domenica 3 novembre 2013

De Fontenelle



Un cœur oublié, ovvero quale occasione migliore di un film, sulla vita del signor de Fontenelle - romanzata, certo, per ruotare attorno al fatto che costui alla età di oltre ottant’anni si fosse invaghito di una bella fanciulla, di maniere dolcissime e d’ingegno non comune - per comprendere almeno due cose della storia: che la libertà è quello zefiro che soffia su qualcosa come una Enciclopedia - dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers ovvero il bisogno di riunire il sapere promuovendolo come in un exploit -, confortandola e proteggendola e che la libertà nel pensiero così data, che solo trova modo di svilupparsi nei salotti, laddove lo spirito e la parola non abbiano il tempo di occuparsi dei bisogni materiali, apre il varco alla libertà politica; che è però altra cosa da quella, ha altra natura. Voglio dire: il nesso merita di essere ritenuto piuttosto sorprendente che ovvio. 
Intendo ripensare un po' in questo anche il legame fra illuminismo e rivoluzione francese e di come la libertà di un Voltaire, di un Diderot o di un d’Alembert, pur non coincidendo con quella ma a quanto risulta ad essa avendo dato l’avvio (non basta la Riforma per spiegare le rivoluzioni borghesi), siano stati il pretesto per altra libertà, pragmatica, che sarebbero state piuttosto istanze di giustizia ed eguaglianza economico-sociale e umana, tolta alle confessioni religiose, unitamente al potere sulle scienze, la forza della promessa.
Bernard Le Bovier de Fontenelle
È vero che la libertà, che non ha un oggetto determinato ma più oggetti, vuole con sé legislativamente e politicamente la razionalità; ma la storia suggerisce o evidenzia un nesso, più o meno evidente, fra il progresso nelle scienze e nella letteratura, uno sviluppo della curiosità del conoscere e del pensiero come interiorità, e le istanze di libertà dei ceti sociali oppressi, o non ripagati, produttori di reddito e/o portatori di nuova cultura; ma puniti dalle condizioni materiali di sviluppo della economia e della politica. La razionalità insomma, costruita teoreticamente, facilmente sarebbe divenuta un mito.
Le ali della libertà nascono dunque come ali della conoscenza. Come l’intelletto diviene adulto apprendendo nozioni che vincono i pregiudizi e la conservazione dello status quo traducendo quelle nozioni in pensiero, così diventa adulto e nemico delle ingiustizie sociali il pensiero politico. Dopo insomma quelle ali cercheranno di tramutare le nuove conoscenze e l’animus che le accompagna in azione politica trasformativa.
Quella energia della conoscenza, l’oltre della conoscenza che anticamente aveva trovato campo nella teoria della vita prima e oltre la vita stessa o nella possibilità di migrare presso gli inferi, avrebbe trovato sfogo secoli dopo nella Encyclopédie, non quale semplice raccolta di nozioni le più varie ma come  cultura legata alle conoscenze e ai progressi dello Spirito umano.
Quello ésprit, o anche quella res, per regredire a Cartesio, Marx e il socialismo avrebbero tentato di trasfonderli quasi per eredità nella classe dei produttori e nel mondo del lavoro; il romanticismo e postromanticismo avrebbero tentato invece di tradurli in libertà dalla morale: assoluta, priva di vincoli, vitale. Quella stessa che Hegel avrebbe cercato di contestualizzare in un monumentale disegno formale politico e in un nuovo assolutismo dello Stato nazionale; e che Nietzsche avrebbe saputo elevare al di là del bene e del male, sino all’autonegazione.
Già: vi è un qualche legame che unisce i due filosofi tedeschi ed è, al di là delle distanze mentali, una diversa ma non incompatibile interpretazione della libertà: svuotamento di ogni morale e sentimento personale a favore dello Stato da una parte ed esaltazione della forza e del diritto-potere oggettivo, sino di dare la morte dall’altra.
Dunque se il marxismo avrebbe tenuto una visione positiva dei fatti dell’ ’89, la libertà per reazione alla rivoluzione francese e all’illuminismo avrebbe indicato altre strade, trovando successivamente riscontri politici in regimi basati sulla confusione e la intolleranza, nemici della cultura e dei libri e cioè della libertà del pensiero, inclini al di là del diverso rapporto con le scienze al misticismo e alla follia.

Il signor de Fontenelle, teorico della pluralità dei mondi abitati (Entretiens sur la pluralité des mondes, 1686), fu tanto “non avvocato” quanto poeta quanto fervido enciclopedico uomo di pensiero e di scienza. Coevo di Bayle, per il cui giornale egli scrisse, visse novantanove anni e undici mesi e fu menzionato da Diderot per i suoi meriti rispetto all’illuminismo: un debito di affetto e riconoscenza. Egli soprattutto a quanto mi è dato comprendere seppe restituire decoro alla filosofia e cioè al pensiero, che sia libero di muoversi tra le scienze e l’arte, elaborandone idee e concetti e proponendone di nuovi. Nessuna metafisica dunque avversa alle scienze positive ma un pensiero che sapesse interpretarne o svilupparne i portati.
Un cuore dimenticato, recita il titolo del film: quella fanciulla lo avrebbe messo alla prova come filosofo perché come uomo, ché in lui forse più che in altri, e in questo la ragione gli riconosce grandi meriti morali, i due ruoli tendevano a confondersi.

Egli morì non per malattia, né soffrendo… Egli forse visse come poi sarebbe morto? All’epoca il modus moriendi avrebbe nuovamente qualificato le persone; ma credo non sia il caso di parlarne troppo. Diderot ad esempio era terrorizzato dalla idea della morte e cercò sempre di vincerla, scrivendo...  

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