’obbligo e aboliamo la TV; beh!, intanto proviamo, vediamo l'effetto che fa... magari facciamolo in attesa di tempi migliori.... 
Lo scriveva nell'ottobre del 1975, in un articolo pubblicato sul Corriere della sera. Era in ballo la questione giovanile, i giovani sradicati da tutto, divenuta questione criminale. Che egli osservava, per sua esperienza, guardando i ragazzi delle borgate romane (già strappati dal Sud e traditori delle loro culture meridionali) e cercando d’individuare le cause della brutale trasformazione delle loro consuetudini. 
Ecco alcune fra le sue parole: «Quali sono le mie due modeste proposte per eliminare la criminalità? Sono due proposte swiftiane, come la loro definizione umoristica non si cura minimamente di nascondere. 
1) Abolire immediatamente la scuola media dell'obbligo. 
2) Abolire immediatamente la televisione. […]

La scuola d'obbligo è una scuola di iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese: vi si insegnano delle cose inutili, stupide, false, moralistiche, anche nei casi migliori (cioè quando si invita adulatoriamente ad applicare la falsa democraticità dell'autogestione, del decentramento ecc.: tutto un imbroglio). Inoltre una nozione è dinamica solo se include la propria espansione e approfondimento: imparare un po' di storia ha senso solo se si proietta nel futuro la possibilità di una reale cultura storica. Altrimenti, le nozioni marciscono: nascono morte, non avendo futuro, e la loro funzione dunque altro non è che creare, col loro insieme, un piccolo borghese schiavo al posto di un proletario o di un sottoproletario libero (cioè appartenente a un'altra cultura, che lo lascia vergine a capire eventualmente nuove cose reali, mentre è ben chiaro che chi ha fatto la scuola d'obbligo è prigioniero del proprio infimo cerchio di sapere, e si scandalizza di fronte ad ogni novità). Una buona quinta elementare basta oggi in Italia a un operaio e a suo figlio. Illuderlo di un avanzamento che è una degradazione è delittuoso: perché lo rende: primo, presuntuoso (a causa di quelle due miserabili cose che ha imparato); secondo (e spesso contemporaneamente), angosciosamente frustrato, perché quelle due cose che ha imparato altro non gli procurano che la coscienza della propria ignoranza. Certo arrivare fino all'ottava classe anziché alla quinta, o meglio, arrivare alla quindicesima classe, sarebbe, per me, come per tutti, l'optimum, suppongo. Ma poiché oggi in Italia la scuola d'obbligo è esattamente come io l'ho descritta (e mi angoscia letteralmente l'idea che vi venga aggiunta una "educazione sessuale", magari così come la intende lo stesso "Paese Sera"), è meglio abolirla in attesa di tempi migliori: cioè di un altro sviluppo. (È questo il nodo della questione).
Quanto alla televisione non voglio spendere ulteriori parole: ciò che ho detto a proposito della scuola d'obbligo va moltiplicato all'infinito, dato che si tratta non di un insegnamento, ma di un "esempio": i "modelli" cioè, attraverso la televisione, non vengono parlati, ma rappresentati. E se i modelli son quelli, come si può pretendere che la gioventù più esposta e indifesa non sia criminaloide o criminale? È stata la televisione che ha, praticamente (essa non è che un mezzo), concluso l'era della pietà, e iniziato l'era dell'edonè. Era in cui dei giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme dell'irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e dalla televisione, tendono inarrestabilmente ad essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino alla infelicità (che non è una colpa minore). 
Ora, ogni apertura a sinistra sia della scuola che della televisione non è servita a nulla: la scuola e il video sono autoritari perché statali, e lo Stato è la nuova produzione (produzione di umanità). Se dunque i progressisti hanno veramente a cuore la condizione antropologica di un popolo, si uniscano intrepidamente a pretendere l'immediata cessazione delle lezioni alla scuola d'obbligo e delle trasmissioni televisive. Non sarebbe nulla, ma sarebbe anche molto: un Quarticciolo senza abominevoli scuolette e abbandonato alle sue sere e alle sue notti, forse sarebbe aiutato a ritrovare un proprio modello di vita. Posteriore a quello di una volta, e anteriore rispetto a quello presente. Altrimenti tutto ciò che si dice sul decentramento è scioccamente aprioristico o in pura malafede. Quanto ai collegamenti informativi del Quarticciolo - come di qualsiasi altro "luogo culturale" - col resto del mondo, sarebbero sufficienti a garantirgli i giornali murali e "l'Unità": e soprattutto il lavoro, che, in un simile contesto, assumerebbe naturalmente un altro senso, tenendo a unificare una buona volta, e per autodecisione, il tenore di vita con la vita». 

La scolarizzazione come formazione di classi piccolo-borghesi schiave, la lontananza dalla vita (e qui ci metto anche la falsità, che alla fine può affliggere ogni informazione): ecco l’accusa nei confronti di nozioni e modelli che si rivelavano rispettivamente morti sul nascere o impossibili e comunque frustranti e malformanti. E da tanti modelli di lontananza, tanto radicamento, sarebbe scaturita (anche) l'azione criminale. E al centro sempre l'educazione, il problema dei problemi
No, non erano ubbie, non era retorica di un uomo di mezza età quella di mio padre, sempre in cerca di modelli umani e democratici e insomma "aperti" e amorevoli d'insegnamento... 
Già: poi Pasolini aveva anche scritto che le compagnie che si frequentano sono più 'educative' della famiglia; che la formazione deriva anche dalle cose, soprattutto quotidiane, reiterate credo; e insomma il problema per lui era il perché e il come la persona si forma... Laddove lo Stato, per dire l'amministrazione pubblica, le leggi, ecc. si trovavano in fondo a essere rappresentati; ma quasi come ombre... 
Beh!, io aggiungerei, per tornare a noi: quanto meno periodicamente certe abolizioni si potrebbero anche sperimentare, se non altro per disintossicarsi un bel po' e direi non solo informativamente, a meno che non s'intendano utilizzare le parole in un senso poco classico... 
Si potrebbe anche provare a spegnere la TV per qualche giorno e vedere l'effetto che fa, invece di accenderla come una volta di fronte alle calamità o alle avversità ci si recava istintivamente in chiesa per segnarsi, raccogliersi in preghiera, trovare ristorazione... e insomma in qualche modo per… apprendere. O come si ravvivava presso certe culture popolari il fuoco domestico. 
Credo anche, in aggiunta, che scuola e TV proprio nel loro parlare di cose impossibili che generano frustrazione, siano come forme d'internamento, o se si preferisce di chiusura e che la "disciplina" in entrambi i casi sia un po' interpretata in questo senso. Nessun principio di eccezione, nessuna crescita del sentimento del "libero esame", nessuna capacità d'interpretazione vera, nessuna cultura che getti qualche "ponte"... 
Pasolini neanche poneva in quell’articolo di quasi quarant’anni fa la questione di Lutero, che pure gli era cara (che cosa s’intende simbolicamente per luteranesimo?), tanto egli era preso dalla nostalgia di quella cultura popolare che TV e scuola avrebbero devastata, o estirpata.
Io vorrei invece estendere l’attenzione alle classi in generale, sia pure a una nuova piccola borghesia già formata e universalizzata, e soffermarmi sui modi; e in tal senso direi che qui si ha effetto d’internamento, misoneismo, ecc. (la televisione è vecchia come la scuola e in questo è dannosa) ed enfatizzerei l’aspetto del blocco psicologico, che certe esperienze didattiche procurano, all’insaputa di chi le patisce. E che può anche essere chiamato a spiegare la criminalità, dovendosi così escludere che essa sia un che di naturale.
Chi - mettiamo - fra noi vorrebbe trovarsi da un momento all’altro nei panni di quelle fanciulle che storicamente le famiglie "come si deve" o "dabbene" destinavano alla clausura? Come la "capinera" descritta da Giovanni Verga, oppure la religieuse sulla cui sorte Denis Diderot, il suo autore, sarebbe stato sorpreso a versare calde lacrime?... 
Nessuno, è la mia risposta; e meglio, mi correggo: nessuno perché nessuno ritiene di essere una capinera... che magari è schiva, chiava e abbassa la testolina... 


«Avevo visto una capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia ci guardava con occhio spaventato; si rifugiava in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell'azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lacrime. Ma non osava ribellarsi, non osava tentare di rompere il fil di ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera», ebbe ad annotare nella Premessa al suo romanzo epistolare il famoso scrittore siciliano, che sapeva bene osservare le cose. Nel suo doloroso naturalismo… La storia insomma cammina; ma in molti si ha quasi piacere a restare prigionieri, o più che fermi... 

Nessun commento:

Posta un commento