domenica 28 luglio 2013

L’intelligenza di Proculeio: come salvare la politica dalla politica?




Che cosa ci tramanda fra le altre cose il mito, rielaborato filosoficamente? Che ad esempio, per rifarci alle origini della storia politica romana, «Romolo, colpito dal fulmine o massacrato dai senatori, scompare di fra i Romani. Il popolo e i soldati mormorano. Le gerarchie dello Stato si sollevano le une contro le altre e Roma nascente, divisa all'interno e circondata di nemici all'esterno, è sull'orlo del precipizio quando s'avanza un certo Proculeio e con gravità dice: “Romani, il principe che voi piangete non è affatto morto: è asceso al cielo, dove siede alla destra di Giove [...]"». Ovvero: «Romulus frappé de la foudre ou massacré par les Sénateurs; disparoit d'entre les Romains. Le Peuple & le Soldat en murmurent. Les Ordres de l'Etat a se soulévent les uns contre les autres, & Rome naissante, divisée au dedans & environnée d'ennemis au dehors, étoit au bord du précipice. Lorsqu'un certain Proculeius s'avance gravement & dit: "Romains, ce Prince que vous regrettez n'est point mort; il est monté aux Cieux, où il est assis à la droite de Jupiter"» (D. Diderot, Pensées, XLIX). 
In altre parole: l’illuminismo ciò che insegna o quanto meno tramanda a sua volta è che «esistono delle congiunture favorevoli all'impostura» e «se si esamina qual era allora la situazione di Roma si converrà che Proculeio era una persona assai intelligente e che aveva saputo afferrare l'occasione. Egli introdusse negli animi un pregiudizio che non fu inutile alla futura grandezza della sua Patria» (ivi). E in questo esso tramanda che la devozione è il primo prodotto di uno Stato.

domenica 21 luglio 2013

Per una reinterpretazione in senso democratico della costituzione “materiale”




Spesso i suoi fautori pensano la costituzione materiale in contrapposizione alla costituzione formale. Spesso emerge dalle loro posizioni realistiche l’antilluminismo dei romantici dell’ottocento, certo corroso e ridicolizzato dal tempo storico e sempre alla ricerca di teorizzazioni d’occasione.
Ma è bene chiarire subito un concetto: non si dà oggi e non da oggi moderno Stato senza costituzione, e alludo alla costituzione formale, ovvero a un testo composto di disposizioni scritte, inserito in modo gerarchicamente autorevole nel cosiddetto “diritto positivo”. E se questo è ammissibile, e taluno cita imprudentemente Aristotele e la sua politeìa, allora la costituzione materiale può essere pensata in più modi: in uno regressivo, ante rivoluzione francese e in uno progressivo, come accade da ultimo in un limpido intervento del prof. Bettinelli sulla questione della democrazia diretta, segnatamente dell’istituto referendario. Il quale autore parlando di “arricchimento istituzionale”, constata negli sviluppi della nostra storia popolar-costituzionale una “riesumazione” e di lì un ricorso crescente a questo istituto, segnatamente nella sua tipologia abrogativa, su temi importanti per i nostri costume e morale nazionale. E ciò sarebbe avvenuto ed è avvenuto dagli anni settanta in poi, dopo che - va sottolineato - quell’istituto era uscito ridimensionato dai lavori della Costituente (e anche oggi accade che le istituzioni tentino di porre un freno all'istituto). E all’aspetto formale aggiungerei necessariamente quello sostanziale, relativo cioè al contenuto o tenore normativo, che deve valere a spiegare anche quello formale, in base a un principio d’inseparabilità.

I "due" parlamenti




La questione che attanaglia da tempo, in una crisi che direi lunga, il ruolo e senso delle nostre camere parlamentari sembra essere il fatto che non si comprenda, nella tempesta in cui si trova il vascello della “repubblica nazionale”, che il problema non è sic et simpliciter nell’architettura delle camere e nei diversi criteri di formazione o rappresentatività di esse, o quello della utilità o meno del Senato o Camera Alta, o ancora quello della crisi della rappresentanza, che (è il suo quid novi) ha investito l’asse partitico, il che è assai allarmante; ma dirò subito che forse c’è e non c’è.
Tutti temi che per chi sappia un po’ di storia costituzionale (già, perché questa materia esiste e non da oggi…) risultano tutt’altro che nuovi, per essere quelli tipici delle strutture istituzionali, in parte quegli stessi dei lavori - tutt’altro che pacifici, contrariamente alle immagini rassicuranti - della nostra Costituente; ma la questione di fondo è nel fatto che possiamo pensare all’esistenza o avere davanti agli occhi l’immagine di due parlamenti, la cui configurazione nonché funzione oscillano simbolicamente fra un prima e un dopo rivoluzione francese.

venerdì 19 luglio 2013

Il caso Microsoft del 2001 (a proposito anche della fiaba del "libero mercato")




Al di là delle condotte giudicabili come anticoncorrenziali poste in essere dalla famosa casa di Redmond nella commercializzazione di un suo browser e al di qua dell’indole stessa della giurisprudenza, chiamata sempre a specchiarsi in fatti, persone e cose, il caso U.S. v. Microsoft - la più imponente vicenda antitrust del nostro tempo, celebrata nel pieno spirito del Common Law - è valso a riunire due profili problematici in uno: la tendenza naturalmente monopolistica insita nel mercato classico - quello per così dire delle merci “esteriori” - e la tendenza “naturalmente” monopolistica insita nel mercato del software e dello hardware - ma soprattutto nel primo -, contraddistinto da merci cosiddette “pensanti”. 
Il “caso Microsoft” in questo è valso a rafforzare, forse a suggellare, il dubium filosofico, morale e politico sulla pretesa identificazione di libertà e libertà nei commerci: non è che i teorici del libero mercato siano poco credibili in epoca di debolezza della domanda (ad es. Krugman); ma è che essi lo sono o dovrebbero esserlo quasi sempre.
Ovvero ora, alla luce di quella vicenda giudiziaria (cui altre ne seguiranno, di analoga sostanza), si può asserire una volta per tutte che la tendenza monopolistica è tutt’altro che contraria a natura, non costituisce una deviazione, e che ciò è comprovato dal commercio dei cosiddetti information goods, e, ancora, che tutto questo accade oggi, nel mercato che s’immedesima con la comunicazione e la rete, in un modo tale per cui il nuovo non può non colludere col vecchio, pur senza confondervisi, anzi: volendosi differenziare da quello.

mercoledì 10 luglio 2013

Giuridicità ac/seu necessità




Non credo sia la libertà la categoria filosofica par excellence. Credo invece che si tratti di una parola (una fra le tante) che non sta in piedi da sola e ha bisogno di nutrirsi del suo contrario, che è la necessità e in qualche modo di dover essere da essa distinta, non con facilità.
E aggiungerei che il gioco deve condurlo quest’ultima; la quale a sua volta, se si osservano le cose con un po’ di attenzione, ha un singolare potere liberatorio di concetti e idee. Ovvero: può spiegare più cose di quanto non faccia la libertà; se non altro a causa del suo richiamo alla realtà.
Personalmente, è da tempo che vado misurando le cose di pensiero sul terreno giuridico,  nel cui campo, se taluno (Perlingieri) ha posto la nitida nozione di (o del) giuridicamente rilevante - e lo ha fatto là dove Mortati aveva incontrato difficoltà argomentative -, Santi Romano, il primo Santi Romano, poneva la necessità quale nocciolo esplicativo del rapporto attorno al quale tutto ruota: quello tra diritto e fatto.
Ovvero: com’è possibile che - dov’è il trucco per cui - in un ordinamento la giuridicità sia già nel fatto (Mortati sembrava quasi terrorizzato dal contrario) e meglio in quel fatto che poi si tramuterà in diritto? Ovvero: è possibile che esistano un fatto non giuridico e un fatto giuridico e a quest’ultimo sia dato poi elevarsi al di sopra dell’altro? Ma essendo ovvero valendo potenzialmente l’uno quanto l’altro?
La spiegazione del Romano credo sia semplice; ma nemmeno tanto consolatoria forse - aggiungerei - se si considera la natura del problema. E considerando quello che i giuristi chiedono forzandone le potenzialità di pensiero speculativo al pensiero giuridico, che è il loro pensiero.
Per il primo Romano il diritto è nella necessità o è necessità, e il nesso logico scatta interpretativamente allorquando se ne ha la consolidazione. Il diritto è il fatto ma stabilizzatosi giuridicamente e cioè resosi giuridicamente necessario. Il diritto si forma laddove i fatti dimostrano che era necessario che esso si formasse.
Ancora: la necessità precede la volontà dello Stato (teoria cosiddetta volontaristica, cara per così dire agli spiritualisti) nonché il pensiero razionale.

lunedì 8 luglio 2013

La divisione "del potere"




Salvare la libertà dei cittadini: questa la motivazione formale ma forse la più profonda di Montesquieu, che dà la misura dello spirito con cui egli pensò la divisione dei poteri - e volutamente io parlo qui di “divisione” (e divisione "del potere", operazione che si rapporta ad una unità o concentrazione), invece che di “separazione”; ovvero: «Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura, il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non esiste libertà».
Montesquieu
Ma è vero, come aveva sostenuto Halifax nel seicento, che le idee contano per ciò: che vi sono interessi concreti o poteri costituiti che sostenendole le rendono significative, attribuendo ad esse valore. Nulla dunque, andando alla radice delle cose, può sostituirsi al fatto e alla evoluzione storica dei fatti. Fermo restando che anche una valutazione come quella di Halifax ha un valore formale, o suscettibile di elaborazioni.