mercoledì 11 settembre 2013

Conservatorismo e liberalismo




L’irlandese Edmund Burke, nella sua invettiva ragionata contro la rivoluzione francese (Reflections on the Revolution in France), lasciò intendere (dicendo di ispirarsi al modello anglosassone) che si sarebbero potute avere libertà e democrazia senza l’azione di quei soggetti, popolari e borghesi (era l’orribil giacobinismo) per i quali soli pur esse avevano invece un senso; ovvero senza oligarchie e violenza; e che forse quella rivoluzione non sarebbe stata poi così necessaria.
Edmund Burke
Sminuire il valore e il senso di questi o quei determinati fatti nella loro qualità specifica e unicità (quei precisi fatti come ciò senza cui non sarebbe stato nemmeno immaginabile che le cose potessero cambiare nel modo come ciò sarebbe avvenuto) è un atteggiamento che attraversa il pensiero conservatore. Ed è un principio prossimo all'altro, sempre d’indole conservatrice, per cui noi possiamo pensare la storia come reversibile e non necessaria. Ovvero scindere la libertà dalla storia, od opporla alla democrazia. O come l’altro ancora, per cui la violenza è comunque qualcosa che va ripudiato.
File:Joseph de Maistre Vogel von Vogelstein ca 1810.jpg
Joseph de Maistre
E il pensiero corre a questo punto sino ai de Maistre (l’origine dei mali moderni cito per comodità da Wikipedia - è da ravvisarsi nella riforma protestante, la rivoluzione è un che di peccaminoso ché essa distrugge l'ordine naturale, ecc.) e ai de Bonald (il potere deriva da Dio e si incarna nel sovrano, la monarchia è la forma migliore perché la più naturale di governo, ecc.); entrambi nobili, entrambi con un ordine politico nostalgico in testa. Per dire anche: il liberalismo si forma come - ed è - il contributo dato dalle rivoluzioni borghesi alla teorie che si sarebbero sviluppate sul conto di esse. Ma erano quei due nobiluomini veramente liberali
Dal canto suo anche Alessandro Manzoni, nel suo frammento (sempre) sulla rivoluzione francese, avrebbe condannato in nome dello spirito cristiano la violenza e l’egualitarismo rivoluzionari (non si può ottenere qualcosa con mezzi che non ne condividano la natura); e troviamo tuttora posizioni analoghe, sia pure con toni meno raffinati e colti, in scrittori e studiosi e storiografi che hanno criticato l’unificazione nazionale d’Italia (risorgimento come rivoluzione laica, borghese, empia) in nome dei diritti sovrani della Chiesa Romana e soprattutto del papa; mentre vi sono tuttora filosofie che ritengono Cartesio responsabile dei mali della modernità e ignorano la storia quale spirito e quale documentazione. Per la verità la figura di Manzoni è stata associata, al pari di quelle del Rosmini e del Gioberti, a quelle del cattolicesimo liberale italiano; ma considerando implicitamente come liberale un pensiero vario e multiforme, forse una cornice un po’ di comodo. O potendosi anche giudicare fondata la differenza fra liberalismo cattolico e cattolicesimo liberale. 

Ora io mi dico: in fondo tutto è pensabile, ovvero lo è tutto e il contrario di tutto; ma buona parte delle idee e concetti rischia così di legarsi alle affermazioni gratuite, alla immaginazione, alla psicologia personale arbitraria o a quanto di più personale, trascendentale e inconfessato si annida nell’uomo, ovvero la sessualità. Minori forse - interessanti i rimproveri mossi dalla Wollstonecraft sua coeva a Burke, in nome dei diritti degli uomini - i legami con la sicurezza della proprietà: per chi ne ha molta e ad essa rapporta e commisura nolens volens l’ordine sociale. In questi casi si ha per così dire libertà della teoria piuttosto che teoria della libertà. Anche se non si può certo escludere che la critica dei fatti storici possa alle volte aiutare il pensiero a crescere o che una teoria fantasiosa possa celare nella forma, allegorica o metaforica, un pensiero nuovo.

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Alessandro Manzoni
Posizioni teoriche come quelle brevemente esposte vorrei qui provarmi a definirle in una parola anticrocianesimo. Il torrente o il fiume che non si può arrestare, la restaurazione che non avrebbe potuto negare storicamente o scancellare la rivoluzione dell’ ’89 con la sua religione della libertà, ecc.: ecco un tratto caratteristico di Benedetto Croce; il cui pregio è stato quello di avere promosso cultura pensando la libertà non scissa dalla storia. Pensiero congeniale fra gli altri a Gramsci suo contemporaneo, suo critico, di matrice politica diversa e ad altri ancora, tutti in questo in qualche modo catalogabili come liberali.
Dunque conservatore non significa necessariamente liberale, ché conservare non è sinonimo di liberare. Ma bisogna ammettere che se della parola si è abusato è perché essa è insidiosa e non poco, dal punto di vista semantico: Groot ad esempio era liberale? Pufendorf, lo fu ante litteram? O quanto lo furono Kant, Strauss o Feuerbach? O Smith? O è che nel pensiero di ciascuno di essi è ravvisabile del liberalismo? 
Certo è che “liberale” non è colui che rifiuta la storia come si può rifiutare un pasto perché non piace. Costui lo si potrebbe definire piuttosto conservatore, tradizionalista, controrivoluzionario oppure reazionario, od oscurantista. Profili che ricordano tutti un po’ l’atmosfera che si apprezza in un romanzo di Pavese, Paesi tuoi se non erro, nel quale una giovane contadina, ferita mortalmente al collo dal fratello con un tridente, veniva lasciata morire dissanguata fra le preghiere dei congiunti e amici, senza che nessuno avesse pensato tempestivamente a chiamare il medico, invece che il prete - il che sarebbe valso probabilmente a salvare la vita alla poveretta.
Insomma alle volte se si ha a che fare con orgoglio e pregiudizio, o con l’ignoranza, o con che altro, non per questo si tratta di liberalismo. O almeno è questo che io mi sforzo di credere, rifiutando ogni forma di libertà irrazionale, o isterica, o di ... libertà dalla libertà. E ogni definizione che non faccia chiarezza su ciò che essa definisce.

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