domenica 20 ottobre 2013

Uno "sporco gioco", ovvero certi attacchi al pensiero cattolico




Se accusare di marxismo e meglio di comunismo tutto ciò che sfavorisca il proprio arbitrio e ostacoli i propri interessi è vituperabile, volgere quell’accusa contro la parte migliore del pensiero cattolico laddove questo parli della persona e del sociale (e anche dell'amore) è uno sporco gioco. Significa lavorare per deturpare e il volto stesso del cattolicesimo come cultura e della cultura nazionale, per ferire l'uomo, giustificando con il pretesto della fede “personale nonostante il mondo modi di vita lasciati a sé stessi, rapporti di forza selvaggi, oscurità morale e intellettiva.
Come nascondersi oggi il nesso fra distribuzione della ricchezza e nobiltà della mente, o fra vita civile di un popolo e sana elaborazione di pensiero? Ci vuole un po’ più di capacità a stabilire legami, senza erigere castella a difesa dell’ignoranza e dell’oscurantismo. Dunque è evidente come sia delittuoso sacrificare il patrimonio culturale, scientifico e di pensiero di un paese a rozzi interessi materiali e/o a uno sgangherato principio di piacere. 
Da tempo ad esempio si sente dire che la nostra Costituzione è comunista; ma i lavori della Costituente, il testo della Carta e l’opinione dei giuristi seri dimostrano che essa è principalmente cattolica; anzi questo non andrebbe neanche affermato proprio perché in essa prevale il principio cosiddetto “personalista” e non quello “lavorista”, ovvero il diritto alla vita e/o a una esistenza dignitosa e la inviolabilità della persona sono più importanti del diritto al lavoro per sé preso, il quale ha valore per essere parte integrante di quella dignitosa esistenza e di quella inviolabile persona.
Questo certo non esclude che certe convergenze ideali, non ideologiche - quali si ebbero ad esempio fra un La Pira e un Togliatti - siano importanti; ma è qui anche l’errore, ché esse sono un valore morale di crescita e progresso per tutti. Dunque vi è lotta, in quello che ritengo uno sporco gioco, contro certa oggettività storica e la regressione nei costumi, nei mores, è più che un rischio.

L’italia, a fronte di un marxismo che è illuminismo e priva com’è nella sua storia di una rivoluzione borghese (anche se certo questo non spiega tutto), non è nuova a certe confusioni o semplificazioni culturali. In passato non era infrequente che sino crociani autentici in dibattiti pubblici e giornalistici fossero definiti "comunisti". È il gioco della gogna, o della diffamazione e in fondo lo sappiamo: la radice è lì, ché ad esempio ai primi del novecento un salandriano non era un giolittiano, nonostante certe possibili convergenze. Ma da tempo il fenomeno si è esteso a macchia d’olio, ha aumentato la sua presa sociale, laddove è cresciuta la volontà politica di combattere tutto ciò che volge a favore del sociale e del debole, o della cosiddetta “trasparenza”, o dei diritti umani e che in questo minaccia il formarsi di sempre nuove diseguaglianze economiche.
Parallelamente, sempre per restare a certa opinione, si accusa il giudiziario di conculcare il legislativo, soprattutto di vanificarne il momento elettorale - aspetto però questo enfatizzato, sino a violare lo spirito della Costituzione nonché ogni sano sentimento repubblicano. Lo si fa lamentando gli attacchi portati dalla magistratura alla sovranità del parlamento ma non volendo dire «il parlamento» e invece «il popolo elettore», il popolo del puro consenso, un mito, opponibile alla Costituzione formale, e lo si fa non prima di avere stravolto la procedura legislativa a vantaggio dell’esecutivo, redistribuendo ogni valore di rappresentanza fra popolo, partito o movimento politico e quanto vi fosse nelle istituzioni di “presidenziale”. 
Traspare in questa, che è una operazione politica, il tentativo di cambiare la costituzione materiale per poi potere fare lo stesso con quella formale e almeno tre sono qui gli aspetti emergenti: uno di compensazione, uno d’impossibilità o quasi, uno di confusione.
In primo luogo l’enfatizzazione del popolo votante indica compensativamente la crisi del principio di rappresentanza, liberaldemocratico e borghese; in secondo luogo è più che presumibile che le accuse mosse alla magistratura mostrino che nei suoi confronti - pur essendo il giudiziario tenuto al guinzaglio dai suoi organi censori - non si riesce ad ottenere quella padronanza che si è ottenuta nei confronti del legislatore (altrimenti si farebbe dell’altro); in terzo luogo tanto si viene ad accusare di comunismo la Costituzione quanto si forniscono degli organi costituzionali quali il popolo o il legislatore interpretazioni extracostituzionali. Un ibrido, di metafisica e caverna.
Si tratta in fondo di bassa retorica; ma la bassa retorica a quanto risulta ha mani e piedi; lo diceva Hegel delle idee ma alla fine una idea vale l’altra, non solamente in un’epoca definita mediatica, ché la retorica e l’inganno (o se si preferisce, l’uso magico-evocativo della parola) non nascono ora come non nascevano cento anni fa.
La retorica funziona da sempre, sì per chi voglia solo farsela raccontare. Essa funziona magnificamente  soprattutto con l’ignoranza, la povertà, la frammentazione e dequalificazione del lavoro, la emotività la più rozza e brutale, le istanze e rivendicazioni incoerenti e irrazionali; agisce con buona efficacia sulle preferenze elettorali e cioè sul consenso popolare, che essa soprattutto in una democrazia rappresentativa e industriale deve saper coltivare e promuovere. 

Pure bisogna riconoscere a quello che definirei pensiero basato sul non pensiero quanto meno due abilità: saper pescare in una psicologia essenziale, dell’arricchimento personale ad ogni costo, o dell’odio, che stravolge i canoni della logica (il cosiddetto «materiale umano»); e un profondo riscontro di verità, con riferimento non solo al francescanesimo ma sino al magistero morale della Chiesa Romana, laddove ad esempio sant’Ambrogio affermava che la terra non è dei ricchi ma di tutti.  Caratteristiche però che non tanto sono un attestato di veridicità quanto piuttosto obbligano in primis il populus Dei a una scelta di campo: fra morale e pensiero cattolici e cosiddetto “neoliberismo”.
In tutto questo forse la confusione ideologica è più importante di quanto non si sia disposti a pensare. Il marxismo non è comunismo (teorici socialisti negli anni novecentosettanta dicevano questo e se vi era dibattito allora doveva esservi pur qualche fondamento) come il comunismo non è il cattolicismo. Tutto insomma chiede di essere approfondito e non semplificato, pena la morte del pensiero, della scienza e della cultura.

Del marxismo in fondo in Italia si sa e non si sa, a causa anche delle realizzazioni storiche concrete e dei revisionismi; che un sano liberalismo della religione della libertà sia «di sinistra» fa un po’ sorridere; ma che elaborazioni del pensiero cattolico siano comunistiche lascia perplessi. Il cattolicesimo è tale: né socialismo né comunismo e oramai sono passati i tempi dei rapporti di alleanza fra marxisti e cattolici. Qualcosa in più e in meglio bisognerebbe saper pensare, invece di precipitare nel vuoto.  

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